L'oiseau de feu

Seconda Suite (versione del 1919)

Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
  1. Introduzione
  2. L'Uccello di fuoco e la sua danza
  3. Variazioni dell'Uccello di fuoco
  4. Ronda delle Principesse
  5. Danza infernale del re Kascej
  6. Berceuse e Finale
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, xilofono, pianoforte, arpa, archi
Composizione: Morges, 1919
Edizione: J. W. Chester, Londra, s. a.
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'oiseau de feu rappresenta un'opera cardine nell'esperienza creativa di Igor Stravinkij, l'opera che trasformò il compositore ventottenne da semisconosciuto discepolo di Rimskij-Korsakov a grande autore internazionale. Non a caso si tratta anche dell'opera che segnò l'inizio della lunga collaborazione fra Stravinskij e la compagnia dei Ballets Russes di Sergej Djagilev. Djagilev aveva conosciuto Stravinskij nel gennaio 1909 a Pietroburgo e, colpito dalla musica della fantasia orchestrale Feu d'artifice, aveva immediatamente pensato di aggregare il compositore al gruppo dei suoi collaboratori - composto da personaggi prestigiosi come il coreografo e danzatore Michail Fokin, i pittori Leon Bakst e Alexandre Benois - in vista del trasferimento a Parigi della sua compagnia.

Così Stravinskij in un primo momento venne incaricato dall'impresario di orchestrare alcune pagine di Chopin per il balletto Les Sylphides, ma ben presto la defezione di un altro compositore, Ljadov, si tradusse nel coinvolgimento in un altro e ben più ambizioso progetto: un intero nuovo balletto, basato sulla fiaba popolare russa dell'Uccello di fuoco. Stravinskij abbandonò la stesura dell'opera Le rossignol, e si dedicò alla nuova partitura, che venne stesa fra il novembre 1909 e il maggio 1910. A fine maggio raggiunse i Ballets Russes a Parigi - dove si recava per la prima volta - e potè così assistere, il 25 giugno, alla prima del balletto - che si avvaleva della coreografia di Fokin - accolto con grande successo. Sembra che nel corso delle prove Djagilev avesse detto, riferendosi al giovane maestro: "Guardatelo bene, è un uomo prossimo alla celebrità"; e furono parole profetiche.

L'oiseau de feu doveva rimanere una delle partiture più popolari del compositore, tanto che ben tre furono le suites pubblicate, con la revisione dell'autore, nell'arco di oltre trent'anni. La prima vide la luce immediatamente, nel 1911, e consiste nell'estrapolazione di cinque momenti musicali; la seconda suite, del 1919 - la più diffusa, prescelta anche per la presente esecuzione - è basata su una orchestrazione ritoccata e su una selezione di pagine quasi interamente differente; mentre la terza suite, del 1945, si basa su dieci numeri complessivi, cinque dei quali sono quelli della suite del 1919.

Non stupisce che, in questa partitura rivelatrice, come anche in tutti i suoi lavori scritti prima del 1910, Stravinskij mostrasse il suo debito verso l'insegnamento di Rimskij-Korsakov. Lo stesso soggetto del balletto affondava le sue radici in quella favolistica russa che era stata l'humus fertilissimo della maggior parte dei lavori teatrali del vecchio compositore, scomparso nel giugno 1909, pochi mesi prima che Stravinskij cominciasse ad applicarsi al suo balletto. L'argomento sfrutta una variante della fiaba sulla fine del genio malefico Katschej - lo stesso Rimskij aveva scritto nel 1902 l'opera Katschej l'immortale - la cui morte è impossibile in quanto la sua anima è serrata in un luogo inaccessibile - uno scrigno a forma di uovo, nel balletto di Stravinskij, le lagrime della perfida figlia, nell'opera di Rimskij - che viene però raggiunto da un principe straniero grazie a un sortilegio - la penna dell'uccello di fuoco, creatura fantastica, nel balletto, l'innamoramento della figlia del genio, nell'opera - consentendogli così di liberare una amata principessa, prigioniera del genio malvagio, oltre ad altri prigionieri.

