Sonata n. 3 in sol minore per violino e pianoforte, L 148


Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
  1. Allegro vivo
  2. Intermède - Fantasque et léger (sol maggiore)
  3. Finale - Très animé (sol maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: ottobre 1916 - aprile 1917
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 5 maggio 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1917
Dedica: Emma Debussy
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questa Sonata, presentata in pubblico circa un anno prima della morte del maestro, è indissolubilmente legata a due avvenimenti: la prima guerra mondiale e la malattia che doveva portare Debussy alla tomba. La guerra spiega la particolare forma che avrebbe preso questa pagina. «Nelle mani di chi cadrà il futuro della musica francese? » si domandava in quei mesi il Maestro mentre i "boches" premevano ai confini della Francia; e forse per difendere quel futuro chiese ripetutamente di partecipare alla guerra. Ma le gravi condizioni di salute non resero possibile l'esaudire quel suo desiderio, sicché pensò che la musica avrebbe potuto prendere idealmente il posto di una sua attiva partecipazione alla guerra. Non si trattò però di una musica "impegnata" propagandistica secondo i canoni di un facile romanticismo; si propose invece di scrivere musica secondo il modello dei secoli d'oro della musica francese, quelli che avevano visto il fulgore di Rameau e di Couperin. Nacque così l'idea di comporre sei Sonate per diversi strumenti; riuscì però a portarne a compimento solo tre: una per violoncello e pianoforte, una per flauto, viola e arpa ed infine questa che si esegue stasera, per violino e pianoforte. Le firmò "Claude Debussy, musicien francais" proprio per sottolineare il suo impegno nazionale; quell'impegno che gli aveva fatto scrivere iniziando la prima delle previste sei Sonate: «Voglio lavorare non per me stesso ma per dare una prova, per quanto piccola, che neppure trenta milioni di "boches" possono distruggere il pensiero francese anche se hanno tentato di degradarlo prima che annientarlo. Penso alla gioventù francese stupidamente rovinata da questi mercanti di "Kultur" che ci hanno fatto perdere per sempre ciò che avrebbe dovuto dar gloria al nostro paese. Ciò che sto componendo sarà un segreto omaggio a loro; la dedica è superflua».

Dunque musica "alla francese" richiamandosi a quei «nostri vecchi clavicembalisti che avevano in sé tanta vera musica, il segreto della grazia e dell'emozione senza epilessia che noi abbiamo rinnovato come figli ingrati...», come ancora Debussy scriveva a proposito della prima delle sei Sonate, quella per violoncello e pianoforte, con parole che peraltro perfettamente si attagliano alla Sonata per violino scritta poco più tardi dopo aver portato a termine l'analoga pagina per flauto, viola e arpa e la serie delle dodici Etudes che hanno in comune con la Sonata per violino un più che evidente interesse per i problemi tecnici ed armonici.

