Variazioni, op. 27


Musica: Anton Webern (1883 - 1945)
  1. Sehr mäßig
    Composizione: Maria Enzersdorf, 18 luglio - 19 agosto 1936
  2. Sehr schnell
    Composizione: Maria Enzersdorf, 25 agosto - 5 settembre 1936
  3. Ruhig fließend
    Composizione: Maria Enzersdorf, 14 ottobre 1935 - 8 luglio 1936
Organico: pianoforte
Composizione: 1935 - 5 settembre 1936
Prima esecuzione: Vienna, 26 ottobre 1937
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1937
Dedica: Eduard Steuermann
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le Variazioni op. 27 sono l'unico lavoro pianistico di Webern, se si escludono i lavori giovanili, quelli incompiuti e due piccoli pezzi, senza numero d'opus, scoperti nel 1965 da Hans Moldenhauer (il musicologo statunitense autore nel 1970 di una documentatissima monografia sul compositore austriaco), il Kinderstück del 1924 e il Klavierstück im Tempo eines Minuetts del 1925.

La stesura delle Variazioni durò quasi un anno, a partire dall'ottobre del 1935 come ricorda lo stesso autore in una lettera a Hildegard Jone (datata 15 ottobre): «Sto già lavorando ad un nuovo pezzo. Come ti ho detto a voce questa volta sarà puramente strumentale». Webern preparò la tabella delle serie nel novembre di quell'anno, ma solo nel giugno dell'anno successivo trovò la concentrazione necessaria per riprendere il lavoro, portando a termine i tre movimenti in un ordine diverso da quello definitivo (l'8 luglio completò il terzo, il 19 agosto il primo, il 5 settembre il secondo). Durante questa fase di inteso lavoro scrisse ancora alla Jone (in una lettera datata 18 luglio): «Sono in un periodo creativo buono. Ho già concluso una sezione del mio lavoro. Vi dissi che stavo scrivendo qualcosa per pianoforte: la parte finita è un tempo di variazioni; sarà una specie di suite. Con queste Variazioni spero di essere riuscito a realizzare qualcosa che avevo in mente da anni. Una volta Goethe disse a Eckermann, che si diceva entusiasta di una nuova poesia: dopotutto ci ho meditato sopra quarantanni».

In effetti la forma della variazione era da molto tempo al centro dell'interesse di Webern, che nelle sue conferenze del 1932 scriveva: «Variazioni su un tema, questa è la forma primordiale che sta alla base di tutto. Due cose che sembrano completamente diverse tra loro, in realtà sono la stessa cosa. E così si genera la più larga coerenza». Webern aveva fatto sua l'idea schönberghiana della «variazione continua», a sua volta ereditata da Brahms, ma in un modo del tutto originale, perché si trattava di una variazione senza tema. Il tema era sostituito dalla serie dodecafonica, con le sue forme speculari (originale, inversa, retrograda, retrogrado-inversa) e le sue trasposizioni, con una struttura intervallare meticolosamente selezionata, e la serie diventava una sorta di "meta-tema" sotteso a tutte le figure musicali messe in gioco.

A Webern quindi non interessava la forma del "Tema con variazioni", ma il processo della variazione in sé, che potesse prescindere da un tema riconoscibile («Posso lavorare anche senza un tema, cioè molto più liberamente, in virtù dell'unità ora garantita in altro modo; la serie mi garantisce coerenza»), e che diventò il cardine delle sue composizioni, anzi il mezzo ideale per lavorare con le strutture dodecafoniche (confidò a Willi Reich: «Studiare lo sviluppo della tecnica della variazione spalanca la strada alla tecnica seriale. A tema e serie ci si rapporta in modo analogo»).

