Préludes per pianoforte, secondo libro, L 131


Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
  1. Brouillards - Modéré - extrêment égal et léger (atonale)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  2. Feuilles mortes - Lent et mélancolique (do diesis minore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  3. La Puerta del Vino - Mouvement de Habanera, avec de brusques oppositions d'extrême violence et de passionnée douceur (re bemolle maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  4. Les fées sont d'exquises danseuses - Rapide et léger re bemolle maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 Aprile 1913
  5. Bruyères - Calme, doucement expressif (la bemolle maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  6. Général Lavine, eccentric - Dans le style et le mouvement d'un Cake-walk (fa maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  7. La terrasse des audiences du clair de lune - Len (fa diesis maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 Aprile 1913
  8. Ondine - Scherzando (re maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  9. Hommage à Samuel Pickwick Esq. PPMPC - Grave (fa maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  10. Canope - Très calme et doucement triste (re minore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 19 Giugno 1913
  11. Les tierces alternées - Modérément animé (do maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  12. Feux d'artifice - Modérément animé - léger, égal et lointain (fa maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 Aprile 1913
Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Edizione: Durand, Parigi, 1913

Introduzione comune ai due libri (nota 1)

La prima interpretazione critica dell'opera di Debussy è quella che ancor oggi va sotto il nome generico di «impressionismo»; interpretazione basata soprattutto sulle composizioni del 1890-1904 (dai Nocturnes per orchestra alle Estampes per pianoforte all'Isle joyeuse, anch'essa per pianoforte), che subito colpirono favorevolmente molti critici e che furono assai presto apprezzate dal pubblico. Il concetto di impressionismo può venir esteso, con parecchie difficoltà, anche ad opere come La mer e le Images per orchestra o come le Images e il primo libro dei Preludi per pianoforte, ma si dimostra del tutto inadatto a spiegare Jeux, Le Martyre de Saint Sébastien, le tre Sonate, la suite En blanc et noir, gli Studi, così si dimostra inadatto, dall'altra parte, a spiegare il classicismo di certe pagine pianistiche anteriori alle Estampes e il simbolismo della Damoiselle élue e del Pelléas. La critica rimasta ferma al concetto di impressionismo ha dovuto necessariamente parlare di decadenza («Musicalmente, Debussy morì all'inizio della guerra», diceva il Lockspeiser), respingere le ultime opere e collocare al secondo libro dei Preludi, composto tra il 1910 e il 1913, il crinale, asserendo che alcuni di essi appartengono al miglior Debussy mentre in altri si avverte l'incipiente stanchezza creativa. Ora, è evidente che pagine come La puerta del vino e Ondine possono rientrare nell'estetica dell'impressionismo. Ma è altrettanto evidente che una pagina come Les tierces alternées anticipa nettamente gli Studi; e persino pagine così ovvie in apparenza, come Feux d'artifice o Brouillards, risultano poi difficilmente interpretabili sotto la sola angolatura dell'impressionismo.

Ma il concetto di impressionismo entra in crisi già nel primo libro dei Preludi, composto nel 1910, che indubbiamente conclude la più intensa e felice stagione creativa di Debussy e che fu sempre accettato senza riserve. Il segno, sia pure esterno e marginale, che denuncia il superamento dell'impressionismo e che ha colpito tutti i commentatori, lo troviamo nella collocazione dei titoli. I titoli, messi all'inizio dei singoli pezzi nelle Estampes e nelle Images, nei due libri dei Preludi vengono collocati alla fine del pezzo, tra parentesi, e preceduti da puntini: (... Danseuses de Delphe). Il titolo risulta così estremamente sfumato, estremamente allusivo rispetto all'oggetto o all'avvenimento cui si riferisce.

