Mavra

Opera buffa in un atto

Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Libretto: Boris Kochno, dal poema "La casetta di Kolomn" di Aleksandr Puskin

Ruoli:
  1. Ouverture
  2. Aria di Paraša
  3. Canzone gitana dell'ussaro
  4. Dialogo (la Madre e Paraša)
  5. Aria della Madre
  6. Dialogo (la Madre e la Vicina)
  7. Duetto (la Madre e la Vicina)
  8. Dialogo (la Madre, la Vicina, Paraša e Mavra)
  9. Quartetto (la Madre, la Vicina, Paraša e Mavra)
  10. Dialogo (la Madre, la Vicina, Paraša e Mavra)
  11. Duetto (Paraša e Mavra)
  12. Dialogo (Paraša, Mavra e la Madre)
  13. Aria di Mavra
  14. Coda (Mavra, Paraša, la Madre e la Vicina)
Organico: soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, 3 ottavini, 2 cornette, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, 4 fagotti, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: 1921 - Biarritz, 9 marzo 1922
Prima rappresentazione: Parigi, Teatro dell'Opera, 3 giugno 1922
Edizione: Édition Russe de Musique, Parigi, 1925
Dedica: alla memoria di Puskin, Glinka e Cajkovskij
Sinossi

Paraša è intenta a ricamare in un salotto borghese. L'ussaro Vasilij si affaccia alla finestra e Paraša intona una malinconica canzone, di carattere inequivocabilmente russo, in cui si lamenta della sua prolungata assenza. Vasilij le risponde con la ‘Canzone gitana dell'ussaro', e il suo canto si intreccia con quello di Paraša, trasformandosi in un breve duetto d'amore fino a quando l'ussaro si allontana, lasciando l'innamorata terminare la sua aria. Fa il suo ingresso la madre di Paraša, che si lamenta per la mancanza di una domestica dopo la morte della vecchia cuoca Fyokla. La madre manda Paraša a cercare una nuova domestica e intanto si intrattiene in chiacchiere con una vicina. Paraša fa ritorno a casa assieme a una robusta ragazza che presenta come la nuova cuoca, mentre d'altri non si tratta se non dell'ussaro travestito, a cui è stato affibbiato il nome di Mavra; i quattro esprimono la loro contentezza e cantano le lodi della scomparsa Fyokla. Dopo che la vicina si è allontanata e la madre è salita per prepararsi a uscire, i due innamorati, finalmente soli, intonano il loro duetto; poi Paraša si allontana anch'ella, insieme alla madre. Rimasta sola in casa, Mavra ne approfitta per radersi, ma viene sorpresa nell'assai poco femminile incombenza dall'inopinato ritorno di Paraša e della madre, che perde i sensi, riprendendoli in tempo per vedere Mavra che, dopo aver cantato un'aria alquanto frettolosa, fugge dalla finestra, mentre la figlia grida: «Vasilij, Vasilij!».


Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mavra venne originariamente concepita nella primavera del 1921, al Savoy Hotel di Londra, come un'operina che fungesse da prologo alla 'riesumazione' da parte di Djagilev della Bella addormentata nel bosco di Cajkovskij, a cui Stravinskij contribuì riorchestrando due numeri. Boris Kochno racconta di aver cercato con Stravinskij, tra i classici russi, una sceneggiatura con pochi personaggi, scegliendo infine il poema satirico di Puškin La casetta di Kolomna. Stravinskij e Kochno elaborarono insieme, a Londra, l'ordine di successione dei numeri, dopo di che il compositore russo si ritirò ad Anglet, in attesa che si concludesse la stesura del libretto. Nelle parole del compositore, «Mavra è cajkovskijana sia per il periodo sia per lo stile (...) ma la dedica a Cajkovskij era anche un gesto propagandistico. Volevo mostrare una Russia diversa ai miei colleghi non russi, specialmente a quelli francesi, i quali erano, a mio parere, saturi dell'orientalismo da ente turistico del gruppo dei Cinque». Mavra è infatti dedicata «alla memoria di Puškin, Glinka e Cajkovskij» e raccoglie l'eredità della musica colta russa dell'Ottocento (mentre con Les Noces, Pribautki e Renard aveva assunto come punto di partenza la musica popolare russa), anche se Stravinskij pare qui rivolgersi più a Glinka che a Cajkovskij - a quest'ultimo avrebbe dedicato, sei anni dopo, un ampio ed esplicito tributo personale con il balletto Le baiser de la fée. Mavra segna un momento fondamentale e nevralgico - oltre che controverso - nell'evoluzione del linguaggio compositivo di Stravinskij, nel quale si delineano i tratti fondamentali della poetica 'neoclassica' (intesa soprattutto come 'musica al quadrato', nel suo trarre spunto da musiche preesistenti), pur concludendo virtualmente il suo periodo russo. Secondo Ansermet con Mavra assistiamo alla messa in atto di un processo di 'riduzione' da parte di Stravinskij, che «nella povertà trova la salute» e dà l'avvio a una nuova fase in cui «la musica si spoglia di tutto ciò che l'aveva irrigidita». Con il suo balletto Pulcinella Stravinskij aveva del resto già individuato un percorso (fatto di 'sguardi all'indietro') che gli consentiva di adattare e trasformare sulla base delle proprie esigenze creative linguaggi e convenzioni stilistiche appartenenti alla storia della musica, da lui intesa come repertorio pressoché illimitato di possibilità, di risorse compositive suscettibili di essere utilizzate con disinvolta quanto appassionata voracità e attitudine 'predatoria'. Così, in Mavra, materiali sonori estremamente variegati, nei quali si fondono motivi russi, tzigani (seppure di maniera), ragtime e altro ancora, vengono calati in cornici individuabili come arie, duetti e quartetti, ovvero gli stereotipi dell'opera buffa italiana e del melodramma russo ottocentesco (inaugurato da Glinka - i cui modelli erano Rossini, Donizetti e Bellini - e proseguito da Cajkovskij), dei quali si mantiene, se pur parodiandola in una sorta di ironica e sarcastica rifrazione, l'impronta inequivocabilmente belcantistica, contrapposta a una trama orchestrale affatto atipica e dirompente, segnata da aspri impasti strumentali - Casella ha parlato di una «sonorità quasi sempre feroce e truce» - ai limiti del grottesco (grazie anche al nettissimo sbilanciamento timbrico dovuto alla preponderanza degli strumenti a fiato: 23 su 34). La vicenda narrata da Puškin ne La casetta di Kolomna è, in senso stretto, un semplice aneddoto, che si regge interamente sul coup de théâtre; nell'opera viene suddivisa in tredici 'numeri', che si susseguono uno dopo l'altro senza soluzione di continuità, e quindi con la sostanziale abolizione dei recitativi.

La prima rappresentazione di Mavra fu un insuccesso clamoroso e Stravinskij, che ne ebbe un'amarezza senza confronti nella sua pur lunga e contrastata carriera compositiva, si ostinò in più occasioni nel difendere le sue posizioni estetiche, dimostrando l'importanza che attribuiva a questo lavoro tutt'altro che marginale nell'ambito della sua produzione. Mavra rappresenta, analogamente al testo di Puškin, prescelto proprio in virtù delle sue caratteristiche affatto convenzionali e aneddotiche, un vero e proprio esercizio di stile, nel quale il compositore ritorna alla tradizione dopo averla accuratamente svuotata di significato, riducendola allo status di archetipo, dopo aver disseminato il testo musicale di scarti improvvisi e deviazioni, e dopo aver mandato in cortocircuito le norme stilistiche assunte a modello, in una serratissima e vertiginosa poetica dei contrasti. Stravinskij smonta e rimonta a modo suo il meccanismo dell'opera buffa individuandone l'elemento fondante, strutturale, nell'artificio retorico della parodia (che di volta in volta assume nella composizione accenti e soluzioni tecniche diverse). Il compositore oggettivizza la musica, straniandola dalla sua funzione drammaturgica, creando un contrasto irresistibile sia tra il materiale musicale e il soggetto trattato che, ad esempio, tra la linea vocale, fluida e gradevole, e l'accompagnamento, caratterizzato da un andamento meccanico ma nello stesso tempo 'sghembo' e intermittente; o ancora, tra le attese ritmiche e armoniche suggerite dalle melodie e le effettive soluzioni adottate nella scrittura orchestrale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Igor Strawinsky era un rossiniano inconsapevole (in parte consapevole lo divenne nel corso degli anni, quando lamentò di non poter accedere alle partiture del Pesarese e convinse il figlio a trascrivere alcuni dei «Péchés de vieillesse»). Forse gli sarebbe piaciuto scoprire che la sua «Mavra» era in sostanza lo stesso soggetto musicato da Luigi Ricci (di cui probabilmente ignorava anche il nome). La vicenda aveva del resto fatto strada anche in Francia. Un ufficiale travestito da cuoca prepara una frittata anche in «Le Docteur Miracle», libretto di Leon Battu e Ludovic Halévy, messo a concorso da Offenbach nel 1856. Il concorso fu vinto ex-aequo da Lecocq e dal giovane Bizet. Certo nel teatro tutto ciò che è simile è anche diversissimo. Del resto all'origine del libretto di Strawinsky vi era una novella di Puskin scritta nel 1830 (dunque pochi anni prima dell'opera di Ricci) e intitolata «La casa di Kolomna».

