Petruska, burlesque in quattro scene


Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Libretto: proprio e Alexandre Benois

Parte I: Festa popolare della settimana grassa
Parte II: La stanza di Petruška
Parte III: La stanza del Moro
Parte IV: Festa popolare della settimana grassa (sera)
Organico: 2 ottavini, 4 flauti, 4 oboi, corno inglese, 4 clarinetti, clarinetto basso, 4 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 2 cornette, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, piatti, glockenspiel, rullante, tamburello, triangolo, xilofono, tam-tam, rullante, tamburello (fuori scena), pianoforte, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: Losanna, agosto 1910 - Roma, maggio 1911 (revisione 1947)
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre du Chatelet, 13 giugno 1911
Edizione: Édition Russe de Musique, Parigi, 1912
Dedica: Alexandre Benois
Guida all'ascolto (nota 1)

Dopo il successo dell'Uccello di fuoco, Stravinskij cominciò a progettare la Sagra della primavera. Quasi per distrarsi, nell'agosto del 1910, ebbe l'idea di scrivere un pezzo da concerto per pianoforte e orchestra: "Componendo questa musica - scrive nelle Cronache della mia vita - avevo nettamente la visione di un burattino scatenato che, con le sue diaboliche cascate di arpeggi, esaspera la pazienza dell'orchestra, la quale a sua volta gli replica con minacciose fanfare. Ne segue una terribile zuffa che, giunta al suo parossismo, si conclude con l'accasciarsi doloroso e lamentevole del povero burattino". Poi trovò il personaggio che si adattava perfettamente con questo soggetto: "Un giorno ebbi un sussulto di gioia. Petruska! L'eterno infelice eroe di tutte le fiere, di tutti i paesi! Era questo che volevo, avevo trovato il mio titolo". A Sergej Diaghilev, che in autunno gli fece visita sul lago di Ginevra, Stravinskij fece ascoltare il nuovo pezzo. Diaghilev ne fu entusiasta e convinse il compositore a trasformare quella musica in un nuovo balletto. Petruska è un burattino del teatro popolare russo, presente negli antichi spettacoli di cantastorie (gli skomorochi), un personaggio spavaldo e manesco, dal linguaggio schietto, che però nella trama elaborata insieme da Stravinskij e Diaghilev assunse caratteri insieme più intimistici e più tragici, con molti punti di contatto con Pierrot e anche con Pinocchio, come un "essere" inanimato che prova il desiderio impossibile di una vita umana.

La vicenda è ambientata a Pietroburgo, nella piazza dell'Ammiragliato, durante le feste della settimana grassa: in mezzo a una folla chiassosa e variopinta, un Ciarlatano presenta al pubblico i suoi burattini animati, Petruska, la Ballerina e il Moro. Il più sensibile è Petruska che si innamora della Ballerina. Lei però gli preferisce l'ottuso ma prestante Moro, che alla fine uccide Petruska in mezzo alla confusione del Carnevale.

Il compositore portò a termine la partitura nel maggio del 1911, e il balletto andò in scena il 13 giugno 1911 al Théâtre du Châtelet di Parigi, con le innovative coreografie di Michel Fokine, con due interpreti prestigiosi come Nijinski e la Karsavina, con le coloratissime scenografie di Alexandre Benois, e con Pierre Monteux sul podio. L'intersecarsi dei personaggi sulla piazza con quelli del teatrino, la dimensione del metateatro, l'atmosfera festosa che acutizza il dramma personale, costituirono meccanismi molto efficaci per dare sostanza drammatica alla vicenda. L'idea delle emozioni imprigionate nel corpo di una marionetta suggerì anche a Stravinskij l'uso di materiali musicali di tipo meccanico, ripetitivi, il gusto per sonorità aspre, dissonanti, percussive, facendolo approdare ad un linguaggio musicale assai più moderno e antiromantico rispetto a quello dell'Uccello di fuoco, e lontano da ogni suggestione esotica e favolistica.

Stravinskij usa un grande organico orchestrale (con legni e ottoni per quattro) ma giocando sulla contrapposizione di blocchi sonori, prediligendo timbri stridenti, cercando di imitare il suono delle orchestrine popolari o degli organetti di Barberia. Abbandona anche la sintassi tonale, insieme con la logica dell'elaborazione tematica e dello sviluppo, per creare un struttura formale di tipo paratattico, elimina le cadenze (creando così un effetto di continua sospensione), sostituisce le funzioni tonali con strutture armoniche polarizzate. Anche se usa materiali più diatonici che cromatici, il continuo gioco di incastri e sovrapposizioni crea risultati politonali, e complessi reticoli sonori, accentuati anche dai continui cambiamenti di metro, che anticipano la ritmica del Sacre.

