Das Augenlicht, op. 26

Cantata per coro e orchestra

Musica: Anton Webern (1883 - 1945)
Testo: Hildegard Jone da "Viae inviae" Organico: coro misto, flauto, oboe, clarinetto, sassofono, corno, tromba, trombone, grancassa, piatti, triangolo, percussioni, arpa, celesta, mandolino, 8 violini, 4 viole, 4 violoncelli
Composizione: Maria Enzersdorf, febbraio - 13 settembre 1935
Prima esecuzione: Londra, 17 giugno 1938
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1956
Dedica: alla figlia Amalie Waller
Guida all'ascolto (nota 1)

La cantata «Das Augenlicht» per coro misto e orchestra op. 26 si pone fra i capolavori dell'estrema fase creativa di Anton Webern. Nel 1930, quando il maestro di Vienna aveva raggiunto una considerevole fama ed era al pieno delle sue capacità poetiche, egli formula per la prima volta, alla sua amica Hildegard Jone, l'intenzione di scrivere una composizione per coro e orchestra. A questa singolare figura di poetessa e di pittrice Webern sarà lungamente legato, e gran parte dei testi da lui musicati (fra cui i Lieder op. 23 e op. 25) si debbono alla Jone, la cui vena ispiratrice oscilla fra un misticismo idealizzante e un gusto per le immagini rare e cesellate. Basterebbe, trascegliendo fra le numerose lettere scambiate fra il musicista e la poetessa, notare i versi che più colpirono Webern, per comprendere come, via via che la sua tecnica dodecafonica tocca i più alti vertici della perfezione e del rigore, parallelamente Webern sentiva la necessità di «umanizzare» quei processi di cristallizzazione formale con spunti poetici più immediatamente percepibili, carichi di una pregnanza di significato che rendessero esplicita la ricchezza della elaborazione formale, altrimenti destinata alla delibazione esclusiva dei pochi capaci di decifrare la sottile trama strutturale integralmente dodecafonica. «Si stacca dai rami oro silenzioso... Ciò che succederà, sprofonda morbide radici in ciò che aspetta nel buio... Un dorato svolazzare... Come sono felice! Ancora una volta tutto mi è diventato verde... L'uccello purpureo del cuore vola nella notte... Stelle, voi argentee api... Oh, mondo rischiarato dallo sguardo!».

Nel 1930, dicevamo, Webern scrive alla Jone: «Ora mi attira molto l'idea di scrivere una Cantata... Vorrebbe scrivere per me un testo di questo genere? ... Questa idea non mi lascia più in pace e cosi ho dovuto comunicargliela. Lo schema di una cantata (come la intendo io) è all'incirca questo: coro; voce sola; eventualmente ancora voce sola e poi di nuovo coro; quanto ai solisti, penso ad una voce di soprano e, eventualmente, un baritono. (Ma questo non deve significare una costrizione) [Sembra qui prospettarsi l'organico che sarà della Cantata op. 31, ancora su testo della Jone].

«In fondo, il testo di cui avrei bisogno dovrebbe essere molto breve, perché non ho assolutamente intenzione di scrivere un lavoro di lunga durata! C'è anche da considerare il fatto che nelle parti corali si possono ripetere delle parole... Che cosa dovrebbe costituire il tema del testo: lo dico chiaro e tondo: la «Farbenlehre»! Mi mandi alcune frasi della Sua «Farbenlehre»! lo mi immagino qualcosa del genere per il testo di questa cantata! Cioè, per intendersi, desidererei delle parole, che esprimessero qualcosa di questo miracolo. In tante Sue poesie gli aspetti della natura sono stati espressi in una forma cosi bella. Il testo però non dovrebbe essere assolutamente né in rima né in qualsiasi altra forma «legata». Per questo, appunto, le chiedo alcune frasi della Sua «Farbenlehre»! Sarei cosi felice se Lei riuscisse a trovare quanto io intravedo confusamente e non voglio aggiungere altro. L'idea Le piace? Ripeto ancora la cosa principale: brevità ».

Solo nel 1935 la partitura, per solo coro (senza solisti) e orchestra sarà terminata, ed eseguita a Londra nel 1938, in occasione del Festival della Società di Musica Contemporanea. Nel frattempo, molte altre lettere fra la Jone e Webern punteggiano la fase creativa: ed in particolare merita di essere citata, a documento della intima consonanza raggiunta fra i due: «O mare dello sguardo col frangente delle lacrime!» (Questo è proprio il centro del pezzo e nello stesso tempo il punto di massima intensità dinamica). E quando tu risvegli, con i versi che seguono (e qui, musicalmente, comincia senza preparazione alcuna una parte in gradissimo contrasto con la precedente), una immagine, la cui essenza è la più estrema dolcezza e amorevolezza: 'Le gocce, che scintillano sullo stelo delle ciglia, sono illuminate dal cuore e dal sole', tu raggiungi, a parer mio, la più alta forma d'espressione: la lacrima, una goccia d'acqua, 'dal cuore e dal sole illuminata': e cosa la fa sgorgare? Non c'è più bisogno di risposta...».