La vicenda dell'uomo assunto come donna al posto della cuoca era accompagnata da una specie di manifesto poetico che i critici dello scrittore amano sottolineare per riscattare forse la semplicità del racconto. Ma a Strawinsky dovette piacere proprio quella, con la possibilità di trarne una concentrata opera buffa sul solco della tradizione. All'opera buffa Strawinsky tendeva per vocazione e anche per spirito polemico contro i tempi e contro certa musica. «Mavra» fu concepita all'Hotel Savoy di Londra nel 1921, come racconta lo stesso musicista in «Esposizioni e sviluppi»: «Avevo pensato che la 'Casa di Kolomna' di Puskin fosse un buon soggetto e avevo chiesto al giovane Boris Kochno di trarne un libretto. Kochno era stato buon amico di Diaghilev un anno prima, ma in seguito non godeva più di quei favori instabili. Aveva un dono particolare per la versificazione e la sua 'Mavra' è per lo meno musicale nei senso migliore della parola (in russo in ogni modo). Lo schema dell'azione, con l'ordine di successione dei numeri, fu elaborato insieme da noi due a Londra, dopo di che mi ritirai ad Anglet per aspettare la fine della stesura del libretto e comporne la musica. La prima parte della partitura che composi fu l'aria di Parasha e l'ultima l'ouverture. Utilizzai principalmente strumenti a fiato, sia perché sembrava che la musica dovesse fischiettare come fischiettano gli strumenti a fiato, sia perché essa conteneva qualche spunto di jazz - specialmente il quartetto - che sembrava richiedere il suono di una 'band' piuttosto che di un'orchestra ».

«Mavra», dopo un'anteprima al pianoforte all'Hotel Continental fu rappresentata il 3 giugno 1922 all'Opera insieme con «Renard», e si concluse con un insuccesso. Diaghilev non apprezzava l'opera, osteggiò la regia della Nizinskaja e non perdonò a Strawinsky il finale dell'opera che giudicava banale ed affrettato. Al conto di «Mavra» Strawinsky doveva anche aggiungere il fatto che Ravel gli avesse da allora «voltato le spalle». La partitura era dedicata a Ciaikovsky, Glinka e Puskin e anche ciò celava l'intenzione polemica di dimostrare che la musica russa non era soltanto colore, e quel tipo di colore che aveva suscitato l'interesse a Parigi grazie agli allestimenti di Diaghilev. Polemiche e pretesti oggi appaiono lontani. «Mavra» è russa fino in fondo, volendo mostrare, musicalmente s'intende, una certa Russia non folklorica («musica ciaikovskiana per lingua e stile nel senso che si tratta di musica per gente di città o di piccoli proprietari terrieri»), ma è anche una perfetta opera buffa del novecento, con la nostalgia del numero chiuso, ma anche con la lente deformante che si posa sulle vicende. E la lente è rappresentata soprattutto dallo sberleffo dell'orchestra, mentre i numeri chiusi dall'espandersi in più punti del canto dei protagonisti. Ma «Mavra» è opera del novecento anche e proprio per quel suo finale incompreso che Strawinsky, malgrado le pressanti richieste, rifiutò dì correggere (anche se rivide la partitura nel 1949). Mancando del suggello narrativo e liberatorio, «Mavra» si afferma come una perfetta «musica oggettiva», un atto puro teatrale, un'epifania di opera buffa. Per avere un'altra conclusione, opposta ma di identico segno, bisognerà arrivare alla «Carriera del libertino» il cui sipario calerà, programmaticamente, con il ritorno all'origine del melodramma e alla favola di Orfeo.