Dopo le Etudes, però, una penosa parentesi; il male che minava il Maestro si aggravava di giorno in giorno né migliorò dopo un viaggio ad Arcachon e tanto meno per il lavoro che pensava di intraprendere per mettere in musica un'opera tratta dalla Caduta di casa Usher di Poe. Nell'inverno tra il 1916 e il 1917 Debussy riprese dunque a lavorare alla Sonata per violino: verso la metà di febbraio erano finiti i primi due movimenti mentre il terzo non lo soddisfaceva ancora. «Quella terribile prima stesura del Finale - diceva - quella "napolitaine" risentiva troppo dell'atmosfera irrequieta che ci circonda». E avrebbe forse abbandonato tutto se non fosse stato per le amichevoli insistenze dell'editore Durand; scriveva infatti ad un suo amico: «II vostro entusiasmo per la Sonata riceverà, credo, una doccia fredda quando l'"oggetto" sarà nelle vostre mani. Sarebbe meglio che non la vedeste mai, per conservare intatta l'illusione. Posso dirvi anche che questa Sonata è stata scritta per accontentare il mio editore che mi era sempre alle calcagna. Voi che sapete leggere tra le righe troverete qui le tracce di quel demone della perversità che ci spinge a scegliere idee che bisognerebbe, invece, lasciare da parte.... Questa Sonata sarà interessante da un solo punto di vista, puramente documentario, e come esempio di ciò che un uomo malato ha saputo scrivere durante la guerra. E ora basta con questa Sonata...». Sarebbe stato infatti l'ultimo lavoro compiuto, ed anche l'occasione per l'ultima apparizione di Debussy in pubblico: fu lui stesso infatti a sedere al pianoforte la sera del 5 maggio 1917 alla Salle Caveau per la prima esecuzione mentre Gaston Poulet affrontava la parte violinistica. Prima aveva scritto sul senso di questo ultimo lavoro: «Diffidate delle opere che sembra siano state composte sotto un cielo azzurro e sereno, perché spesso accade, invece, che esse siano rimaste a lungo stagnanti nelle tenebre di un cervello lugubre e malinconico. Così il finale di questa Sonata procede in modo curioso e termina giocando su un semplice tema che torna su sé stesso, come il serpente che si morde la coda». E questo, malgrado i fragili colori che sono stati paragonati a quelli di Watteau e l'apparente serenità, è il senso più profondo della Sonata debussyana; una pagina, come scrive Golea «fatta col sangue».

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata per violino e pianoforte fu composta tra l'estate del 1915 e l'inverno del 1917, quando Debussy era ammalato già di cancro e si sentiva sempre più isolato, anche per colpa della guerra mondiale che divampava in Europa. Inizialmente il musicista pensava di scrivere sei sonate per vari strumenti, sotto un unico titolo così concepito «Sonates pour divers instruments, composées par Claude Debussy musicien francais», quasi a sottolineare certe caratteristiche dell'arte francese, in polemica con la tradizione musicale tedesca e il post-wagnerismo. Lo stesso Debussy, in una lettera indirizzata a Stravinsky, aveva dichiarato che le sei sonate erano state progettate «secondo la nostra antica forma, che suona familiare al nostro orecchio senza avere nessuna pretesa di essere una tetralogia». A causa del progredire del male, il musicista, che subì anche un intervento chirurgico nel dicembre del 1915, potè portare a conclusione soltanto tre delle sei sonate, e precisamente la Sonata per violoncello e pianoforte, la Sonata per flauto, viola e arpa e la Sonata per violino e pianoforte, la quale venne eseguita a Parigi il 5 maggio 1917 con lo stesso Debussy al pianoforte: fu l'ultima commovente apparizione in pubblico di un artista che ha contribuito ad ampliare e arricchire il linguaggio musicale nel primo Novecento.

La Sonata per violino e pianoforte non ha nulla o quasi della poetica impressionista e vi si avverte una maggiore plasticità nel disegno melodico e.un più marcato senso chiaroscurale, rispetto alle atmosfere sfumate e pittoricamente evocative della produzione tipicamente debussyana. Anche se divisa in tre movimenti, la Sonata non segue schemi classici o romantici, ma utilizza cellule melodiche fondamentali continuamente riproposte e modificate, secondo il principio della cosiddetta «variazione totale», descrivente una nozione circolare del tempo musicale. Infatti nel primo movimento (Allegro vivo) non viene evidenziato un tema vero e proprio, ma piuttosto una ininterrotta variazione dell'inciso melodico esposto dapprima dal violino e contraddistinto da una successione di terze collegate fra di loro. L'inciso melodico assume le forme più diverse, sia quando è indicato dal pianoforte e sia quando assume forma melodicamente variata nel violino.

