Sinfonie per strumenti a fiato


Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
  1. Due melodie popolari russe
  2. Pastorale
  3. Danza selvaggia
  4. Corale
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), flauto contralto, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti contralti, 3 fagotti, (3 anche controfagotto), 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba
Composizione: Garches 20 novembre 1920 (revisione 1947)
Prima esecuzione: Londra, Queen's Hall, 10 giugno 1921
Edizione: Boosey & Hawkes, New York, 1952
Dedica: Claude Debussy
Guida all'ascolto (nota 1)

È comunemente noto come le opere di Igor Stravinsky possano essere suddivise in periodi tra loro differenti in base allo stile compositivo adottato per la loro composizione. Al primo periodo detto "russo" (1909-1918) ne segue infatti uno definito "neoclassico" (1919-1950 circa), ed a questo infine un terzo, quello "seriale" tra gli anni Cinquanta e Sessanta che conclude il cammino del maestro russo scomparso nel 1971. Se le composizioni che cadono all'interno di questi periodi incarnano in modo compiuto lo spirito della scelta stilistica fatta dall'autore, quelle invece scritte in un momento di transizione e che fungono da cerniera fra due distinti momenti del percorso stravinskyano sono spesso caratterizzate da fenomeni di ibridazione in cui si vede il nuovo e contemporaneamente si ascolta il vecchio. Ciò accade, per esempio, nelle Symphonies d'instruments à vent (Sinfonie di strumenti a fiato) in cui coesistono alcuni aspetti del linguaggio neoclassico con altri provenienti da quello russo.

Scritte nel 1920 in memoria di Claude Debussy (e poi riviste in piccoli aspetti marginali nel 1947), le Symphonies elaborano materiali musicali precedenti a quella data, materiali che Stravinsky aveva solo appuntato, ma ai quali non era mai riuscito a dare una struttura organica e compiuta. La richiesta da parte della "Revue musicale" di avere dal compositore un brano che commemorasse Debussy, scomparso nel 1918, fornì l'occasione a Stravinsky di metter ordine fra i suoi schizzi musicali. L'opera che ne nacque risentì comunque di questa sua origine frammentaria dovuta alla provenienza da brevi suggestioni melodiche, da idee musicali allo stato di abbozzo; ciò che però permise all'autore di trasformarle in un lavoro nel complesso equilibrato e significativo fu proprio il sistema unitario con il quale le trattò in fase realizzativa.

Cosa c'è dunque di "russo" nelle Symphonies? Possiamo individuarlo nell'andamento diatonico dei temi, nel loro ondeggiare in una bitonalità modale; nella semplice brevità degli incisi melodici, nel loro riproporsi identici a se stessi o variati con parsimonia, senza un vero sviluppo, quasi come dei non sense, dei giochi, dei rompicapo sonori. Ed ancora nella ritmica fatta di ghirigori metrici su misure complesse separate spesso da larghe pause. Eredità queste di un gusto popolare e liturgico russo che Stravinsky aveva rivisitato in Renard del 1916, nelle Noces del 1917, ed in alcune brevi liriche come Pribaoutki del 1914 e le Quattro canzoni russe del 1919, eredità mai dimenticate dal compositore, e che in tanti modi, più o meno evidenti e diretti, riappaiono in molti dei suoi lavori successivi.

Cosa c'è allora di "neoclassico"? Sicuramente già il titolo. Il termine Symphonies non ha assolutamente nulla a che vedere con la sinfonia intesa quale genere musicale (per intenderci dalla scuola di Mannheim in poi), bensì si riallaccia alla definizione di "fare musica insieme" nella cui accezione in età rinascimentale si usava la parola "sinfonia" (per esempio a Venezia con Giovanni Gabrieli nella seconda metà del 1500). Una rivisitazione quindi dell'antico in chiave moderna caratteristica dello stile "neoclassico", ed a cui si affianca la scelta anti-ottocentesca, anti-romantica, e da qui anti-espressiva di escludere dall'organico gli archi per far posto ad un'ampia famiglia di fiati che va dal flauto alla tuba. Una ricerca quindi di timbri, di sonorità che altre volte riapparirà nel periodo neoclassico dell'autore - per esempio nell'Ottetto per strumenti a fiato del 1923, o nella Messa del 1948 - e che nelle Symphonies d'instruments à vent troviamo per la prima volta, non senza debito nei confronti comunque del "russo" Sacre du printemps del 1913.

Articolate in quattro episodi - Due melodie popolari russe, Pastorale, Danza selvaggia, Corale - le Symphonies non diedero a Stravinsky delle grandi soddisfazioni in termini di consenso di pubblico, ma il compositore se lo aspettava, tanto che ebbe a scrivere: «Io non contavo, e infatti non ne avevo la possibilità, su un successo immediato di questo lavoro. Manca di quegli elementi che senza ombra di dubbio soddisfano l'ascoltatore abituale, o ai quali è avvezzo. È inutile cercare in esso un tono appassionato o una brillantezza dinamica. È un rituale austero che si dispiega come una serie di brevi litanie tra differenti gruppi di strumenti omogenei. [...] Questa musica non mira a "piacere" a un uditorio, né a suscitare le sue passioni. Nondimeno, speravo che sarebbe stato gradito ad alcune persone nelle quali una ricettività puramente musicale superasse il desiderio di soddisfare le loro brame sentimentali».

Giancarlo Moretti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 24 febbraio 1996


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Ultimo aggiornamento 9 ottobre 2013