Quartetto per archi, op. 28


Musica: Anton Webern (1883 - 1945)
  1. Mäßig
  2. Gemächlich
  3. Sehr fließend
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Maria Enzersdorf, 1937 - 26 marzo 1938
Prima esecuzione: Pittfsfield, 22 settembre 1938
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra 1939
Dedica: Elisabeth Sprague Coolidge
Guida all'ascolto (nota 1)

Il Quartetto per archi op. 28 appartiene, con la Sinfonia op. 21, il Quartetto op. 22 per violino, clarinetto, sassofono tenore e pianoforte, il Concerto per nove strumenti, le Variazioni pianistiche op. 27, le Variazioni orchestrali op. 30, a una fase, l'estrema, di massima concentrazione, che pone la variazione perpetua, senza residui di esposizione tematica, al centro della problematica compositiva. Sono opere capitali, da cui partì, a suo tempo, l'esperienza della Nuova Musica.

Composto nel 1938, eseguito per la prima volta dal Quartetto Kolisch, il lavoro si svolge in tre movimenti: mässig, gemächlich, sehr fliessend. Le forme, o le tecniche tradizionali che costituiscono la premessa compositiva di questi tempi, e che sono state illustrate dagli studiosi, non interessano, e soprattutto non riguardano l'ascoltatore. Ciò che concerne la sua attenzione è la configurazione interna della serie, matrice dell'intera composizione.

Ora, tal serie è composta di sole seconde minori, terze minori e maggiori. Siccome in essa il rovescio è identico al retrogrado, le possibilità di recezione sono ridotte: ciò che viene percepito, nella trama intervallare, è appunto e solo una costanza implacabile di intervalli identici: essi, in una sezione di quattro suoni, si configurano secondo la sigla B.A.C.H., su cui tante musiche si sono composte.

La definizione del nuovo spazio sonoro, pianificata in tal guisa l'intervallistica, e ridotta al minimo, soprattutto nei primi due movimenti, la scansione ritmico metrica, è affidata al timbro e, data l'affinità degli archi, al modo d'attacco: esso vale ad enucleare i singoli punti, o istanti, di questo perfettissimo cosmo.

Spetta a Stockhausen, in un saggio illustre, l'aver dimostrato, con riferimento al secondo tempo, analizzato con singolarissima acribia, il modus operandi di Webern. Nella prima sezione si hanno 35 durate uguali (semiminime): la «sorpresa» è data, dopo il movimento precedente, appunto da questa omogeneità. Dopo il mezzo minuto della sua approssimativa durata, l'orecchio si è avvezzato a tale costanza. A questo punto, il ritornello obbligatorio ha la funzione di consentire l'ascolto delle differenze agogico-dinamiche, cui di necessità l'attenzione non presta, la prima volta, credito sufficiente: la contrapposizione di pianissimo e forte, le forcelle, il cambio pizzicato-arco.

In tutta l'opera, si determinano in modo tagliente le strutture della percezione, di pari passo alla codificazione delle strutture di supporto (a cominciare dall'intelaiatura seriale) che dì necessità restano esclusive, segrete anzi: giacché (e non si finirà mai di predicarlo) «la musica dodecafonica non è una categoria» (Metzger). La determinazione dello spazio multiplo, finalmente e pienamente non-tonale (ma meglio si avrebbe a dire anti-tonale, avendo la tonalità come termine di riferimento, costantemente sottaciuto), avviene attraverso parametri che, per la prima volta, salgono a dignità di protagonisti. Il punto critico di tale svolta è segnato da Webern con i mezzi della tradizione: cioè con la fissazione, ancora, delle altezze. Ma, qui, per abolirne la presa. Esse funzionano come semplici elementi delimitatori di uno spazio, che, realmente, viene poi occupato da elementi già secondari: timbro, modo d'attacco, durata, registro, intensità, densità verticale (da uno a quattro suoni). Perfetto spartiacque dell'antico e del nuovo, il Webern delle ultime prove strumentali stabilisce il congedo dalla nota proprio affermandone la valenza ultima: quella successione tipica di intervalli «inerti», da cui solo può derivare la supremazìa del suono, esplicitamente celebrata in quegli anni dal suo polo opposto, Edgard Varese.

Mario Bortolotto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 5 febbraio 1971


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Ultimo aggiornamento 15 ottobre 2014