Concerto n. 2 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, op. 32, J. 155


Musica: Carl Maria von Weber (1786 - 1826)
  1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
  2. Adagio (si maggiore)
  3. Rondò: Presto (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Gotha, 14 ottobre - 10 dicembre 1812
Prima esecuzione: Gotha, Hoftheater, 17 dicembre 1812
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1814
Dedica: Emil Leopold August, duca di Gotha
Guida all'ascolto (nota 1)

Weber è considerato, a giudizio unanime, il creatore dell'opera nazionale tedesca, che aveva mosso i primi passi con Mozart e Beethoven e si era imposta con caratteristiche più precise e specifiche con Hoffmann e Spohr, secondo una linea diversa da quella indicata dal teatro lirico francese e italiano, maggiormente sensibile alla tradizionale divisione del melodramma in "pezzi", con arie, duetti e concertati. Per Weber l'opera teatrale doveva essere un tutto unico in cui la musica, il testo poetico, la scenografia e la regia contribuivano a realizzare l'opera d'arte totale, che ebbe in Wagner il suo cultore e seguace più acceso e radicale. Weber si battè vivacemente e con toni a volte polemici con gli scritti e con la musica per dare una fisionomia e una personalità ben distinta nel contenuto e nella forma all'arte tedesca, assorbendo i principii e le idee della scuola letteraria e filosofica promossa e divulgata in Germania da Herder, Kant e Schelling. Si può dire che la prima rappresentazione del Franco cacciatore (Der Freischütz), avvenuta con enorme successo di pubblico il 18 giugno 1821 al Teatro Schauspielhaus di Berlino, segni la nascita dell'opera tedesca romantica, aperta alle sollecitazioni del fantastico e del popolaresco, in un contesto orchestrale di straordinaria magìa timbrica e di felice equilibrio tra invenzione e slancio ritmico. È vero che nel caso del Freischütz permangono certi richiami al vecchio Singspiel, nell'alternanza tra musica e prosa parlata, ma quello che conta è lo spirito nuovo che anima e coinvolge tutta l'opera, specie per la qualità della musica, vibrante di energia e di senso drammatico soprattutto nelle pagine corali e nei passaggi strumentali, a cominciare dalla travolgente e possente ouverture. Anche nell'Euryanthe, di due anni posteriore al Franco cacciatore, Weber contribuisce ad allargare il discorso sull'opera tedesca, accettando i recitativi cantati al posto dei parlati e approfondendo la funzione del declamato e la tipicizzazione dei personaggi con una ricerca pertinente del colore orchestrale, come ad esempio nell'impiego degli strumenti a fiato, specialmente del corno e del clarinetto. Forse nell'Euryanthe, più che nel Freischütz e nell'Oberon (è del 1826), in cui c'è un ritorno al Singspiel e allo spettacolo decorativo e scenografico, pur tra momenti di altissima poesia musicale, si capisce come Weber sia il precursore designato di Wagner, non solo per l'aspirazione all'opera d'arte totale, in cui si fondono musica, testo e regia, ma per la presenza nel tessuto sinfonico di quei "temi di reminiscenza" che non sono altro che una premessa del Leitmotiv, in una concezione estetico-drammaturgica più sistematica e razionale, quale fu certamente quella wagneriana.

Ciò non significa però che tutto Weber sia nel teatro e le sue composizioni sinfoniche, strumentali, da camera e pianistiche presentino scarso interesse sotto il profilo tecnico ed espressivo. Al contrario. Autore di due sinfonie, di diverse sonate per pianoforte contemporanee alle ultime di Beethoven, di due concerti per pianoforte e di due concerti per clarinetto e orchestra, del brillante e spigliato Konzertstück per pianoforte e orchestra, dei pezzi pianisitici Grande Polonaise in mi bemolle op. 21, Rondò brillante in mi bemolle op. 62, Aufforderung zum Tanz op. 65 (il famosisimo "Invito alla danza" orchestrato da Berlioz), della Polonaise brillante in mi op. 72, di numerose variazioni su temi propri e altrui (di Vogler, di Méhul e altri), di varie sonate per violino e pianoforte e di brani per fagotto, corno, violoncello e per piccoli complessi, come il trio, il quartetto e il quintetto, Weber dimostra la sua vivacità creativa e la sua inquieta natura romantica, nel contesto di una vita abbastanza movimentata e disordinata.

Il temperamento weberiano vivace, estroso ed appassionato sia nei momenti cantabili che in quelli virtuosistici dello strumento solista si può cogliere nel Grand Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra, la cui prima esecuzione ebbe luogo il 17 dicembre 1812 a Gotha con l'autore che sedeva al piano. L'idea di scrivere tale Concerto, secondo quanto riferito dallo stesso Weber nel suo diario, venne al compositore di Eutin dopo aver studiato il Secondo concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra di Beethoven, ma in effetti tra i due pezzi non ci sono molte affinità, all'infuori della stessa successione di tonalità nei tre movimenti: mi bemolle maggiore, si maggiore, mi bemolle maggiore. Il tipo di scrittura del Concerto weberiano è del tutto personale e rivela quella varietà e brillantezza di tocco e di fraseggio che appartiene allo stile del creatore del Freischütz e dell'Oberon. Dopo una introduzione orchestrale dal tono energico e festoso interviene il pianoforte che svolge il proprio ruolo di protagonista, esponendo la frase principale, affidata ad una melodia lineare e carezzevole su un accompagnamento timbricamente efficace ora degli strumentini, ora degli archi e ora dei fiati. Il discorso pianistico si infittisce e non manca la cadenza, abitualmente liberamente arricchita dallo stesso interprete. Perfettamente romantico nel suo lirismo sognante e dai riflessi lunari l'Adagio del secondo tempo, così concentrato e carico di emozioni. Il Rondò finale sprizza freschezza e gioia sonora, all'insegna di un pianismo effervescente e coinvolgente, dalle sfaccettature lucide e taglienti, secondo quel tecnicismo audace e spigliato che avrebbe fatto scuola nell'Ottocento. Non per nulla un biografo di Weber, l'inglese John Warrack, sostiene che il Presto di questo concerto evoca in un certo senso l'atmosfera virtuosistica della celebre Campanella di Liszt, terzo degli Studi trascendentali su Paganini composti nel 1838.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 29 novembre 1987


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Ultimo aggiornamento 9 settembre 2012