L'histoire du soldat

Balletto in due parti

Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Libretto: Charles-Ferdinand Ramuz
  1. La marcia del Soldato
  2. Il Violino del Soldato
  3. Pastorale
  4. Marcia reale
  5. Piccolo concerto
  6. Tre danze: Tango, Valzer, Ragtime
  7. Danza del Diavolo
  8. Piccolo corale
  9. Canzone del diavolo
  10. Grande corale
  11. Marcia trionfale del Diavolo
Organico: violino, contrabbasso, clarinetto, fagotto, cornetta (o tromba), trombone, percussioni
Composizione: Morges, 6 aprile - 3 settembre 1918
Prima rappresentazione: Losanna, Teatro Municipale, 28 settembre 1918
Edizione: J. & W. Chester, Londra, 1924
Dedica: Werner Reinhart
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1918, accerchiato dalla guerra, espropriato dalla Rivoluzione Russa, esule in Svizzera e senza soldi, Igor Stravinskij - ancora scritto così, prima di americanizzarsi in Stravinsky - assieme allo scrittore Charles-Ferdinand Ramuz, inventava uno spettacolo povero, da baraccone, su una favola di Afanasiev. Un Soldato torna a casa per una licenza, il Diavolo lo blandisce e gli sottrae il violino in cambio di un libro che realizza ogni desiderio. Tre giorni di sogni fatti realtà, solo tre giorni, ma quando il Soldato, senza il violino, arriva a casa, trova che sono passati tre anni, la sua donna s'è sposata, il suo posto non c'è più. A che serve il denaro senza affetti? Tornato povero, il Soldato riprende la strada del profugo, arriva nella terra governata da un re la cui figlia, malata, sposerà chi riuscirà a guarirla. Il Soldato ha di nuovo il suo violino, riconquistato al Diavolo con vodka e astuzia. La Principessa è sedotta, danza un tango, un valzer e un ragtime, e cade fra le sue braccia. Sembra l'epilogo bello di una fiaba. Ma quando i due giovani si metteranno in strada per raggiungere la patria del Soldato, il Diavolo li aspetterà all'incrocio del destino per riprendersi violino e anima, e al Soldato non resterà che seguirlo a capo chino. In fondo - come ha suggerito Peter Sellars in un suo spettacolo recente - L'histoire du Saldat è l'opera di un profugo sul tema dell'essere profughi.

All'inizio della prima Guerra Mondiale, Stravinsky s'era rifugiato in terra neutrale. I primi anni ruggenti dei Ballets Russes, a Parigi, dei terremoti di lingua e di stile in folgorante successione - L'oiseau de feu (1910), Petrushka (1911), Le sacre du Printemps (1912) - erano finiti. Con Diaghilev il filo rischiava di spezzarsi, la vita era difficile per tutti e l'arte non aveva le tasche piene.

Nel 1917 Stravinsky era stato privato delle sue proprietà in Russia, e anche il flusso dei diritti d'autore s'era ridotto a un rigagnolo. Viveva dignitosamente, nulla più, a Morges. Ma bisognava lavorare a tutti i costi.

Fra il '15 e il 17 prendono così corpo i Tre pezzi facili e i Cinque pezzi facili per pianoforte, il Souvenir d'une marche boche, le Berceuses du chat, Renard, le Trois histoires pour enfants, Les Noces in versione francese, la Berceuse per voce e pianoforte.

Anche Charles Ferdinand Ramuz era virtualmente un profugo. Viveva nel villaggio di Treytorrens e aveva incontrato per la prima volta Stravinsky alla stazione di Epesses, portatovi in treno da Ernest Ansermet. La collaborazione cominciò con la traduzione francese di Renard, proseguì con i testi di canzoni, sfociò in amicizia vera e culminò con la versione francese di Les Noces. E poi?

«Ho concepito la prima idea dell'Histoire du Soldat nella primavera del 1917 - racconta Stravinsky -, ma non ho potuto approfondire quell'argomento perché intento alla stesura de Les Noces e a realizzare un poema sinfonico da Le Rossignol. Il pensiero di comporre uno spettacolo drammatico per un teatro ambulante m'era venuta parecchie volte alla mente fin dall'inizio della Prima Guerra Mondiale. Il genere di lavoro cui pensavo doveva esigere un organico di esecutori semplice e modesto al punto da permettere una serie di allestimenti in una tournée nelle piccole cittadine svizzere, ed essere altrettanto chiaro nel suo intreccio in modo che se ne afferrasse facilmente il senso. Il soggetto mi venne dalla lettura di quella novella di Afanasiev che racconta del soldato e del diavolo: in quella novella, quel che mi aveva colpito particolarmente era il modo in cui il soldato adescava il diavolo a bere molta vodka per poi dargli da mangiare una manciata di piombo, convincendolo che era caviale, così che il diavolo avidamente lo mangiava e tirava le cuoia. In seguito trovai altri episodi fiabeschi sul medesimo tema e cominciai a elaborare un soggetto: soltanto lo schema del lavoro è da attribuirsi ad Afanasiev e a me, perché il testo definitivo è opera di Ramuz, mio grande amico e collaboratore, a fianco del quale lavorai attentamente, traducendogli riga dopo riga il mio testo».

Non c'è motivo di parafrasare Stravinsky: il primo nucleo dell'Histoire è questo, perché anche i Souvenirs sur Igor Stravinsky di Ramuz confermano la versione.

Nell'idea prima ci sono il tema e il dramma dello sradicamento: quello dei giovani arruolati con la forza nelle guerre di Nicola I contro i Turchi. Il Soldato di Afanasiev è la metafora dell'uomo costretto a viaggiare in quella terra di nessuno che è poi tutto il mondo, se allontanarsi da casa non è frutto di una scelta e riconquistare le proprie origini una chimera. Stravinsky capì in quel 1917 che il ritorno in Russia sarebbe rimasto un desiderio proibito. Anzi vietato.