Il secondo movimento (Intermède. Fantasìque et léger) ha un carattere di improvvisazione, segnata da eleganti arabeschi del violino; nella parte centrale si avverte il contrasto fra il brillante ritmo pianistico e i piacevoli effetti timbrici del violino. Non manca un raffinato ésprit intellettualistico, vagamente ironico, di gusto stravinskiano. Il terzo movimento (Très animé) si svolge in modo rapsodico e virtuosistico, secondo i canoni del finale della sonata classica: in esso ritorna il motivo proposto dal violino nel primo tempo, ma con tono più vivace e scintillante. Lo stesso Debussy definì questo terzo pannello «pieno di vita, quasi gioioso per un fenomeno di sdoppiamento», come a nascondere la fatica che gli era costata per portarlo a termine, tra sofferenze angosciose e terribili.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata per violino e pianoforte di Claude Debussy, composta nell'inverno 1916-17, insieme a quella per violoncello e pianoforte e all'altra per flauto, arpa e viola (ambedue del 1915), doveva far parte del gruppo delle Six Sonates pour divers instruments. Questo il progetto del compositore francese; senonché l'aggravarsi del male e poi la morte dopo un anno interruppero la serie alla terza Sonata, appunto quella per violino; e fu proprio per presentare il suo lavoro alla Salle Caveau con il violinista Gaston Poulet nel maggio 1917 che Debussy fece la sua ultima apparizione in pubblico.

Le tre opere e soprattutto la Sonata per violino non hanno mai trovato gli studiosi concordi, né sull'indirizzo stilistico (che secondo il Vallas ed altri segnerebbe una conversione verso il classicismo dei Couperin e Rameau da parte di un Debussy che infatti amava allora controfirmarsi «musicien francais») né, tanto meno, sul valore estetico di queste pagine strumentali le quali, comunque, rivestono uno speciale significato in quanto vengono a riaprire nella produzione debussiana un capitolo - quello della musica da camera - ch'era chiuso da quasi un quarto di secolo, e cioè dal 1893, anno di composizione del Quartetto.

Sulla Sonata per violino lo stesso Vallas si esprime in termini non del tutto conclusivi né criticamente allineati. «Commovente ad udirsi per chi conosce le tragiche circostanze della sua composizione, essa rimane interessante per la concisione della sua forma alla francese, per la ricerca soprattutto melodica, nel senso delle altre due sonate. Bella in alcuni passaggi, sconcertante per i richiami a pagine anteriori, per le sue ripetizioni, per l'impiego di procedimenti scolastici, un tempo detestati, essa rivela un'accentuata volontà di riuscita, un'ardente impotenza: è la manifestazione angosciata, l'ultima, di una lotta appassionata contro la malattia incurabile e la morte che si approssimava». Restando nell'ambito delle considerazioni marginali e contingenti è infatti da rilevare come, salvo il primo movimento, tanto l'Intermède quanto il Finale sembrano inseguire visioni cangianti tra l'ironico e il giocondo. Un che di evasivo, insomma, che talvolta sconfina nell'inafferabile e nell'enigmatico.

Tenui e vaghi, altresì, i rapporti strutturali e formali della Sonata, fondati soprattutto su analogie o paralleliismi di centri e di relative irradiazioni armoniche. Tra i più concreti di tali elementi connettivi possiamo citare la linea melodico-armonica disegnata dal violino nelle sue quattro battute iniziali all'Allegro vivo; una settima maggiore che avrà non solo ripercussioni e ritorni nel corso dello stesso primo movimento, ma invariata fuorché nel ritmo, sarà ripresentata dal violino anche nell'inizio del Finale.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