Non che l'oggetto o l'avvenimento non stiano in alcuna relazione con la musica, non che l'associazione titolo-musica sia arbitraria o dadaistica: il soffio leggero del vento, i passi sulla neve ghiacciata, le chitarre, i tamburi, le campane trovano riscontri musicali non solo simbolici, ma spesso addirittura onomatopeici. Tuttavia, la particolare collocazione dei titoli indica una tendenza a superare la suggestione ambientale e la pittura in musica per avviarsi verso l'astrattismo degli Studi. Il Lockspeiser, citato dianzi, dice: «Spesso, immagino, la composizione dev'essere cominciata coll'imbattersi in una frase troppo bella per non farne un pezzo, dopo di che se ne trovava l'argomento adatto». In questo senso, Debussy non avrebbe agito diversamente da Schumann. Ma molto più accortamente Cortot, dopo aver lodato senza riserve il primo libro, osserva, a proposito del secondo: «... la composizione di qualcuno di essi pare causata dalla seduzione iniziale di una combinazione di sonorità a cui il soggetto viene adattato in seguito, piuttosto che dalla sensazione stessa che queste sonorità avrebbero espresso. Debussy pare prepararsi così alla scrittura degli Studi, dove lo vedremo abbandonare la seduzione dei sentimenti e delle immagini in favore dei soli godimenti di un virtuosismo raffinato e di un piacere musicale essenzialmente fisico». Cortot resta titubante di fronte a quest'ultima fase dell'estetica di Debussy. Tuttavia, egli coglie esattamente i termini di un problema che nell'anteguerra fu risolto positivamente soprattutto dalla critica tedesca (e in particolare dal Liess) e nel dopoguerra da tutta la critica legata a movimenti d'avanguardia.

Entrambi i libri comprendono dodici pezzi: in totale, ventiquattro Preludi. Il numero tre e i suoi multipli sono frequentissimi nelle pubblicazioni musicali del Settecento e dell'Ottocento: tre sonate, tre notturni, tre valzer, sei sonate, sei quartetti, sei studi, dodici minuetti, dodici studi, ventiquattro esercizi, ventiquattro preludi ecc. Se il tre e il sei rispondono però soprattutto ad usi editoriali, il dodici e il ventiquattro si legano il più delle volte alle dodici tonalità maggiori e alle dodici tonalità minori: i ventiquattro Preludi di Chopin toccano le ventiquattro tonalità, i dodici Studi trascendentali di Liszt rappresentano la prima metà di una serie di ventiquattro, ordinata tonalmente, che non fu condotta a termine (e che fu «terminata», in quanto al ciclo delle tonalità, dai dodici Studi trascendentali di Sergheji Liapunov); persino i venticinque Preludi op. 31 di Charles-Valentin Alkan sono legati al numero magico perché l'autore, dopo aver esaurito le ventiquattro tonalità, chiude il ciclo con un venticinquesimo pezzo nella tonalità del primo. Il numero dodici venne però usato anche indipendentemente dalle dodici tonalità: per esempio, negli Studi op. 10 e op. 25 di Chopin, dodici per raccolta, con omissioni e ripetizioni di tonalità e maggiori e minori. Nelle due serie di Chopin si trovano però tracce di un'organizzazione tonale rigorosa che venne poi abbandonata, e quindi di un legame con la tradizione che stimolava sempre i compositori, anche se spesso li metteva poi in serie difficoltà. In Debussy il tre torna più volte: tre pezzi in Pour le piano, tre nelle Estampes, tre in ciascuna delle due serie di Images; il dodici torna in ciascuno dei due libri dei Preludi e negli Studi. Il tre e il dodici, sono qui legati soltanto ad una tradizione editoriale. Si nota tuttavia, nel primo libro dei Preludi, la cura di non ripetere le tonalità:

  1. - si bemolle maggiore
  2. - do maggiore
  3. - mi bemolle minore
  4. - la maggiore
  5. - si maggiore
  6. - re minore
  7. - fa diesis minore
  8. - sol bemolle maggiore
  9. - si bemolle minore
  10. - do maggiore
  11. - mi bemolle maggiore
  12. - sol maggiore

Solo una tonalità, come si vede, ricorre due volte: do maggiore. Ma il secondo Preludio è più propriamente un pezzo sulla scala esatonale, e termina su un bicordo do-mi che non stabilisce in modo inequivocabile la tonalità di do maggiore; e quando il primo libro viene eseguito integralmente l'ascoltatore nota la cangiante varietà del colore tonale. Qualsiasi preoccupazione a proposito del seguito delle tonalità scompare però nel secondo libro, perché è il profumo stesso della tonalità che va svanendo: anche in questo senso, dunque, il primo libro segna una meta e il secondo una svolta. Il che dà ulteriori motivazioni alle osservazioni di Cortot e di altri, senza che, se ne debbano perciò condividere le riserve.