Le Variazioni op. 27 mostrano complicati artifìci contrappuntistici, canoni che generano sofisticate strutture "a specchio", combinazioni geometriche delle forme seriali da cui si ricavano frammenti melodici e figure accordali, montati in un ordito al tempo stesso denso, perché contiene il «massimo possibile di relazioni», e trasparente, perché la texture appare spesso scarna, smaterializzata, tesa a un ideale di assoluta purezza. In questo mirabile gioco di incastri, di permutazioni, di specchi (che molti compositori negli anni Cinquanta considerarono un esempio di serialità integrale ante ìitteram), in questa poliedrica architettura musicale, dove la forma della variazione appare ibridata con quella della Suite (in tre movimenti, come un'Allemanda, una Giga e una Sarabanda), e della forma-sonata, Webern non mira ad un esito astratto, al puro piacere intellettuale, anzi, al contrario, cerca l'afflato romantico, la tensione drammatica, tipica appunto delle forme classiche. I piccoli nuclei intervallari si trasformano così in un concentrato di pathos («un romanzo in un sospiro» aveva detto Schönberg parlando delle weberniane Bagatelle per quartetto d'archi), la complessa costruzione seriale diventa uno spazio sonoro vibrante, dove anche le pause appaiono cariche di tensione, e la ingegnosa scrittura pianistica appare come una tavolozza ricca di sfumature timbriche.

Di questa prospettiva poetica fu diretto testimone il primo interprete dell'opera, il giovane pianista Peter Stadlen, che suonò le Variazioni a Vienna il 26 ottobre 1937 (il pezzo era stato dedicato al pianista Eduard Steuermann, che però non lo eseguì perché costretto ad emigrare negli Stati Uniti), e che nel 1979 pubblicò in facsimile lo spartito con le annotazioni di Webern e con l'aggiunta dei suggerimenti datigli a voce da quest'ultimo, da cui risulta che l'autore voleva un'esecuzione molto libera, espressiva, piena di nuances. Il primo movimento (Sehr mäßig, molto moderato), è costruito come una successione di quattordici canoni retrogradi, che determinano altrettante figure a specchio, come dei prismi sonori; la scrittura pianistica, con il suo intarsio di figure simmetriche, ricorda quella di un Intermezzo brahmsiano; la struttura sottesa all'intero movimento è quella di una forma-sonata tripartita, con un'esposizione, uno sviluppo caratterizzato da figure più rapide e addensate e da una repentina intensificazione dinamica, una ripresa variata, con le voci dei canoni invertite, e con una coda nella quale la struttura speculare viene leggermente deformata per creare l'effetto di un esaurimento della propulsione ritmica.

Il secondo movimento (Sehr schnell, molto veloce), è una specie di Scherzo, molto breve, costruito ancora su un canone, questa volta per moto contrario, e su una forma bipartita, con due parti ritornellate, che ricorda quella di un tempo di Suite (Webern disse di avere pensato alla Badinerie della Ouverture in si minore di Bach). La struttura "circolare" data dal canone e dal ritornello, le altezze polarizzate in maniera speculare intorno a una nota centrale, le figure staccate, nervose, percussive, i repentini scarti dinamici, le acciaccature, gli ampi salti, tutto concorre a fare di questo breve movimento un oggetto sonoro che ruota su sé stesso, come un vortice immobile, caleidoscopico.

Il terzo movimento (Ruhig fließend, tranquillo e scorrevole) è quello che si avvicina di più alla forma classica delle variazioni, articolato com'è in sei sezioni che si possono leggere come un "tema" seguito da cinque variazioni, ciascuna contraddistinta da un preciso carattere musicale. Webern sembra raggiungere qui la più perfetta sintesi tra purezza seriale e varietà di sfumature, di contrasti dinamici, di connotazioni stilistiche, di momenti intimistici e gesti drammatici, attraverso le medesime strutture intervallari declinate in maniera diversa in ciascuna variazione, fino all'ultima, lenta, come una coda che evapora in una morbida successione di accordi in pianissimo.