Nella partitura di Petruska Stravinskij intesse insieme una grande varietà di motivi, stilisticamente assai diversi, e sempre atomizzati, privi di ramificazioni, montati come in un collage: la musica da fiera, popolaresca e sfrenata, echi di canzonette e di marce, valzer e polke, musiche da cabaret e temi bandistici, in uno straniante caleidoscopio sonoro. L'animazione e la confusione della piazza pervade tutto il primo quadro (La fiera della settimana grassa): nell'introduzione (Vivace) Stravinskij stratifica tremoli di corni e clarinetti con motivi e formule ripetitive, creando una fascia sonora densa, brulicante, carica di tensione, che sfocia in una grande fanfara di tutta l'orchestra (su un tema liturgico della Pasqua, conosciuto come il canto dei Volocebniki), che accompagna il passaggio di un gruppo di ubriachi. Nel caos della festa affiora anche l'imitazione di un organetto, affidata a due clarinetti all'ottava, e la citazione di una sguaiata chanson francese ("Elle avait une jambe de bois"), intonata delicatamente da flauti e clarinetti (poi anche dalla tromba) e punteggiata dal triangolo (poi anche dal Glockenspiel). Un poderoso rullo di tamburi attrae l'attenzione della folla sul teatrino del Ciarlatano (Lento): i disegni cupi di fagotti, controfagotto e contrabbassi, gli arpeggi dell'arpa e della celesta, gli armonici degli archi e una cadenza incantatoria del flauto disegnano un'atmosfera improvvisarrìente misteriosa, che introduce la Danza Russa (Allegro giusto) - il flauto del Ciarlatano anima i tre burattini che cominciano a danzare di fronte al pubblico stupefatto -, pagina brillante, vigorosa, omoritmica, basata su sequenze parallele di accordi martellanti, nella quale comincia ad emergere il ruolo concertante del pianoforte.

Questo strumento acquista un vero e proprio rilievo solistico nel secondo quadro (nella stanza di Petruska) che corrisponde anche all'iniziale partitura del Konzertstück. Dopo un prolungato rullo di tamburo, troviamo Petruska solo coi suoi pensieri. Tutto il suo carattere è concentrato in una breve cellula affidata a due arpeggi sovrapposti dei clarinetti, un insieme dissonante, che si insinua spesso nella trama della partitura, come una specie di Leitmotiv. Poi emergono gli altri stati d'animo di Petruska: la rabbia, che esplode in infortissimo di tutta l'orchestra (Furioso), dominato da un arpeggio discendente di tromba e cornetta (con sordina); i pensieri amorosi rivolti alla Ballerina, resi da un melodizzare dolce e malinconico del flauto (Andantino); la sua goffa gioia che esplode all'ingresso della Ballerina (Allegro) e che si interrompe dopo 13 battute con l'uscita di scena della stessa.

Il tamburo introduce anche il terzo quadro che descrive invece il Moro nella sua stanza, attraverso una rapida alternanza di gesti violenti e pesanti (Feroce stringendo), squarci sinistri, break improvvisi, una danza dal sapore orientale, affidata a clarinetto e clarinetto basso, accompagnati da piatti e grancassa, un motivo inquietante del corno inglese. Assai più serena la danza della Ballerina (Allegro), una spigliata melodia della cornetta a pistoni accompagnata dal tamburo. Poi insieme la Ballerina e il Moro avviano un valzer, basato su due temi distinti: il primo (Lento cantabile), in mi bemolle maggiore, intonato da cornetta e flauto ("cantabile sentimentalmente") accompagnati dagli arpeggi del fagotto; il secondo (Allegretto), in si maggiore, affidato ai flauti e alle arpe. Anche qui Stravinskij crea un sofisticato gioco combinatorio, sovrapponendo questi due temi con quelli del Moro, mescolando quindi insieme motivi ternari e binari, e ottenendo in questo modo una dimensione sonora di estrema tensione con materiali in sé piuttosto neutri. Il pas de deux della Ballerina e del Moro è bruscamente interrotto dall'arrivo di Petruska, che piomba nella stanza per opporsi alla tresca, con il suo tema "gridato" dalla tromba. Ma il Moro lo affronta con la scimitarra e lo insegue, su un movimento rapido e staccato di archi e legni, che si conclude con violenti accordi sincopati.