Libro II

(... Brouillards) (Nebbie). La disposizione dei tasti del pianoforte (cinque tasti neri) e la mano del pianista (cinque dita) offrono lo spunto per un inizio di sonorità opaca, armonicamente ambiguo, ritmicamente sfuggente, melodicamente non determinato. Tutta la prima parte della composizione viene mantenuta quasi esclusivamente nel registro medio dello strumento, e lo studio della sonorità è sviluppato al limite tra il suono e il silenzio. La seconda parte introduce una melodia grave, mantenuta nel registro basso e nel registro sopracuto. La terza parte riprende la prima. La quarta è caratterizzata da una melodia in registro medio, accompagnata da rapidissimi arpeggi che coprono tutta l'estensione dal registro medio al sopracuto. L'ultima parte riassume le prime due. La forma è dunque quella del rondò, e questo aspetto rappresenta l'anello di congiunzione con la tradizione in un brano, sotto gli altri aspetti, rivoluzionario.

(... Feuilles mortes) (Foglie morte). Lo studio delle sonorità, sempre in dinamica piano e pianissimo, è di nuovo alla base della composizione. In una dinamica ridotta al minimo, Debussy impiega diversi modi di attacco del tasto, ottenendo almeno quattro varianti timbriche della sonorità, che a metà della composizione si trovano sovrapposte. Poco oltre la metà si ode per due volte lo squillo lontano di tre trombe: simbolo musicale derivato dal Romanticismo, che in Debussy assume un significato del tutto indiretto, e cioè di citazione.

(... La puerta del vino) (La porta del vino). Parrebbe che la composizione del Preludio sia stata suggerita da una cartolina, raffigurante la «Puerta del Vino» dell'Alhambra di Granada, inviata a Debussy da Manuel de Falla. L'evocazione della Spagna moresca è ottenuta con il persistente ritmo di habanera (al basso, con effetti percussivi) e con una melodia ritmicamente variata e ricca di fioriture vocalistiche, tipiche del canto jondo andaluso. Le suggestioni della Spagna sono in Debussy, com'è ben noto, del tutto indirette: solo verso la fine della sua vita Debussy si sarebbe recato una volta in Biscaglia. La Spagna moresca fu per lui un paese esotico, sognato, desiderato, mitico, non meno di quanto lo fossero l'antica Grecia o le isole giavanesi. E il suo amore per la Spagna rientra nella nostalgia di Paesi lontani, così caratteristica della cultura francese di fine Ottocento.

(... Les fées sont d'exquises danseuses) (Le fate sono squisite danzatrici). Il titolo è indicato in corsivo e tra virgolette, e quindi si tratta di una citazione: non si sa di dove sia tratta. Secondo alcuni commentatori Debussy avrebbe invece voluto far riferimento ad un'illustrazione di Arthur Rackam per il Peter Pan di J. M. Barrie. Gli elementi di simbolismo impressionistico sono numerosi, dal fruscio etereo dell'inizio ai suoni dei corni in lontananza agli accenni di temi di danza (di valzer: non senza qualche reminiscenza delle Valses nobles et sentimentales di Ravel, composte nel 1911). Richiamiamo però l'attenzione dell'ascoltatore sulle figurazioni rapide, nelle quali l'intervento dell'esecutore suscita sì il suono, ma non ne determina la durata: la durata è oggettiva, cioè relativa solo al movimento del meccanismo. Si pone qui uno dei postulati sui quali si fonda un'estetica del suono in quanto materia sonora liberata, anziché soggiogata dall'intervento dell'uomo.

