La damoiselle élue

Poema lirico per soprano, coro femminile e orchestra, L 69

Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
Testo: Dante Gabriele Rossetti tradotto in francese da Gabriel Sarrazin
Organico: soprano, coro femminile, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, 2 arpe, archi
Composizione: 1887 - 1888
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 8 aprile 1893
Edizione: Librairie de l'Art indépendant, Parigi, 1893 (spartito); Durand, Parigi, 1906 (partitura)
Dedica: Paul Dukas

Riorchestrato nel 1902
3° envoi de Rome
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Strano esempio di "rifrazione" nei diversi campi artistici quello del tema della Blessed damozel prediletto dal pittore e poeta preraffaellita Dante Gabriel Rossetti: dapprima, nel 1847, l'artista inglese lo illustrò in un poemetto di quindici stanze, quindi dalla lirica ricavò un quadro enigmatico, cromaticamente giocato sui neri, i bruni, i terra di Siena opposti al bianco accecante della luce che colpisce la "fanciulla eletta", e ove la sontuosità antiquaria e i tic iconografici tipici dei preraffaelliti concorrono a dare al dipinto un'aura di maestosa, funeraria tristezza. Infine tra il 1887 e il 1888 Claude Debussy mise in musica la poesia di Rossetti nella traduzione francese di Gabriel Sarrazin, creando una sorta di "commento sonoro" di quella visione sospesa tra diafana ieraticità religiosa e nascosto, languido erotismo, disegnando in suoni l'atmosfera sia della poesia che del dipinto, in quello che va considerato come il primo grande esito della particolarissima sinestesia tra suono-colore-parola che da quel momento abitò quasi perennemente le opere vocali del musicista francese. La composizione, scritta come terzo "invio" alla commissione del Prix de Rome, fu poi ritoccata nell'orchestrazione dall'autore nel 1902, mettendo a frutto le conquiste timbriche della contemporanea, straordinaria strumentazione del Pelléas.

Debussy fu certamente attratto nella poesia di Rossetti dalla strana commistione (ampiamente in linea con gli stilemi anti realistici e morbosamente estetizzanti dei preraffaelliti, che non poca influenza ebbero sulla concezione artistica del simbolismo), di elementi trascendenti, di estatica attesa e di desiderio carnale occulto, attraverso i quali si dispiega il commosso anelito all'amore oltre la vita invocato dalla fanciulla per il proprio amato. Debussy affida le stanze descrittive della lirica rossettiana che precedono e seguono il discorso diretto della Damoiselle alternativamente al canto sillabico del coro femminile e alla voce di contralto (o di mezzosoprano) della "narratrice", mentre la lunga perorazione della protagonista della lirica è affidata ad una voce di soprano. Ecco quindi che l'intonazione debussiana si articola in una sorta di trittico - introduzione orchestrale e prime cinque stanze in cui si alternano il coro e la voce solista della "narratrice" / intonazione delle sette stanze della "meditazione mistico-amorosa" della fanciulla / ultime tre stanze affidate di nuovo al coro e alla voce della "narratrice", salvo un isolato intervento della Damoiselle - che rispecchia fedelmente la tripartizione della lirica (si noti che anche il quadro di Rossetti è suddiviso in tre ben distinte fascie orizzontali corrispondenti all'amato, alle anime beate e alla fanciulla) e fa da cornice formale all'estrema libertà morfologica della musica. Diversa l'atmosfera delle tre sezioni: mentre le due estreme tendono ad una diafana ieraticità, ottenuta mediante il ricorso ad un diatonismo non di rado modaleggiante, a timbri tersi e trasparenti e ad un andamento ritmico quasi alieno da increspature "drammatizzanti", la parte centrale è costituita da un susseguirsi di addensamenti ricchi di pathos, ove la musica sottolinea la catena di immagini in cui si dipana la struggente invocazione della Damoiselle per un amore oltre la morte. Si pensi ad esempio alla subitanea e poi subito smorzata accensione della trama musicale in corrispondenza dei versi «allora poserò la mia guancia / contro la sua, gli parlerò del nostro amore, / senza imbarazzo o debolezza», ottenuta grazie alla progressiva ascesa della melodia della voce dal mi3 al re diesis4, all'accelerazione metronomica da "Lent" a "Un peu retenu" e al progressivo inspessirsi timbrico della trama strumentale.