Il tamburo introduce ancora l'ultimo quadro (La fiera dell'ultimo giorno di Carnevale) che riporta al brulichio orchestrale della festa, trasformato qui nel suono fluttuante di una grande fisarmonica. Su questo sfondo orchestrale Stravinskij innesta una serie di danze, molto colorite, basate su temi tratti da varie raccolte di melodie popolari russe: la danza agile e leggera delle Balie (Allegretto) sul motivo tradizionale "Lungo la via Piterskai'a", introdotta dall'oboe, e seguita da uno spensierato refrain; la danza dell'orso (Sostenuto] caratterizzata da un incedere lento e pesante e da un motivo dissonante dei clarinetti; la scenetta delle zingare e del venditore ambulante, su un tema staccato e saltellante, scandito con forza dagli archi; la Danza dei cocchieri (Moderato), basata su un tema molto ritmato e accentato, prima suddiviso tra trombe, archi, tromboni e corni, poi ripreso da tutta l'orchestra, anche in forma di canone, in un crescendo martellante; l'ingresso dei saltimbanchi e delle maschere (Agitato) su una trama veloce volatile di archi e legni nella quale si innesta un pesante, drammatico motivo degli ottoni. Questo crescendo sfocia alla fine in un assolo della tromba: è Petruska che irrompe sulla scena, inseguito dal Moro che lo raggiunge e lo colpisce a morte, fra l'orrore dei presenti ai quali il Ciarlatano spiega che si tratta solo di una marionetta, mostrando la testa di legno e il corpo pieno di segatura.

Resta alla fine una trama uniforme dei corni, sulla quale ritorna il tema della tromba (con sordina), livido e agghiacciante: questa volta è il fantasma di Petruska che compare sul tetto del teatrino, facendo sberleffi. Mentre il sipario si chiude su un enigmatico motivo di quattro note pizzicate degli archi (Molto più lento).

Gianluigi Mattietti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il secondo balletto di Stravinsky è quasi esattamente contemporaneo all'unica opera di Bartók. I due musicisti erano quasi coetanei, avevano entrambi una profonda ammirazione per Debussy e si legavano nei rispettivi paesi ad una corrente «nazionale» facendo riferimento alle tradizioni de! canto popolare. Questi elementi in comune sembrerebbero di un certo rilievo, ma in concreto non lo sono affatto: i mondi di Barbablù e di Petrushka appaiono lontanissimi fra loro. Il rapporto di Stravinsky con il canto popolare è semplicemente l'incontro con uno dei tanti materiali (uno dei primi) su cui si sarebbe esercitato il suo inesauribile potere di stilizzazione; mentre in Bartók è una scelta definitiva, compiuta con profonda partecipazione etica. E assai diverso è il modo di prendere le distanze dal tardoromanticismo e dall'impressionismo: non si può certo ridurre il Castello del principe Barbablù a queste etichette, ma si è visto come le suggestioni di Debussy e Strauss possono venir accolte in quest'opera senza menomarne l'autonomia. Diverso è soprattutto il modo di atteggiarsi nei confronti dell'espressione, e in senso più ampio, la visione del mondo: Bartók non avrebbe potuto condividere le implicazioni antiumanistiche dell'«oggettivismo» stravinskiano. Ma converrà lasciare questi rapidi e troppo schematici appunti per vedere più da vicino il significato di Petrushka, dopo averne ricordato brevemente la genesi.

Stravinsky cominciò a lavorare a questa partitura nell'agosto-settembre 1910 e la finì in meno di un anno, il 26 maggio 1911. La prima rappresentazione ebbe luogo a Parigi il 13 giugno 1911, con la compagnia dei Ballets Russes di Diaghilev, la coreografia di Fokine e la direzione di Pierre Monteux. Petrushka era Nijinski, la Ballerina Tamara Karsavina, il Moro Aleksandr Orlov, il Ciarlatano Enrico Cecchetti.