Gianluigi Mattietti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I cento e passa anni che dividono le Variazioni di Beethoven dalle Variazioni op. 27 di Anton von Webern, completate nel 1936, non possono cancellare la discendenza ideale tra l'ultimo Beethoven e la seconda scuola viennese. In questi dieci minuti, che rappresentano l'intera opera pianistica dell'autore, la volontà di concentrare nella cellula o nella singola nota significati che le forme musicali avevano enucleato nel corso di secoli, sconfina nell'utopia. La gerarchia è soppressa e il tema è già variazione o, per dirla con Leibowitz, «in quest'opera tutto è variazione, o ancora (ciò che fa lo stesso) tutto è tema». li primo movimento è tripartito, ma la ripresa ribalta lo schema ritmico. La sezione centrale è una giga a forma di canone per moto contrario. Il terzo movimento, infine, condensa a sua volta la serie originale e cinque variazioni. Scrivendo ad Hildegard Jone per annunciare di aver terminato la seconda parte del pezzo, Webern notava: «Ciò che tu dici del tempo e della distanza come misuratori dell'arte, in contrapposizione al campo dove essi invece vengono misurati, esprime davvero tutto». Pur non conoscendo quanto la Jone aveva scritto al compositore, possiamo ben comprendere la risposta di questi. E' il rapporto nuovo che la seconda scuola viennese postulava nei confronti della storia e della storicizzazione dell'opera d'arte e nell'opera d'arte che costituisce il legato maggiore della nuova musica, e di quella weberniana in particolare.

Bruno Cagli

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Per pianoforte nella sua vita Anton Webern non aveva scritto quasi niente ma nel 1936 compose un lavoro, le Variazioni op. 27, destinato a far scorrere fiumi di inchiostro. Di commenti e analisi, anche illustri, le Variazioni op. 27 ne hanno suscitati a non finire e non è più il caso di riferirne; sembra interessante piuttosto prendere atto della diffidenza che l'autore più volte mostrò verso le indagini analitiche condotte sulle sue partiture e con questo preciso intendimento vorremmo riferire due testimonianze molto significative. Luigi Dallapiccola annota tra i suoi appunti un incontro con Anton Webern al quale espresse la sua grande ammirazione per un componimento che aveva avuto occasione di ascoltare; la risposta di Webern fu «Auch klanglich?». Vale a dire: è stato colpito dal mio componimento anche dal punto di vista sonoro? Era chiaramente il timore che la sua potesse diventare attraverso l'ammirazione della struttura una Augenmusik (musica da conoscere solo con gli occhi e non da ascoltare). Che quella di Webern sia spesso stata considerata una Augenmusik è una delle debolezze degli anni cinquanta, ma veniamo ora all'altra testimonianza che ci riporta direttamente all'epoca in cui Webern scrisse le sue Variazioni.

In una lettera all'amica Hildegard Jone del luglio 1936 Webern scrive: «Ti ho detto che sto scrivendo qualcosa per pianoforte. Quello che ho terminato è un movimento in forma di Variazioni; il tutto formerà una specie di Suite. Spero in queste Variazioni di aver realizzato qualcosa a cui penso da anni. Goethe disse un giorno a Eckermann che si mostrava entusiasta di una sua poesia che lui a quella stessa poesia ci aveva pensato per quarant'anni».

Terminate le Variazioni alle quali aveva pensato per tanti anni Webern si rese conto della terribile difficoltà dell'esecuzione, si badi, non in senso tecnico, che le Variazioni non contengono certo difficoltà digitali, ma di tipo interpretativo, e allora pregò il pianista Peter Stadlen di studiarle con lui. L'impresa fu ardua e lo studio si protrasse per qualche mese finché nell'ottobre del 1937 Stadlen poteva affrontare la prima esecuzione.

Personalmente ho avuto occasione di ascoltare dalla viva voce di Stadlen il racconto di quell'impresa una diecina di anni fa a Vienna in occasione di un congresso internazionale dedicato ad Anton Webern e sono lieto di poter raccogliere una abbondante citazione, comparsa anche in altre pubblicazioni.