(... Bruyères) (Brughiere). E uno dei preludi più vicini allo stile di precedenti opere di Debussy, anche di un decennio prima (pensiamo in particolare alla Suite bergamasque). Melodicamente e formalmente lineare, adempie soprattutto, secondo noi, alla funzione di transizione dal quarto al sesto Preludio.

(... «General Lavine»-eccentric) (Generale Lavine-eccentrico). Il sesto Preludio conclude la prima parte dell'opera con sonorità eccezionalmente squillanti e crepitanti: il forte prevale infatti solo nel sesto Preludio, nel quale si trovano trentatré dei novantacinque tra forte e fortissimo che si incontrano in tutto il libro (i piano e pianissimo sono più di quattrocento). Il fantasista americano Edward La Vine aveva creato la macchietta del Generale Lavine, «l'uomo che fu soldato per tutta la vita», e l'aveva presentata a Parigi al Teatro Marigny nel 1910 e nel 1912. Rulli di tamburi, squilli di trombe, scoppi improvvisi di sonorità stridenti, sospiri sentimentali caratterizzano per Debussy il personaggio; la composizione è «nello stile e nel movimento di un Cake-Walk».

(... La terrasse des audiences du clair de lune) (La terrazza delle udienze del chiaro di luna). Questo titolo figura nella prima edizione; alcuni cataloghi, dopo aver cercato le probabili fonti, lo modificano in «La terrazza delle udienze al chiaro di luna», in relazione con due descrizioni, di Pierre Loti e di Rene Puaux, di palazzi indiani.

La precisazione non interessa comunque minimamente in rapporto con la musica (che inoltre, superfluo dirlo, non ha alcunché di indiano).

Il settimo Preludio presenta tratti stilistici molto vari: vicino a movimenti armonici e a timbri pianistici nuovi si trovano armonie e disposizioni strumentali che risalgono alla prima maturità di Debussy. Il Preludio, unico dei dodici, è costruito secondo una curva dinamica tipica del Romanticismo, con progressione verso un punto culminante e lenta dissolvenza.

(... Ondine) (Ondina). Gli elementi simbolici sono evidentissimi: rumori di acque, temi di danza, canto - a volta a volta beffardo e fascinoso - della ninfa. Il Preludio può essere visto alla luce dell'estetica dell'impressionismo, ma è interessante perché spinge molto lontano la ricerca armonica.

Certo, anche le novità armoniche possono essere vedute in senso impressionistico, per giustificarle e renderle accettabili senza pericolo per il maestoso edificio della tradizione. Per lo Schmitz, dunque: «La deformazione che storce un'immagine agitando l'acqua trova il suo logico corrispondente musicale nella politonalità».

(... Hommage a Sir Pickwick Esq. P.P.M.P.C.P.) (Omaggio all'illustre signor Pickwick, presidente perpetuo, membro del Circolo Pickwick). Anche in questo Preludio i simboli sono evidentissimi: la dignità dell'Esquire inglese (primo tema, Grave, sull'inno nazionale inglese) e l'amabilità cortese del personaggio Pickwick (secondo tema, Amabile). Tutta la composizione oscilla tra questi due atteggiamenti. Poco prima della fine viene fatta, sentire in distanza un'arietta di danza, fischiettata.

(... Canope) (Canopo). L'evocazione dell'antica città egiziana viene condotta in senso impressionistico. Gli elementi tematici sono due: tema diatonico in accordi lenti, tema cromatico, con sonorità che suggerisce uno strumento a fiato. Questo secondo tema è in parte ricavato dal celebre tema iniziale del Prelude a l'Après-midi d'un Faune.

(... Les tierces alternées) (Le terze alternate). Il titolo si riferisce ad un problema di tecnica pianistica: bicordi su intervalli di terza, eseguiti alternando le mani. I punti di maggior interesse del Preludio si trovano all'inizio e a metà: la successione delle terze forma un frammento melodico, ma la percezione della melodia viene disturbata, fino ad essere resa quasi impossibile, dalla frammentazione dei nessi tradizionali tra un suono e l'altro.