Tra le testimonianze autobiografiche che Stravinsky ci ha lasciato sulla genesi di Petrushka è essenziale in primo luogo un celebre passo delle Chroniques de ma vie, che non possiamo esimerci dal citare. Stravinsky racconta come, dopo aver già concepito il progetto del Sacre, aveva pensato di rimandarlo e di affrontare intanto una pagina puramente strumentale: «volli divertirmi con un lavoro orchestrale in cui il pianoforte avesse una parte predominante, una specie di Konzertstūck. Componendo questa musica avevo nettamente la visione di un burattino subitamente scatenato che, con le sue diaboliche cascate di arpeggi, esaspera la pazienza dell'orchestra, la quale a sua volta gli replica con le minacciose fanfare. Ne segue una terribile zuffa che, giunta al suo parossismo, si conclude con l'accasciarsi doloroso e lamentevole del povero burattino. Terminato questo bizzarro pezzo, per ore e ore, passeggiando sulle rive del Lemano, cercavo il titolo che esprimesse in una sola parola il carattere della mia musica e, di conseguenza, la figura del mio personaggio. Un giorno ebbi un sussulto di gioia. Petrushka! L'eterno, l'infelice eroe di tutte le fiere, di tutti i paesi! Era questo che volevo, avevo trovato il mio titolo!».

Stravinsky prosegue narrando che Diaghilev, conosciuto il pezzo, propose con insistenza l'idea di trasformarlo in balletto, e raccontando le circostanze in cui fu steso il soggetto e compiuta la composizione. Il soggetto fu definito in collaborazione con Alexandre Benois, autore anche di scene e costumi per la prima rappresentazione (sono le stesse scene che si vedono in questo spettacolo: se ne servì poi anche Milloss, la cui coreografia non intese contrapporsi a quella di Fokine, ma in un certo senso proseguirne la linea).

Ci sono nessi evidenti tra le immagini che Stravinsky collega alla genesi del Konzertstūck e la vera e propria vicenda del balletto. A Pietroburgo, durante le feste della settimana grassa un vecchio Ciarlatano presenta al pubblico tre marionette, che si rivelano poi dotate di sensibilità umana. Il malinconico Petrushka corteggia la Ballerina, ne viene respinto, freme di gelosia quando il Moro la conquista e infine, nella confusione del carnevale, viene ucciso dal rivale con un colpo di scimitarra. Il Ciarlatano mostra agli intervenuti che si trattava solo di un burattino; ma quando la folla si disperde il fantasma di Petrushka appare sopra il teatrino a compiere gesti di minaccia e scherno.

Sulla voluta ambiguità di questa conclusione Stravinsky ebbe a dichiarare a Craft: «Il fantasma di Petrushka, così come concepii la storia, è il vero Petrushka, e la sua apparizione alla fine fa sì che il Petrushka degli episodi precedenti risulti un semplice fantoccio. Il suo gesto non è di trionfo o di protesta, come spesso si dice, ma una specie di marameo rivolto al pubblico».

Nel racconto stravinskiano sopra riportato è decisiva l'affermazione che l'idea del balletto nacque da un pezzo puramente strumentale, fu un modo di dare evidenza scenica a delle implicazioni già presenti nella concezione musicale, quasi di tradurne in gesto teatrale alcune delle intuizioni più originali e innovatrici. Il fatto non sorprende in un compositore come Stravinsky, la cui musica, rifiutandosi allo spirito del canto, tende a risolversi nell'evidenza di un movimento, di un gesto (di qui la specifica congenialità al balletto che si è costantemente riconosciuta alla musica di Stravinsky, anche a quella destinata alla sala da concerto). Nel caso specifico del Konzertstūck da cui nacque Petrushka la gesticolazione della musica suggeriva rigidi movimenti di marionette, ad esempio attraverso la novità di un timbro pianistico secco, percussivo, privo di alone e di potenzialità cantabili, incline quasi ad una metallica meccanicità, o ancora, attraverso la tagliente asprezza di dissonanze come quelle degli «arpeggi diabolici» bitonali.