Nel mettere in musica questa vicenda archetipica Stravinskij guardò direttamente al modello rimskiano, e soprattutto all'ultima opera del maestro, Il gallo d'oro, che, nelle sue scelte musicali, contrapponeva il mondo degli uomini - realizzato in musica attraverso melodie diatoniche di impronta popolare - a quello degli esseri fantastici, restituito con materiale cromatico e con arabeschi di tipo orientaleggiante. E tuttavia, al di là di questi rapporti con il passato, L'oiseau de feu è indubbiamente l'opera che dischiude a Stravinskij le porte della sua poetica. Nonostante le infinite sfumature espressive indicate in partitura, e taluni momenti debitori a Cajkovskij, infatti, nessun vero sentimentalismo fa breccia nella musica, nessun descrittivismo, ma piuttosto un uso oggettivo del materiale musicale, in cui gli elementi di base vengono usati con ferrea coerenza, e il ritmo diviene a tratti il vero veicolo del discorso musicale.

Già all'inizio della Suite troviamo, nel motivo insinuante degli strumenti gravi, quell'intervallo di quarta aumentata che è strutturale nella partitura; i colori lividi e i cromatismi dei fiati restituiscono l'ambiente "magico" dell'Uccello di fuoco, e magico è anche il glissando sugli armonici degli archi, che lasciò ammirato Richard Strauss; questa Introduzione lascia il passo alla Danza dell'Uccello di fuoco, giocata sui ritmi irregolari degli archi e sulle volate dei fiati. Un motivo popolare esposto da strumenti solisti apre e pervade la Danza delle principesse, che rappresenta uno dei momenti più legati al passato della partitura. Forte è il contrasto con la Danza infernale del re Katschej, che è invece il momento forse più avveniristico, dove troviamo quei contrasti dinamici, quell'impulso ritmico e quel gioco di intarsio di schemi ritmici che prefigurano il Sacre du printernps. Segue la Berceuse - il momento in cui l'uccello di fuoco addormenta tutti gli sgherri malvagi e spiega al principe il segreto dell'immortalità del principe Katschej - basata sull'inquieto tappeto sonoro degli archi e sulle cantilene incantatorie dei fiati; e lo stesso motivo di base, trasformato ma riconoscibilissimo, è alla base del grandioso Finale, una pagina che muove dal suono del corno solista per costruire un climax, in cui gli strumenti si aggregano progressivamente in una conclusione liberatoria, che deve qualcosa ai Quadri di una esposizione di Musorgskij. Non è solo la realizzazione musicale del lieto fine coreografico: posto sul discrimine fra l'uso esotico ed estetizzante del materiale popolare e la riflessione critica e distaccata su questo materiale, il finale di L'oiseau de feu pende a favore della seconda, rivelando le strategie tecniche ed estetiche che, attraverso le più impensate capriole stilistiche, non verranno mai rinnegate dal compositore.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Rappresentato all'Opera il 25 giugno 1910, L'uccello di fuoco inaugurò una serie di collaborazioni tra Diaghilev e Stravinsky, prepotentemente iscrittasi fra gli eventi radicali della musica del nostro secolo. Il segaligno giovanotto di Oranienbaum ne aveva avviato la stesura, avanti che Diaghilev gli comunicasse l'ufficiale commissione parigina (in un primo tempo ideata in favore di Liadov), verso il finire del 1909, in una dacia nei pressi di Pietroburgo di proprietà della famiglia Rimski-Korsakov; e s'era risolto di dedicare l'opera ad Andrei, figlio di Nikolai, scomparso l'anno precedente. Fra il dicembre e il marzo dell'anno successivo la composizione era stata ultimata e la partitura d'orchestra spedita a Parigi intorno alla metà d'aprile. Quantunque la partitura stessa rechi la data del 18 maggio, il musicista ebbe a precisare che a quella data s'era trattato, semplicemente, di siglare taluni dettagli di un lavoro a tutti gli effetti già compiuto.