«Quando (Webern) cantava e gridava, agitava le braccia e pestava i piedi nel tentativo di rendere manifesto ciò che lui chiamava il significato della musica, ero sorpreso nel constatare che trattava quelle poche note isolate come se fossero cascate di suoni. Si teneva aggrappato alla melodia che sosteneva dover essere eloquente come una frase parlata. Questa melodia si trovava talvolta nelle note acute della mano destra e poi per alcune battute suddivisa tra mano destra e mano sinistra. Era una melodia che nasceva dalla enorme tensione di incessanti rubati e da una divisione impossibile a prevedersi degli accenti. Talvolta Webern cercava di indicare il carattere generale di un pezzo e così confrontava il Quasi improvvisando della prima parte con un Intermezzo di Brahms, oppure accostava il carattere di Scherzo della seconda parte alla Badinerie della Suite in si minore di Bach alla quale diceva di aver pensato durante la composizione del suo pezzo. Webern aveva perfettamente presente il modo in cui il suo pezzo doveva essere suonato e non tralasciava neppure il più piccolo dettaglio». Stadlen conclude la sua testimonianza ricordando che «Neppure una volta Webern si preoccupò dell'aspetto dodecafonico delle sue Variazioni per pianoforte. Anche quando glielo chiesi rifiutò di spiegarmelo dicendo che per me era importante sapere come il pezzo doveva essere suonato e non come era costruito».

Vediamo ora qualcuna delle cose che Webern non gradiva troppo che venissero a conoscenza dell'interprete e probabilmente del pubblico. Sulla struttura delle Variazioni op. 27 attirò per la prima volta l'attenzione René Leibowitz nel 1946 osservando perspicacemente che si trattava di un tipo particolare di Variazione che si poteva in qualche modo considerare come il principio della variazione assoluta eretto a sistema compositivo.

Per comprendere il senso di un'affermazione del genere bisogna ripensare brevemente al significato che la tecnica delle Variazioni assume nell'opera di Webern e nella produzione dodecafonica in generale. Webern aveva iniziato la sua carriera di compositore proprio con delle Variazioni, si tratta della Passacaglia op. 1, e già allora era perfettamente consapevole del peso storico che questa tecnica compositiva assumeva nella tradizione della musica tedesca, al punto da sembrare una delle strade maestre percorse dal destino di questa musica. I punti cruciali dello sviluppo del linguaggio venivano spesso a coincidere con la forma delle Variazioni. Era accaduto in maniera decisiva con lo sviluppo del linguaggio dodecafonico e la grande svolta era stata segnata dalle Variazioni op. 31 per grande orchestra di Schönberg. Con questa partitura Schönberg aveva insegnato un uso più flessibile e vario della serie e Webern ne aveva fatto tesoro. La sua Sinfonia op. 21 era in tal senso una bellissima dimostrazione e in essa i materiali seriali si flettevano fino ad acquistare inflessioni melodiche di grande pregnanza. Le Variazioni op. 27 cercano invece di far coincidere il tema e i suoi sviluppi mettendo in valore un'intuizione teorica di Schönberg. Il Maestro della dodecafonia aveva infatti dichiarato che esiste una congenialità profonda tra la musica seriale e la forma delle Variazioni. «La serie dodecafonica è al tempo stesso di più e di meno di un Tema con Variazioni. Di più a causa della stretta relazione del tutto con la serie e di meno in quanto la serie offre minori possibilità di variazioni del tema». Naturalmente non possiamo affermare che la frase di Schönberg sia la cosa alla quale Webern dichiara di aver pensato per molti anni ma è probabile che il progetto realizzato dalle Variazioni per pianoforte andasse in quella direzione e muovesse proprio da quei presupposti.

Per dare un'idea di questa suprema concentrazione dello stile per cui tutto è variazione e tutto è tema citeremo l'inizio del componimento ove nei due righi del pianoforte si incrociano la serie nella sua forma originale e la serie nella forma del suo rovescio. Nelle prime sette battute dunque c'è simultaneamente l'esposizione del tema e la variazione dello stesso e la serie dodecafonica scindendosi nei suoi riflessi genera da se stessa le proprie articolazioni. Naturalmente le Variazioni op. 27 contengono tali simmetrie da poter alimentare le analisi più sofisticate ma noi preferiamo concludere tornando a quell'immagine del dottor Anton Webern che grida, canta, si sbraccia e pesta i piedi per costringere l'interprete a prendere atto del significato della sua musica.

Enzo Restagno


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 5 marzo 1999
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 ottobre 1976
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro della Pergola, 9 giugno 1983


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Ultimo aggiornamento 21 aprile 2016