La breve cantata (della durata di appena dieci minuti) si articola, pur senza soluzione di continuità, in episodi, in «sintonia» con l'espressione dei versi trascelti; limitati a pochissime battute gli interventi dell'orchestra sola; nella scrittura del coro si manifesta la tendenza, caratteristica dell'ultimo Webern, a considerare la serie dodecafonica come un vero e proprio tema unitario, quasi una melodia che, esposta da una voce, viene imitata a canone da altre voci o dall'orchestra, per moto retto, contrario o retrogrado. Questa sottile trama compositiva (cui corrisponde un'orchestra trasparente, trattata solisticamente) sottolinea il carattere estatico, contemplativo dei versi che cantano il «miracolo» dello sguardo. Ma leggiamo l'analisi che di questa cantata ha lasciato il maggiore esegeta della Scuola di Vienna, René Leibowitz: «In 'Das Augenlicht' ritroviamo il lirismo intenso, il calore melodico dei tre Canti op. 23, qualità a cui si aggiunge la nudità delle op. 21 e 22. La giustapposizione del coro e dell'orchestra ha fornito a Webern l'occasione per affrontare nuovi problemi d'equilibrio dei piani sonori. Il coro è trattato alternativamente in modo armonico e contrappuntistico. L'orchestra, di composizione assai speciale (flauto, oboe, clarinetto, sax alto, corno, tromba, tromboni, timpani, glockenspiel, xilofono, cimbali, arpa, celesta, mandolino, otto violini, quattro viole, quattro violoncelli) rivela gli stessi criteri di scrittura strumentale adottati nelle op. 21 e 22. La forma, che non deve niente ad alcuno schema prestabilito, è elaborata con estremo rigore. L'alternanza di passaggi contrappuntistici e armonici del coro, cosi come le fluttuazioni dello strumentale (orchestra sola, coro a cappella, impiego simultaneo di coro e orchestra) sottolineano con esemplare plasticità l'architettura dell'opera. Le parti contrappuntistiche testimoniano non solo la consueta maestria di Webern, ma anche nuove preoccupazioni. Mentre le op. 21 e 22 usavano soprattutto canoni per moto contrario, qui gioca un grande ruolo il canone ricorrente. Per illustrare questo stato di cose, scegliamo la prima entrata del coro: soprani e tenori eseguono un canone per moto retrogrado, che ha nelle due parti un ritmo simile. A questo, l'orchestra aggiunge un altro canone, ancora per moto retrogrado. Qui, dal punto di vista ritmico, ci troviamo di fronte al procedimento tipicamente weberniano della scalatura degli accenti, i valori metrici essendo uguali nelle due parti. Inoltre, i quattro motivi che costituiscono il canone rivelano una scrittura strumentale che testimonia quella «simmetria dei timbri» che conosciamo dall'op. 21 e che realizza l'ultimo stadio della «Klangfarbenmelodie» quale si è posto infine a Webern».

L'analisi si addentra in particolari formali ancor più minuti: a noi basta esserci soffermati sull'accenno all'ultimo stadio della Klangfarbenmelodie: il principio della armonia fra timbri (colori) strumentali — e non chiedeva Webern versi dalla poesia «Farbenlehre» della Jone? — ricercato nella scuola di Vienna fin da Schoenberg e destinato a divenire uno dei cardini compositivi delle nuove avanguardie.

Cesare Orselli

Testo

Durch unsre offnen Augen fließt das Licht ins Herz
und strömt als Freude sanft zurück aus ihnen.
Im Liebesblick quillt mehr herauf als je herabgedrungen.
Was ist geschehen, wenn das Auge strahlt?
Sehr Wunderbares muss es uns verraten:
Daß eines Menschen Innerstes zum Himmel ward
mit so viel Sternen als die Nacht erhellen,
mit einer Sonne, die den Tag erweckt.
O Meer des Blickes mit der Tränenbrandung!
Die Tropfen, welche sie versprüht auf Wimpernhalme,
vom (Herzen und der Sonne werden sie beschienen.
Wenn sich die Nacht der Lider über deine Tiefen still niedersenkt,
dann spülen deine Wasser an die des Todes:
deiner Tiefen Schätze, die tagerworbnen
nimmt er sacht mit sich.
Jedoch aus seinen unergründlich dunklen Tiefen,
wenn mit den Lidern sich der Tag erhebt,
ist manches seiner Wunder in den Blick, den neuen,
heraufgeschwommen, und es macht ihn gut.
Attraverso i nostri occhi aperti la luce fluisce nel cuore
e, trasformata in gioia, dolcemente da essi si irradia.
Dallo sguardo amoroso sgorga più di quello che mai vi sia penetrato;
Che cosa avviene quando l'occhio brilla?
Ci fa partecipi di un vero miracolo:
La parte più intima di un uomo si è trasformata in cielo
con tante stelle quante illuminano la notte,
con un sole che sveglia il giorno.
O mare dello sguardo con la risacca delle lacrime!
Le gocce che spruzza sugli steli delle ciglia,
vengono illuminate dal cuore e dal sole.
Quando la notte delle palpebre scende tranquilla sui tuoi abissi,
le tue acque confluiscono con quelle della morte:
I tesori dei tuoi abissi, acquisiti al giorno,
piano vengono portati via dalla morte.
Ma dai suoi abissi oscuri imperscrutabili,
quando con le palpebre si alza il giorno,
qualcuna delle sue meraviglie giunge a riva
nello sguardo rinnovato, rendendolo buono.
(Traduzione di Gudrun Stühff-Mazzoni)

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino;
Firenze, Teatro Comunale, 28 ottobre 1977


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Ultimo aggiornamento 20 gennaio 2019