(... Feux d'artifice) (Fuochi artificiali). La conclusione della seconda parte dell'opera, come della prima (sesto Preludio), impiega con larga misura le sonorità più potenti (in Feux d'artifice si incontrano trenta tra forte e fortissimo). Ancora una volta, i simboli musicali sono evidenti. In più, la citazione della Marsigliese, alla fine, precisa che si tratta della festa popolare francese del 14 luglio. Ma, ancora una volta, i simboli sono solo il pretesto, o la giustificazione codina per un'eplorazione dei timbri pianistici, anzi, di rumori ottenuti mediante il pianoforte: rumore è il lungo fruscio iniziale, e fatta in gran parte di rumori è la cadenza che culmina nel glissando a due mani. In due momenti, Debussy si avvicina a quel limite di sfruttamento delle risorse del pianoforte che verrà superato solo una quindicina d'anni più tardi da Cowell: il passaggio dall'esecuzione sulla tastiera all'esecuzione sulla cordiera. Non si vuoi dire che la scrittura pianistica del Preludio sia in qualche modo inadeguata; ma, alla luce di posteriori esperienze storiche, non si può non vedere un preannuncio del glissando sulla cordiera nel grande glissando a due mani, e non si può non vedere un preannuncio del pizzicato sulla cordiera negli ultimi suoni della mano destra. Accanto a questi aspetti «futuribili», la tecnica del Preludio presenta tutti i tratti tipici di Debussy, e anche tratti chiaramente derivati da Liszt (o, forse, dal Gaspard de la nuit di Ravel, che a sua volta ripensa in termini nuovi certi aspetti della tecnica lisztiana). Per questa sua complessità il Preludio è ritenuto un test probantissimo, ed è prediletto da molti pianisti.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

'Preludio' (dal latino tardo e poi medievale 'praeludium', nel senso di 'introduzione, proemio, prologo' anche, ma non solo, musicale) è termine della pratica strumentale che per alcuni secoli ha definito un'introduzione a una composizione orchestrale o solistica (specialmente sull'organo) o vocale, con funzioni pratiche, cioè per preparare l'esecuzione di un brano formalmente impegnativo (come la fuga) o di più brani (come la suite di danze), oppure porgere l'intonazione ai cantanti, dimostrare la bravura del solista e così via. Da queste diverse funzioni derivava il suo carattere libero, svincolato da regole costruttive, fantasioso, improvvisativo ('präludieren' in tedesco significa anche 'improvvisare'; si ricordi poi che prélude francese e Präludium tedesco sono trasferimenti dal termine che in origine è italiano). Per la sua natura soggettiva il genere del preludio si è molto sviluppato nella produzione pianistica romantica e ha abbandonato il compito di preparare altra musica maggiore, divenendo, soprattutto con i mirabili 24 Preludi op. 28 di Chopin, un autonomo brano lirico e intensamente espressivo. Anche qualche pagina pianistica breve del tardo Liszt, per esempio l'enigmatica Nuages gris del 1881, appartiene al genere del preludio, sebbene non ne porti l'intitolazione (invece, il titolo del famoso poema sinfonico Les Préludes vuol riferirsi, in modo oscuro e bizzarro, al contenuto, all'idea spirituale, non al genere musicale). Già con Chopin e soprattutto con Liszt il brano pianistico di invenzione lirica e libera ha anche una disposizione descrittiva o meglio simbolica di stati d'animo e di impressioni e spesso contiene tratti di sperimentalismo linguistico. Ma proprio Debussy nella suite Pour le piano (1896-1901) aveva premesso un 'Prelude' quale introduzione all'antica, cioè oggettiva e virtuosistica, ai due brani successivi. Era stata, questa suite, una delle sue stilizzazioni arcaizzanti che tornano nella produzione degli anni successivi.