Un'opera? Difficile far rientrare L'Histoire nel grande genere, considerato che le voci sono di un Narratore, di un Soldato e un Diavolo che agiscono e parlano, al più, seguendo metriche ritmiche, mai altezze. E il quarto personaggio, la Principessa - cancellata presto l'idea di fare del re un ruolo vero - è consegnato all'astrazione muta della danza. Eppure L'Histoire du Saldat è un rito scenico, ma d'una nuova forma di teatro musicale che con l'Opera, derivata ed evoluta dal Melodramma, non ha più legami.

Lo spettacolo doveva essere povero, portatile: «Un piccolo palco montato su una piattaforma - si legge nelle istruzioni alla prima rappresentazione di Losanna, il 28 settembre del '18 -. Uno sgabello (o un barile) ai due, lati. Su uno degli sgabelli siede il Narratore di fronte a un tavolino sul quale ci sono una caraffa di vino bianco e un bicchiere. L'orchestra è sul lato opposto del palcoscenico». Ma piccolezza non significava già più scarso respiro: con L'Histoire du Soldat si compie il salto definitivo in quell'estetica contemporanea che archivia l'orchestra come più alto grado della santificazione strumentale.

«La limitatezza originaria dell'allestimento dell'Histoire - annotava Stravinsky - mi costringeva a impiegare pochissimi strumenti, ma questo non costituì un limite, dal momento che le mie concezioni musicali si erano già orientate verso lavori per strumenti solisti». Clarinetto, fagotto, cornetta a pistoni, trombone, violino, contrabbasso e percussioni erano più che sufficienti a creare varietà, in una nuova dimensione a-sinfonica con ascendenze lontane: quelle di una terra con cultura mista verso la quale Stravinsky avrebbe finito per muoversi all'annuncio della guerra prossima ventura. L'Histoire du Saldat è il primo contatto con l'America e con la cultura di altri profughi: i neri. Nella quantità, nella qualità, nel suono e anche nelle forme, L'Histoire è un laccio gettato d'istinto verso quella cultura "altra" che avrebbe scritto una parte predominante della musica del secolo quasi archiviato.

«La scelta degli strumenti per L'Histoire fu influenzata da un importantissimo evento della mia vita in quel periodo: la scoperta del jazz americano... L'organico si richiama a quello della banda jazz in quanto ogni famiglia strumentale - archi, legni, ottoni, percussioni - è rappresentata dai suoi estremi, nel registro acuto e nel registro basso. Inoltre gli stessi strumenti venivano impiegati nella musica jazz, eccetto il fagotto, che, secondo me, stava per il sassofono».

Ma quale esperienza del jazz aveva Stravinsky in Svizzera, nel 1918, prima della musica registrata? Partiture che Ansermet aveva portato da una tournée in America.

«La conoscenza che io avevo del jazz - ammette Stravinsky - derivava soltanto da letture occasionali di fogli pentagrammati di questa musica. Non avendo mai potuto ascoltare il jazz improvvisato o suonato dal vivo, ero però in grado di assimilarne lo stile ritmico, così com'era scritto pur se non come veniva eseguito. Ero in grado di immaginarmi il suono del jazz, comunque, o almeno mi compiacevo di pensarlo. Il jazz significava comunque un insieme di sonorità del tutto nuove nella mia musica, e L'Histoire segna la mia definitiva rottura con la produzione della scuola sinfonica russa».

Per la verità, anche L'uccello di fuoco, Petrushka e La sagra della primavera sembrano oggi uno stacco perentorio rispetto alla scuola sinfonica russa; nell'alveo storico, con tutti gli onori ai modelli dei maestri, già lo Stravinsky "barbaro" stava stretto, anzi debordava con violenza da disgelo sulla Neva. Ma è certo che L'Histoire du Soldat volta definitivamente le spalle non solo alla scuola russa tardoromantica, ma anche all'Est, per guardare lungo verso Ovest, al di là dell'oceano.

Che Stravinsky avesse del jazz una conoscenza riflessa, e una "immaginazione" di tecniche e sonorità mai sperimentate, dà il senso di una miracolosa sintonia. E anche di una ineluttabilità storica. A macchia di leopardo stavano diffondendosi nel Vecchio Mondo analoghe soluzioni jazz-oriented vissute per istinto. Nel 1913 Satie aveva composto Le Piège de Meduse su un organico quasi del tutto simile a quello dell'Histoire (ma l'accusa di plagio è sventata dalla circostanza che l'opera del silenzioso Mammifero non venne eseguita prima del 1921). E dalla fine della guerra agli anni Trenta, tra Parigi e Berlino, il jazz cominciò a sbucare ovunque dalla pasta di tante composizioni e di tanti compositori diversi, da Milhaud a Krenek. Ma c'era la musica registrata, e il contagio afroamericano - inutilmente stoppato dalle leggi razziali e da liberi pensatori come Pfitzner - era destinato a diffondersi sulle sue ali in maniera irresistibile.

Un mese e mezzo dopo la prima esecuzione dell'Histoire du Soldat, alle undici dell'11 novembre 1918, momento esatto in cui si firmava l'armistizio e la guerra finiva, Stravinsky concludeva la strumentazione di Ragtime. Forse nemmeno lui s'era immaginato che uno spettacolino da baraccone, su una favola russa di Afanasiev, l'avrebbe portato così lontano.

Carlo Maria Cella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 4 febbraio 2000


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Ultimo aggiornamento 7 febbraio 2013