L'unica Sonata per violino e pianoforte di Claude Debussy doveva far parte di un gruppo di Six Sonates pour dìvers Instruments, composées par Claude Debussy, musicien français. Di queste il compositore era riuscito, nel 1915, a condurne a termine due, rispettivamente per violoncello e pianoforte e per flauto, viola e arpa; in quello stesso anno, il cancro che già dal 1909 lo minacciava si aggravò: già costretto a ricorrere alla morfina per alleviare le terribili sofferenze, Debussy veniva sottoposto alla fine dell'anno ad applicazioni di radio. In queste condizioni il lavoro compositivo gli riusciva difficile e penosissimo: «Se Le dessi conto dettagliato delle mie miserie», scriveva Debussy al violinista Hartmann, «si metterebbe a piangere, e la signora Hartmann La crederebbe impazzito». Solo nell'inverno 1916-17, come è scritto alla fine della composizione, Debussy riuscì a terminare la terza Sonata, appunto questa per violino e pianoforte, che sarebbe rimasta la sua ultima opera: e con fatica, a giudicare dai numerosi rimaneggiamenti cui fu sottoposto il Finale. Il 15 maggio 1917 il musicista compariva in pubblico per l'ultima volta per eseguire la Sonata insieme con il violinista Gaston Poulet; gli rimanevano ancora dieci mesi di vita, con sofferenze sempre più gravi. Le tragiche circostanze esistenziali che accompagnarono la nascita dell'ultima composizione di Debussy circondano indubbiamente di una particolare suggestione questa pagina, che veramente appare come l'estremo messaggio - affidato alla musica nella piena consapevolezza che appunto dell'ultimo si sarebbe trattato - di uno dei massimi compositori di tutti i tempi: un messaggio che tanto più ci tocca perché il futuro verso cui esso era proteso sarebbe stato il nostro tempo. Al di là di queste impressioni esteriori, per essere intesa nel giusto significato la Sonata per violino e pianoforte richiede d'esser considerata in strettissimo rapporto con quelle circostanze - e con altre, di natura meno privata ma pur sempre profondamente sentite da Debussy -, nel quadro complessivo dell'ultima stagione del grande musicista francese e della posizione di lui nei confronti delle sorti della musica del Novecento.

L'idea di comporre le sei Sonate (impresa, come abbiamo veduto, rimasta interrotta a metà) era nata in Debussy come una reazione della volontà contro una contingenza per più aspetti difficile e ingrata. C'era anzitutto la malattia, nota da tempo e ormai senza dubbio inguaribile: forse questo impegno creativo aveva per lui il valore di una sfida (come lo ebbe lo sforzo di partecipare, ormai piegato dal male, alla prima esecuzione della Sonata per violino e pianoforte), di una riaffermazione di vitalità sotto l'incombere della morte. Sembrerebbe di cogliere questo senso nelle parole con cui Debussy commentava la sua Sonata, dicendola «piena di vita, quasi gioiosa, per un fenomeno di sdoppiamento; naturale, forse». C'era, in secondo luogo, il momento storico: la Grande guerra che nel '14 coinvolse la Francia lo aveva profondamente colpito per l'inedita portata degli orrori che aveva recato con sé, ridestando in lui anche un sentimento nazionalista da sempre latente, con precisi connotati antitedeschi: donde un primo significato polemico di quel «musicien français» apposto a caratterizzare l'impresa delle sei Sonate. E c'era, ancor più in profondità, un profondo disagio estetico: da un lato il «desiderio di andare sempre più lontano», che per lui era come «il pane e il vino», secondo quanto affermava anche alla vigilia della morte; dall'altro la prigionia di un'identificazione stilistica, quella con l'Impressionismo, probabilmente arbitraria anche al tempo di Pelléas e delle stesse prime composizioni pianistiche e orchestrali, certo largamente superata da anni, da prima ancora del Martyre de Saint Sébastìen. Tanto più premeva a Debussy una chiara definizione della sua identità di musicista in un momento in cui le avanguardie, a Parigi come a Vienna, stavano scombussolando tutto il mondo della musica, additando al futuro esiti imprevedibili.