Gli aspetti di lirismo impressionistico, di simbolismo sonoro, di sperimentalismo trovano la più compiuta attuazione nei due libri di Préludes composti da Debussy (1909-10 e 1910-12). Il numero totale di 24, che non è legato alle 12+12 tonalità maggiori e minori, è un omaggio a Chopin.

I 24 preludi appartengono al periodo 'maturo' di Debussy, quello dei cinque, sei anni precedenti la guerra (tuttavia 'maturità' è un concetto improprio per Debussy, che era completamente se stesso già a trent'anni). Il linguaggio di Debussy in quegli anni, trasparente, discreto, perfino aforistico (per esempio, le musiche di scena per il Martyre de Saint Sébastien, il balletto Jeux, la prima, Gìgues, delle tre Images e le tre Sonate per strumenti diversi) è quello, difficile, di chi padroneggia come nessuno nel suo tempo l'arte della riduzione, dell'essenzialità: è il linguaggio di un ascetico estetismo che non si attende popolarità. È musica spesso di qualità molto alta, ma è intellettuale, asciutta, raffinatamente allusiva e arcaizzante, ed è, quindi, poco amata dal pubblico e poco eseguita, perché ha rinunciato quasi del tutto alla magnificenza coloristica e descrittiva delle composizioni impressionistiche. Non così i Préludes, che partecipano di entrambi i caratteri, ma più del descrittivo e simbolistico che dell'allusivo e ascetico, e che, forse per questo, sono entrati da subito nel repertorio di ogni pianista e nelle preferenze degli ascoltatori: ma che non si tengono tutti alla stessa altezza di invenzione e di necessità poetica (e questo Debussy stesso ammetteva con aristocratica consapevolezza). Alla lettura e all'ascolto, infatti, si ha l'idea che qualche pagina (nel II libro Les fées danseuses, per esempio, o Ondine) sia stata sollecitata da una vaga suggestione timbrica o da una sensazione coloristica o da una fantasia letteraria più che da un autentico impulso musicale. Della generale perfezione dei mezzi, però, e dell'originalità stilistica non si discute, naturalmente.

Come i preludi del I libro, così anche quelli del II non seguono una successione preordinata né nel contenuto né nelle reciproche relazioni armonico-tonali. Quanto al contenuto, anzi, bisogna dare un significato molto circoscritto, direi provvisorio, ai titoli, che tutt'al più orientano la nostra attenzione senza predisporla ad alcuna narrazione (Debussy avrebbe addirittura voluto che fossero stampati in fondo al brano e non come intitolazione); e l'impianto tonale è sempre molto libero e cangiante. Tuttavia è sottile ma anche molto decisa la dialettica di energie espressive tra un brano e l'altro, condotta con un accorto sistema di opposizioni in quattro gruppi, ciascuno di tre brani: sì che in ognuno dei gruppi la musica ripercorre idealmente da un episodio all'altro le diverse disposizioni di stile e di gusto dell'arte di De¬bussy. All'impressionismo sfumato dei Brouillards segue, infatti, il prosciugato lirismo delle Feuilles mortes e il trittico, chiamiamolo così, si conclude con la sorpresa ritmica e vitalistica della magnifica La puerta del vino. L'ordine si ripete nei due gruppi successivi e si ripresenta variato nel trittico finale, nel quale le spiritose Tierces alternées (quasi una meccanica parodia del 'debussismo') cedono l'ultimo posto ai Feux d'artifice, che è conclusione complessiva d'effetto ed eloquente antitesi dei Brouillards dell'inizio. Notiamo infine il divertito umorismo (attitudine non frequente in Debussy) nella citazione dell'inno inglese in Pickwick e la misteriosa, malinconica eco della 'Marsigliese' nelle ultime battute dei Feux d'artifice. Quando Puccini compose Il tabarro (con la tromba in lontananza che suona 'il silenzio') già conosceva questa pagina? E conosceva Canope quando compose Suor Angelica!

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 Dicembre 1992
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 novembre 2001


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Ultimo aggiornamento 3 aprile 2015