Il mondo sonoro della Damoiselle possiede già l'originalità stilistica dei capolavori della maturità, e in essa il fascino della tarda orchestra wagneriana viene elaborato come influsso, non come calco. Da poco tornato da Bayreuth ove aveva assistito al Parsifal, Debussy di quella ammiratissima partitura prese infatti ciò che gli serviva, evitando un'imitazione comunque filtrata, che sarebbe risultata fatale per l'esito estetico del lavoro. Certo l'estenuata religiosità del testo di Rossetti gli suggerì di riprendere in più punti il diatonismo timbricamente etereo che caratterizza molti dei momenti di intensa spiritualità dell'opera wagneriana. Ad esempio la melodia con cui si apre l'introduzione, per sola orchestra, le cui quinte parallele creano un andamento quasi modale, rammemora in forma stilizzata - sia nei timbri, per il diafano colore degli archi con sordina, che nell'andamento melodico prima ascendente poi discendente e basato sull'arpeggio dell'accordo -, il tema iniziale del Preludio del Parsifal; mentre la successiva ascesa degli archi che culmina con una corona sul sol sovracuto dei violini è chiaramente un memento sinottico della più sviluppata melodia ascendente che segna la seconda idea tematica del Preludio del Bühnenweihfestspiel.

La commissione del Prix de Rome nel giudizio stilato sulla Damoiselle si rammaricava di ravvisarvi quelle «tendenze vaghe e nemiche di una forma determinata» che già aveva stigmatizzato nelle precedenti prove del giovane compositore, benché esse fossero, secondo gli esaminatori, «giustificate dalla natura del soggetto». Il biasimo, un tantino filisteo, centra però la strategia del brano, poiché la "vaghezza" formale - in particolare la resistenza ad uno sviluppo tematico tradizionale a favore di una libera trasformazione e iterazione variata di alcune idee melodiche ricorrenti, coniugata ad un uso di una tavolozza timbrica "virtuosisticamente severa" nei suoi continui e controllatissimi trasalimenti cromatici -, permettono a Debussy di creare una composizione ove vive il perturbante fascino dell'inespresso. Nella pagina infatti l'intensità emotiva che prorompe dalla descrizione dell'inappagato desiderio della visione poetica è sempre presente come una sorta di incantesimo, ma sfugge sistematicamente dal "rivelarsi" appieno in qualche luogo, in qualche climax della partitura, nonostante le citate accensioni timbrico-melodiche della sezione centrale. Essa è pervadente e assente ad un tempo, emblema musicale di una inafferrabilità e di un'ineluttabilità che Debussy inseguiva quale cifra ultima di tutto il suo mondo poetico. Nella Damoiselle élue si mostra infatti in nuce quell'attitudine estetica e quella profonda empatia musicale di Debussy - misteriosa mistura di impassibilité e profonda emozione - per quei testi letterari o drammatici nei quali l'inespresso e il "non raggiungibile" erano parte costitutiva del loro contenuto profondo, come egli ben disse a proposito del Pelleas: «sogno poemi [...] che mi forniscano scene mobili [...] dove i personaggi non discutano, ma subiscano la vita e la sorte».

Paolo Cecchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«La damoiselle élue» costituisce il terzo e ultimo «envoi de Rome» del giovane Debussy che, nel 1884, appena ventiduenne, aveva vinto il «Prix de Rome» e aveva dovuto soggiornare per due anni nella capitale italiana componendo, per regolamento, alcuni lavori. Nel secondo di questi lavori, «Printemps», i maestri del musicista, sempre lungimiranti come tutti gli accademici, avevano condannato la «tendenza troppo pronunciata alla ricerca dell'insolito e dello stravagante» che si rivelava evidentemente sotto la morbidezza un po' massenetiana della scrittura. Nel terzo lavoro, composto nel 1887-88 su un testo abbastanza prezioso e decadente di D. G. Rossetti, tradotto in francese da G. Sarazin, Debussy raggiunge probabilmente il suo primo risultato artistico di un certo rilievo ammesso perfino dall'Accademia la quale, dopo aver ricordato i precedenti rimproveri rivolti al compositore per le sue «tendenze sistematiche o vaghe nell'espressione e nelle forme», rilevava che qui esse erano giustificate dalla natura e dal carattere indeterminato del soggetto.

In effetti, questo giovanile oratorio debussyano presenta chiaramente i segni di una dualità stilistica riscontrabili, da un Iato, nelle reminiscenze scolastiche e in una vocalità per certi aspetti tuttora legata a scherni tardo-romantici, dall'altro, invece nelle premonizioni dell'arte futura del maestro, in quella indeterminatezza e mobilità di declamazione, in quelle sfaccettature timbriche e armoniche che fanno pensare al «Pélleas».

Mario Sperenzi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 1 dicembre 1996 (2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 30 marzo 1974


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Ultimo aggiornamento 14 febbraio 2020