Concerto per clarinetto e orchestra n. 1 in fa minore, op. 73, J. 114


Musica: Carl Maria von Weber (1786 - 1826)
  1. Allegro (fa minore)
  2. Adagio ma non troppo (do maggiore)
  3. Rondò: Allegretto (fa minore)
Organico: clarinetto solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 3 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Monaco, 18 aprile - 17 maggio 1811
Prima esecuzione: Mannheim, Nationaltheater 13 giugno 1811
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1822
Dedica: composto per Heinrich Baermann
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nell'Allegro iniziale,il sipario si apre su un cupo pianissimo degli archi, nel quale violoncelli e contrabbassi introducono il motivo del tema orchestrale; nel successivo fortissimo del tutti il tema passa invece ai violini, mentre l'intensità drammatica viene sottolineata da un insistente ritmo anacrusico che si insinua nel tessuto orchestrale. Dopo un'evoluzione modulante del tema iniziale, ecco il tema del solista che, pur appartenendo ancora al primo gruppo tematico, Weber vuole differente dal tema d'apertura: si tratta infatti di una diversa melodia dal carattere più languido e lamentoso, così come suggerito anche dall'indicazione con duolo presente in partitura. Il ritorno del tema orchestrale esposto in modo maggiore da contrabbassi e violoncelli, sopra cui si sovrappone il controcanto del solista, dà inizio a un ponte modulante che porta alla relativa maggiore (la bemolle) della tonalità principale. Qui il solista espone il secondo terna, una melodia cantabile di ampio respiro, che si snoda in una lunga corsa virtuoslstica conclusa da una breve cadenza solistica. Con il successivo intervento orchestrale Weber sembra voler chiudere la sezione espositiva in risposta alla cadenza del solista, aprendo al tempo stesso lo Sviluppo con una rielaborazione del ritmo puntato ascoltato nel tema orchestrale d'apertura. Segue quindi una lenta melodia del solista che, con un'ascesa cromatica, giunge a una riproposizione quasi letterale del secondo tema in una diversa tonalità, sul cui epigono virtuosistico si sovrappongono in ordine: fagotti, flauti e oboi, che declamano l'incipit, del tema orchestrale, fondendo così elementi dei due gruppi tematici. Dopo un richiamo dei corni all'episodio di transizione, il solista ripropone il suo primo tema sostenuto dai vibranti tremoli degli archi, con un rapido incremento di tensione che sfocia nel fortissimo della Ripresa. La singolarità formale di quest'ultima sezione sta nel fatto che Weber giunge direttamente alla conclusione del movimento con la sola riesposizione del primo tema orchestrale. Si noti tuttavia come, a partire dalla seconda parte dello Sviluppo, si trovino tutti gli elementi dell'Esposizione sebbene in ordine invertito. Partendo dal secondo tema, troviamo infatti nell'ordine: ponte modulante, primo terna del solista, primo tema orchestrale. L'intensità espressiva con cui si è arrivati alla Ripresa è stata quindi valutata dall'autore sufficiente come catarsi conclusiva di questo primo movimento.

Il secondo movimento, Adagio ma non troppo, si presenta come una successione di tre diversi quadri. Nel primo troviamo un'affettuosa melodia del clarinetto in forma A A' B A", sostenuta dal delicato accompagnamento degli archi, nella quale viene esaltata la timbrica morbida e corposa di cui è capace il clarinetto nei momenti di maggior lirismo. Dalla serena atmosfera del tema iniziale si passa a un secondo episodio in modo minore, costituito da una sinuosa linea ad arpeggi del solista sopra un tappeto armonico orchestrale, pervasa da un senso di velata inquietudine trasmessa dall'indicazione Poco più animato. Nel terzo episodio Weber ritrova la pacata serenità iniziale tramite un corale a tre voci dei corni, sul quale il solista disegna il suo lento controcanto. Tre accordi «pizzicati» in risposta ai comi riportano al tema iniziale riproposto in maniera più concisa, per poi lasciare spazio a un breve riecheggiare del corale dei corni unito al solista, su cui si spegne il secondo movimento.