Ma il soggetto suggerito dalla situazione musicale presenta inquietanti ambiguità e si ricollega a temi del Romanticismo e del Decadentismo di cui Stravinsky nelle Chroniques si guarda bene dal far cenno. Nei dialoghi con Craft dichiara che il Ciarlatano doveva essere un personaggio alla Hoffmann, e questo riferimento si può prender alla lettera. Qualche perplessità può invece suscitare, nelle Chroniques, il riferimento alla figura di Petrushka come è conosciuta nella tradizione popolare russa. Quel burattino è un ribaldo manesco, insolente e truffaldino, non un «infelice eroe», qualifica che invece compete a Pierrot, maschera per eccellenza malinconica. Una volta collegato Petrushka a Pierrot e al teatro di marionette sarebbe agevole concedersi ad ampie divagazioni, da Hoffmann a Kleist a Gordon Craig, da Verlaine al Pierrot lunaire e via discorrendo. Per questa strada, però, si potrebbero cogliere solo marginalmente le implicazioni più caratteristiche del burattino stravinskiano. La sua vicenda si lega anche ai temi romantici e fin de siècle del doppio, dell'ambiguità uomo/marionetta, del rapporto maschera/realtà, e fa propri gli aspetti inquietanti di quella tematica, ma è fondamentale il fatto che tale vicenda è immersa nella atmosfera popolare della festa del carnevale. L'irrompere della folla, il chiasso e la confusione della settimana grassa sono elementi decisivi per sottrarre completamente Petrushka all'aura di un eroe verlainiano e per definire la novità di questa partitura: il linguaggio musicale qui spazza via ogni possibile residuo di aura tardoromantica o impressionistica, e, ad un solo anno di distanza dall'Uccello di fuoco, rinuncia a tutte le suggestioni favolistiche ed esotiche che tanto rilievo avevano nel determinare il fascino di quel balletto.

La cruda nettezza del segno, la violenza delle ben definite campiture di colore (non a torto paragonate alla pittura dei «fauves»), la stilizzazione della banalità della canzonetta, la rivalutazione della fiera e del baraccone (che assurgono a dignità d'arte in una misura inconcepibile prima di questa partitura) sono alcuni degli elementi più vistosi che fanno di Petrushka un testo capace di segnare una svolta, un nuovo corso nella musica del nostro secolo. Vi si impone una logica formale che ignora l'elaborazione tematica, lo sviluppo, e punta tutto invece sulla tagliente evidenza di idee melodiche brevi, semplici, in sé compiute, derivate in parte dal canto popolare russo, ma anche da fonti «cittadine», da musica di consumo, come una canzone francese o valzer viennesi, idee che non aspirano ad essere «nobili», che non si prestano a sviluppi, ma che non per questo sono modellate su un'intima cantabilità: in sé possiedono non il canto, il lirismo, ma la secca scansione del ritmo e del gesto, una chiarezza che è posta crudamente in luce dalle scelte timbriche e armoniche. Con tali idee Stravinsky procede per ripetizioni, giustapposizioni e sovrapposizioni, sorrette dalla lucida crudezza dei colori di cui si è detto e da una straordinaria fantasia ritmica. Questo modo di procedere suggerisce, dietro la sua colorita vitalità, una situazione rigidamente bloccata: la ripetitività, il carattere frammentario e a mosaico, rimandano ad una impossibilità di sviluppo, sono spia di una concezione adialettica della stòria e strumento di un «oggettivismo» antipsicologico. La affollata e colorita festa del carnevale è indifferente alle sofferenze e alla morte del malinconico burattino: il carattere apparentemente impersonale di tutta l'impostazione della musica si carica di ambiguità sinistre, con la sua crudele, deterministica meccanicità e il suo gusto del grottesco. L'antipsicologismo si carica di sfiducia nella storia e nella tradizione umanistica, rimanda ad un umorismo metafisico, e a quel radicale pessimismo di cui si sostanzia la visione del mondo di Stravinsky (per il suo fatalistico determinismo non è una marionetta il soldato giocato alla fine dal diavolo? E che altro è Edipo, fragile zimbello del destino?).

Le acrobazie e i pezzi di bravura dell'orchestra di Petrushka, le magistrali evocazioni della folla e della festa non bastano ad esorcizzare il significato inquietante della sfiducia nei valori interiori, della loro implicita negazione. E si capisce allora perché anche le citazioni di canti popolari russi non abbiano l'accento di una candida innocenza, di una freschezza primitiva (siamo ben lontani dal significato che aveva il folclore per un Bartók), si capisce perché possono venire «inquinate» dalla convivenza con spunti canzonettistici di estrazione cittadina e «banale», come la canzone francese «Elle avait un'jambe de bois» (che Stravinsky sentì suonata da un organetto sotto le sue finestre a Beaulieu, presso Nizza, e che inserì senza sapere che il suo autore, un certo Spencer, era vivo e avrebbe preteso da lui dei diritti) o due volgari valzer di Lanner, citazioni queste usate proprio in funzione della loro banalità.