Stravinsky ha offerto, nelle memorie, più d'un gustoso particolare sulla preparazione e sul battesimo dell'Uccello di fuoco, indugiando sin nell'evocare i frizzi, tutt'altro che arguti, del direttore d'orchestra Pierné e il profumatissimo tout-Paris della «prima»: al cui cospetto l'eleganza sobria dell'analogo londinese dovette fare un effetto quasi di deodorante. E stuzzicante, come sempre, appare il catalogo dei personaggi via via incontrati lungo il percorso di quel primo, fortunato approccio parigino: da Proust a Paul Morand, da Giraudoux a St-Leger, a Sarah Bernhardt. Pure l'accenno stravinskiano, dovizioso di fair play, a una battuta immortale di Debussy, finisce col connotare assai meglio d'ogni autobiografia, il senso da attribuire al famoso Esordio: qualche anno più tardi era stato Igor, nel corso di una rappresentazione del Pelléas et Mélisande, a domandare all'illustre collega cosa in realtà ne pensasse di quell'Uccello di fuoco allora pubblicamente elogiato. «Que voulez-vous, il fallait bien commencer par quelque chose», era stata la risposta. «Leale ma non proprio lusinghiera», la commentava Stravinsky (aggiungendo, cattiveria per cattiveria, che quel Pelléas lì, sciccherie fatte salve, gli pareva proprio una gran seccatura).

A distanza di circa settantanni da quegli storici agretti, l'ingenerosità debussiana non riesce, per noi, a svilire il fondo di giustezza che si celava in quell'insinuazione, per malefica che fosse. Il fascino rutilante dell'Uccello di fuoco (e delle Suites orchestrali, rinomatissime, che Stravinsky ne trasse, nel 1911, nel 1919 e nel 1945, in una con le versioni per violino e piano di taluni episodi) non è tuttora spento e, in tempi di vacche magre, continuiamo opportunamente a dilettarcene; ma, al di là della sapienza (mostruosa per un ventottenne) del colore e della giustezza dell'armonia, memori, secondo nota tesi, degli insegnamenti del maestro di Tikhvin, quel che di autenticamente stravinskiano ci si può limitare a riconoscere in questo caleidoscopio di stregonerie sono, più che altro, illuminazioni frammentarie del decorso ritmico, brusche impennate della percussione buttate lì, fra coltri di glissandi e volate cromatiche di strumentini ed arpe, a presagire la violentissima interruzione del concetto motorio e di tempo-durata che il prossimo boato sismico del Sacre stava accingendosi a sancire, insieme con l'affermazione vera del suo autore sommo.

Si narra, nell'Uccello di fuoco, dello zarevic Ivan, il quale, con l'aiuto di una penna d'oro dell'Uccello di fuoco da lui catturato e poi rimesso in libertà, si industria di strappare dalle grinfie del mago Katscei l'amata principessa prigioniera. Irretito dai demoni, Ivan si salva dai sortilegi del mago prima agitando la penna d'oro e poi schiacciando un gigantesco uovo in cui è racchiusa l'anima del malvagio Katscei. Infine egli sposa la principessa, mentre l'Uccello di fuoco vola via verso la libertà. La Suite che Stravinsky ne approntò nel 1919 comprende un'Introduzione, in tempo lento, caliginosa pagina di andamento cromatico descrivente il giardino incantato del mago Katscei, la notissima Danza dell'uccello di fuoco, in cui evidenti paiono, nel lussuoso tratto timbrico, i debiti contratti (e pagati) verso Rimski, il Rondò delle principesse, di stampo finemente elegiaco, la Danza infernale di Katscei, episodio ribollente di irregolarità ritmiche, stravinskiano e felice come nessun altro della partitura, la celebre Berceuse e il festoso Finale, sigillo strepitoso d'una composizione che altre, e assai più destabilizzanti, era destinata a presagire.

Aldo Nicastro


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 26 aprile 2003
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 31 maggio 1981


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Ultimo aggiornamento 27 ottobre 2017