L'Allegretto conclusivo è in forma di rondò con tre episodi intermedi (strofe), tutti condotti dal solista, a loro volta introdotti da altrettanti differenti episodi di collegamento. Il tema principale, che a essi si alterna, è costituito da un incalzante motivo con un malizioso spostamento d'accento nell'inciso iniziale, che prosegue con un andamento più fluido fatto di rapidi arpeggi e scale ascendenti. Dopo la prima esposizione del tema, vibranti stacchi dell'orchestra, in qualche modo «fermati» dalla nota lunga di risposta del solista, costituiscono l'anello di congiunzione con il primo episodio intermedio: un impetuoso fraseggio del solista, con indicazione scherzando, viene accompagnato dai soli legni e seguito da uno stretto dialogo tra il solista e gli archi pizzicati. Dopo il ritornello del tema, precedentemente introdotto dal tema stesso modificato in maniera caricaturale, troviamo un ulteriore episodio di collegamento, costituito da un vigoroso movimento orchestrale ricco di accenti «in levare», seguito da un solenne ingresso del solista che lascia prevedere futuri sviluppi, ma che costituisce in realtà solo un sigillo conclusivo di questa sezione. Si giunge così al secondo episodio intermedio, che si presenta in netto contrasto rispetto alla precedente tessitura orchestrale, sia per il passaggio al modo minore sia per il lirismo che caratterizza l'andamento melodico del solista. Al concludersi della melodia del clarinetto fanno eco i legni, mentre una figura ostinata dei violini, in crescendo, prepara una nuova ripresa del tema principale, contraddistinta da un delicato controcanto che gli oboi ricamano intorno alla melodia del solista. Il successivo inciso orchestrale, seguito da un breve intervento dei fagotti, prepara l'ingresso del clarinetto per l'ultimo episodio intermedio: una briosa melodia del solista, seguita da una sezione che prepara il ritornello conclusivo. Qui, dopo la riesposizione del solista, il tema viene per la prima volta affidato all'orchestra, per poi dilatarsi in una sorta di sviluppo dello stesso tema e lasciare infine spazio alla conclusiva coda virtuosistica del solista.

Carlo Franceschi de Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Padre dell'opera romantica, iniziatore di una turbinosa corrente di temi fiabeschi, fantastici e popolareggianti fu Carl Maria von Weber, le cui Freischütz (1817-21 ), Euryanthe (1822-23) e Oberon (1825-26) sono le opere capostipiti di un genere che, sviluppatosi nel primo trentennio dell'Ottocento, sfocerà poi nelle grandi epopee wagneriane e finirà per toccare anche la Rusalka di Dvorak.

Ma di questo autore è capitale anche il Concerto per clarinetto e orchestra n. 1 (1811), secondo per fama e rilievo solo al Concerto di Mozart (1791). Weber all'epoca della composizione di questo lavoro era piuttosto giovane e, di certo, non era ancora quell'acclamato compositore che sarebbe diventato dieci anni dopo.

Sicuramente le doti non gli mancavano: proveniva da una famiglia musicalissima che aveva dato i natali anche alla cugina Costanze, coniugata Mozart; ancora adolescente aveva preso lezioni da Michael Haydn (fratello di Joseph) e dallo squinternato padre - musicista di un certo valore ma pieno di progetti fallimentari - e tuttavia era stato costretto a girovagare per l'intera Germania per cercare un lavoro e un committente affidabili. Lo aveva trovato nel 1807, divenendo segretario del duca Ludovico di Württemberg, a Stoccarda, salvo poi finire invischiato in un processo per appropriazione indebita: Weber aveva trafugato 50 monete d'oro dalle casse ducali per coprire i debiti contratti da lui e soprattutto dal padre; trascorse cinque giorni in carcere ma, per il tramite di alcuni influenti amici, la pena fu commutata in esilio perpetuo dal ducato.

