Sei Pezzi per orchestra, op. 6

Prima versione

Musica: Anton Webern (1883 - 1945)
  1. Etwas bewegt
  2. Bewegt
  3. Zart bewegt
  4. Langsam, marcia funebre
  5. Sehr langsam
  6. Zart bewegt
Organico: 4 flauti (3 e 4 anche ottavino, 4 anche flauto contralto), 2 oboi, 2 corni inglesi, 3 clarinetti (3 anche clarinetto piccolo), 2 clarinetti bassi, 2 fagotti (2 anche controfagotto), 6 corni, 6 trombe, 6 tromboni, basso tuba,timpani, percussioni, 2 arpe, celesta, archi
Composizione: 1909 (Versione ridotta: 1920 - Seconda versione: 1928)
Prima esecuzione: Vienna, Musikverein, 31 marzo 1913
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1961
Dedica: Arnold Shönberg
Guida all'ascolto (nota 1)

Webern compose questi Sei Pezzi nell'estate del 1909, all'età di ventisei anni, quando, dottore in Filosofia (con una tesi in musicologia discussa a Vienna con Guido Adler) e allievo di Schönberg, si guadagnava da vivere dirigendo operette come maestro sostituto alla Volksoper: la nozione di "musica" è ormai diventata qualcosa di così vasto che raramente mondi espressivi così diversi avevano coabitato in un solo individuo; mestiere musicale e composizione, da sempre uniti e fecondi di scambi reciproci, celebravano ormai un assodato divorzio.

Il ciclo dei sei pezzi era stato concepito in origine per una orchestra enorme, e Schönberg s'incaricò di dirigerne la prima esecuzione pubblica, il 31 marzo 1913, nella sala del Musikverein di Vienna; nel 1928 Webern ne approntò una nuova versione per orchestra normale, ma pur sempre cospicua, di portata mahleriana e straussiana per intenderci; in questa occasione dal quarto brano fu soppresso il titolo "Marcia funebre" presente in origine.

L'op. 6 è un lavoro capitale perché mai tanti mezzi erano stati impegnati per dire cose tanto minime, segrete e distillate; la tendenza già presente in Mahler, a spaccare gli accordi e isolare i suoni malgrado gigantesche assemblee sinfoniche, raggiunge l'apice in questa partitura dove ogni suono, vagando in un universo sbattezzato, senza punti cardinali, si incide come una impercettibile scalfittura. Il pensiero dominante è all'opposto dell'impressionismo, i timbri anziché fondersi nello sfumato, si sollevano come un reticolo di ferro, dove ogni combinazione sonora risplende come un evento, mai detto o udito prima; anche la durata minima ha poco in comune con lo spirito dell'aforisma, singolarmente aperto e allusivo: al contrario, qui il tracciato è chiuso in se stesso, e sotto l'aspetto spettrale scatti di furia e abbandoni di tenerezza sono registrati con superbo rigore nella verità dell'opera compiuta.

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 18 marzo 1995


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Ultimo aggiornamento 23 luglio 2014