Dei quattro quadri dai quali il balletto è formato il primo e l'ultimo sono ambientati nella piazza dell'Ammiragliato a Pietroburgo, in mezzo alle feste del carnevale, mentre i due centrali, più brevi, rispettivamente nelle stanze di Petrushka e del Moro. All'inizio si ha la celebre, suggestiva evocazione del turbinio della folla, con un alternarsi, incrociarsi e sovrapporsi di brevi spunti. La prima idea che viene enunciata a piena orchestra, emergendo da un continuo fluttuare, è tratta da un canto popolare russo della regione di Smolensk (il cui testo era di ispirazione religiosa). Un poco oltre si evoca l'arrivo sulla piazza di un organetto di Barberia: esso suona una melodia di trito sentimentalismo e uno spunto più vivace, quello della già citata canzonetta «Elle avait un' jambe de bois», intonata dai legni cui si affianca il triangolo. Ritornano poi spunti già noti, fino alla conclusione della prima parte, quando nel silenzio dell'orchestra le note ribattute dei soli strumenti a percussione richiamano l'attenzione sulla figura del Ciarlatano. Per sottolinearne il carattere hoffmanniano Stravinsky lo presenta con una piccola cadenza del flauto allusiva a Weber, cui segue una pagina breve, immersa in un'atmosfera di magia freddamente sinistra, e infine la Danza russa dei tre burattini (che è anche il primo dei pezzi che Stravinsky trascrisse per pianoforte solo nei Trois mouvements de Pétrouchka): qui il pianoforte, con le sonorità rigide e legnose di cui già si è detto, ha una parte di rilievo.

La musica del secondo quadro, che si svolge nella stanza di Petrushka, non contiene vere e proprie danze, ma ha un carattere di pantomima: di qui partì l'intera concezione di Petrushka. Troviamo gli «arpeggi diabolici» di cui parla Stravinsky nelle Chroniques, arpeggi che con la loro bitonalità introducono nella musica una sorta di lacerazione, una sensibilità armonica nuova. Si ha in questa pagina un procedere frammentario, nervoso, a scatti, con sussulti amari e «sgraziati»; anche questo pezzo è trascritto nei Trois mouvements pianistici, come secondo brano.

Dopo il nuovo cambio di scena segnato dalla sola percussione il terzo quadro si apre con il ritratto della goffaggine del Moro; poi la tromba, accompagnata dal solo tamburo militare, segna con uno sfacciato spunto bandistico l'ingresso della ballerina. Essa, che nella scena precedente ha respinto il mesto Petrushka, danza ora con il Moro un valzer, la cui melodia è tratta dalle Steyrische Tànze di Josef Lanner ed è sostenuta da un grottesco accompagnamento del fagotto; anche il successivo spunto di valzer è di Lanner. A turbare questa danza, deformata in movenze banali e meccaniche, interviene Petrushka, folle di gelosia, ma viene scacciato.

Nel quarto quadro irrompe nuovamente la festa del carnevale, con il suo caotico affollamento: si ha una successione di danze, che sono nell'ordine, dopo la pagina introduttiva, la Danza delle balie (basata su due temi popolari), il Contadino con l'orso, Le zingare e il venditore ambulante, la Danza dei cocchieri (su un tema popolare), Maschere. Irrompe infine improvvisa la zuffa tra il Moro e Petrushka seguita dalla secca, veloce conclusione, con la morte di Petrushka e la sua beffarda riapparizione.

Nei dialoghi con Craft Stravinsky dichiara di non aver mai avuto simpatia per Fokine («fu senza dubbio l'uomo più sgradevole con cui abbia mai lavorato»), ma esprime, accanto a riserve, alcuni significativi apprezzamenti positivi, come quello sull'invenzione del movimento con il braccio rigido «che Nijinski doveva poi concretare in modo indimenticabile». Il giudizio stravinskiano più equilibrato su questa storica coreografia si legge nelle Chroniques. Dopo aver reso omaggio alla grandezza di Nijinski e della Karsavina osserva: «Fu gran peccato invece che i movimenti della folla siano stati trascurati, che, cioè, anziché avere un ordine coreografico prestabilito, in armonia con le esigenze così chiare della musica, siano stati lasciati all'improvvisazione arbitraria degli esecutori. E tanto più lo rimpiango in quanto le danze d'insieme (dei cocchieri, delle balie, delle maschere) e quelle dei solisti devono considerarsi come una delle migliori creazioni di Fokine».

Paolo Petazzi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 dicembre 2012
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 14 maggio 1981


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Ultimo aggiornamento 23 ottobre 2017