Si trasferì dunque a Mannheim, dove ebbe la fortuna di conoscere il virtuoso del clarinetto Heinrich Baermann, al quale dedicò dapprima il Concertino op. 26 e, sull'onda del suo successo, anche il primo e il secondo Concerto per clarinetto (op. 73 e 74). Dei tre il più compiuto è proprio il Concerto n. 1, benché ad un primo ascolto non sembri discostarsi dalla prassi compositiva dell'epoca in quanto ad architettura e sonorità.

I movimenti sono i canonici tre (veloce - lento - veloce in forma di rondò) del concerto per solista e orchestra di epoca classica; la tonalità d'inizio è di Fa minore, come sarà anche quella del Concerto per clarinetto n. 3 di Louis Spohr (1821); l'orchestra è quella ridotta, con sei legni, quattro ottoni (più un terzo corno nel secondo movimento), timpani e archi, per non mettere in difficoltà il suono del solista.

Le peculiarità di questo concerto, in effetti, stanno altrove. Il Concerto per clarinetto aveva un che di sorprendente alle orecchie dello spettatore contemporaneo, non solo per le qualità inventive di Weber ma anche perché lo strumento per il quale era stato scritto non era più quello conosciuto da Mozart. Heinrich Baermann, sulle cui capacità il Concerto era costruito, disponeva di un clarinetto all'avanguardia, più moderno rispetto ai precedenti, che gli permetteva di affrontare ardui passaggi e scale cromatiche con più serenità e velocità, e sul quale lo stesso Baermann applicava un'espressione dinamica e un'abilità tecnica molto più variegate dei suoi predecessori. Centrale fu dunque il dedicatario, tanto che senza un solista del genere la storia del clarinetto sarebbe stata di sicuro più povera. Musicista alla corte bavarese dal 1807 alla morte (1847), per lui scrissero anche Mendelssohn e Meyerbeer, e non stupisce che grazie a lui e al figlio Carl, anch'egli clarinettista e inventore di un nuovo sistema meccanico per il clarinetto, la creazione di Weber sia rimasta come uno dei più alti esempi di questo genere. L'impronta del compositore si legge invece non tanto nella confezione di virtuosismi scalari e cromatici, quanto nei temi e nelle linee melodiche del primo, del secondo movimento e di alcune strofe del rondò finale, trasfuse senza adulterazione dal repertorio operistico, dopo essere state distillate nell'opera Silvana (1810), di poco precedente. È questo un espediente che si fa ancor più luminoso se si nota che Weber trasformerà un'aria scartata da quell'opera nelle Variazioni su un tema di "Silvana" (1811) per clarinetto e pianoforte, destinate nuovamente a Baermann, oppure ancora se si osserva che il clarinetto nel Freischütz è l'esatta controparte strumentale di Agathe.

Una vera e propria scena d'opera è il secondo movimento del Concerto, travestita solo per una piccola parte, quella centrale, da Adagio per clarinetto e orchestra. I pannelli esterni del movimento rivelano invece una capacità lirica che fa da contrappeso alle agilità tecniche del Baermann e che si dispiega soprattutto in quel quadretto pastorale finale, nel quale Weber aggiunge un corno ai consueti due dell'organico orchestrale, costruendo così un inusuale - ma efficace e solenne - quartetto con il clarinetto solista. Ci si ritrova qui veramente nel regno sonoro di Weber: il clarinetto solista, protagonista di numerose sue composizioni (oltre alle citate si ricordi almeno il Quintetto op. 34 e il Gran Duo Concertante op. 48), si amalgama ad un altro timbro tanto amato, lo squisito impasto dei corni, quello che, con ruolo da protagonista, si ritroverà anche nell'ouverture del Freischütz e in forma fragorosa nei vari Jägerchor (Cori di cacciatori) delle sue opere.

Alessandro Maras


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 118 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 dicembre 2018


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Ultimo aggiornamento 9 febbraio 2019