In un'Europa sconvolta dalla guerra, in una cultura disordinatamente lacerata da contrasti insanabili di ordine etico e linguistico, in un'età esistenziale che era per lui indubitabilmente vigilia della morte, quando invece l'età anagrafica, poco più di cinquant'anni, avrebbe dovuto offrirgli un avvenire ancora lungo, Debussy avverte insopprimibile il desiderio, la necessità di riaffermarsi musicista, musicista moderno, musicista francese. Da tempo l'arte di Debussy muove verso una liberazione esplicita da tutte quelle caratteristiche che, fraintese, potrebbero negarne la solidità formale, la purezza delle linee. Lo ha già fatto, per esempio, nel 1912, con le irregolari geometrie di Jeux, additando alla musica del Novecento, con un'evidenza che solo molto più tardi sarà colta, il valore formale, costruttivo, di quegli elementi primi del fatto musicale che per secoli sono stati considerati accessori, ritmo e timbro. Lo fa adesso, con decisione ancor maggiore, scegliendo, sempre polemicamente, la forma e il titolo della Sonata: quasi a sottolineare, proprio con la rinuncia a qualsiasi esibizionismo avanguardistico, la vera modernità di chi vuol andare «sempre più lontano»: se il titolo è quello proprio della grande tradizione strumentale germanica, lo spirito che remotamente informa le Sonate di Debussy è quello della chiarezza e della fantasia tutte francesi della Suite sei-settecentesca; rivissuta però in forme e modi affatto diversi, e dunque serbando tutte le magie sonore e le intuizioni espressive che hanno fatto di lui, fin dagli esordi ormai lontani, uno dei padri della musica moderna. Più che al neoclassicismo vero e proprio, quello che avrebbe segnato i prossimi sviluppi dell'arte di Stravinsky, le Sonate di Debussy si apparentano, a modo loro, con le esigenze di «nuova classicità» che in forme quanto mai diverse si affacciano prima e dopo la Grande guerra in quasi tutta la musica europea; un po' per reagire alla drammatica disgregazione di una secolare comunità stilistica e tecnica, un po' nello sforzo di superarla, gettando nuovi ponti sul futuro: in questo caso, con esiti poetici di straordinaria rilevanza.

Al di là dei riflessi di contingenze private o storiche, delle intenzioni polemiche e dell'intimo bisogno di certezze, la Sonata per violino e pianoforte si propone con l'aspetto di un capolavoro di eccezionale valore, cui si tende ad anteporre la Sonata per violoncello e pianoforte, indubbiamente di ispirazione più organica e omogenea, ma che con questa compete da vicino per l'elegantissima articolazione costruttiva, per le stupende intuizioni timbriche, per l'interesse della scrittura cameristica, concretata in un dialogo-contrasto fra i due strumenti che anticipa in certo senso l'altro massimo vertice novecentesco nel campo della composizione per violino e pianoforte, la Sonata in sol maggiore di Ravel (1923-27). Un'estrema precisione di linee, realizzata con la massima economia di mezzi, garantisce unitarietà al primo movimento, in apparenza svolto capricciosamente, in un susseguirsi di episodi sfumatisimi, caratterizzati da eccezionale libertà ritmica; nella aerea trasparenza del brano si aprono oasi cantabili, per lo più sostenute dal violino, in un clima sempre terso e riserbato. L'Intermède rende piena giustizia all'indicazione dinamico-espressiva, «Fantasque et léger»: lo svagato cadenzare del violino, i suggerimenti ritmici del pianoforte, lasciano spazio a nuove effusioni melodiche, su sfondi timbrici rarefatti e preziosi, dove i ruoli ben distinti dei due strumenti trovano un equilibrio felicissimo, fino all'indimenticabile seduzione della chiusa. Il Finale è avviato da un richiamo al primo movimento: quindi si slancia il tema principale, che dominerà con il suo impulso fantastico tutto il resto del pezzo, in evoluzioni di impalpabile e ariosa raffinatezza

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 6 Dicembre 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 3 Aprile 1981
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 23 novembre 1961
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 17 giugno 1981


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 29 aprile 2017