Bruno Cagli

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nella primavera del 1921, Strawinsky si trovava a Londra, dove Sergej Djagilev, il direttore dei «Ballets russes», doveva curare una ripresa della «Sagra della primavera»; durante questo soggiorno nacque il progetto dì «Mavra», opera comica in un atto. L'argomento fu tratto da una novella in versi di Puskin, «La casetta di Kolomna», e il libretto affidato a Boris Kochno, un giovane poeta amico di Djagilev. Nell'inverno seguente, a Biarritz, Strawinsky attese alla composizione dell'opera; la «prima» ebbe luogo il 3 giugno 1922 all'Opera di Parigi, sotto la direzione di Saul Fitelberg e per la regia di Bronislava Nijinska,

«A la mémoire de Pouchkine, Glinka et Tschaikovsky / Igor Strawinsky», reca il frontespizio della partitura dì «Mavra»; e di questa dedica, parlando a nome proprio e di Djagilev, Strawinsky stesso spiega diffusamente le motivazioni in un celebre passo delle «Chroniques de ma vie»: «Il genio di Puskin in tutta la sua diversità e in tutta la sua universalità, ci era non solo particolarmente caro e prezioso, ma significava per noi tutto un programma. Per il suo carattere, la sua mentalità, la sua ideologia, Puskin era il rappresentante più perfetto di quella straordinaria discendenza che scaturisce da Pietro il Grande e che, in una felice congiunzione, ha saputo fondere gli elementi più specificamente russi con le ricchezze spirituali del mondo occidentale. Djagilev apparteneva incontestabilmente a questa discendenza e tutta la sua attività non ha fatto che confermarci l'autenticità di quell'origine. Quanto a me, io avevo sempre avvertito i germi della medesima mentalità che non chiedevano che di svilupparsi e che in seguito ho coltivato in modo più consapevole. La differenza fra questa mentalità e quella del gruppo dei «Cinque» che tosto si era trasformata in accademismo e si era ridotta al circolo Beljaev dove dominavano Rimskij-Korsakov e Glazunov, non consisteva nel fatto che la prima era per cosi dire cosmopolita e l'altra puramente nazionalista. Gli elementi nazionali occupano un posto considerevole tanto in Puskin quanto in Glinka e Ciajkovskij. Soltanto in questi ultimi, essi sgorgano spontaneamente dalla loro stessa natura, mentre presso gli altri la tendenza nazionalista era un estetismo dottrinarlo che essi volevano imporre. Questa estetica nazionale etnografica in fondo non è molto lontana dallo spirito di tutti quel film sulla vecchia Russia degli zar e dei Boiardi. Ciò che si constata in essi, come del resto nei folkloristi spagnoli moderni, pittori e musicisti, è precisamente questa velleità ingenua, ma pericolosa, che li porta a rifare un'arte già creata istintivamente dal popolo. Tendenza assai sterile e malattia della quale soffrono molti artisti di talento».

La lunga citazione è utile a chiarire la collocazione di «Mavra» nel momento, delicatissimo, In cui Strawinsky imboccava con l'apertura della fase neoclassica la via che avrebbe segnato per un trentennio la violenta frattura ideologica, più ancora che di stile, col filone disceso dalle avanguardie viennesi: finita la «coesistenza pacifica», o meglio la tregua armata che sinora aveva regolato i loro rapporti, Strawinsky e Schönberg sarebbero divenuti i punti di riferimento di due schieramenti rigidamente contrapposti, divisi da polemiche spesso aspre. Posteriore di tre anni a «Pulcinella», il primo lavoro strawinskiano decisamente neoclassico, «Mavra» è vista comunemente come l'atto conclusivo del periodo cosiddetto «russo»; ma la sostanza musicale dell'opera, coerentemente agli assunti ideologici esposti dall'autore nel brano sopra riportato, ne fa nello stesso momento una tappa non secondaria della nuova maniera strawinskiana, premessa logica del balletto «Il bacio della fata» su musiche di Ciajkovskij, ed avvisaglia lontana di certe soluzioni teatrali della «Carriera di un libertino».

Leggiamo «Mavra» e l'omaggio a Ciajkovskij alla luce delle parole con cui Massimo Mila sintetizza i termini della «titanica impresa» affrontata da Strawinsky con la svolta neoclassica: «dopo aver realizzato in piena espressione d'arte le proprie qualità di barbaro russo estraneo alla civiltà occidentale, impossessarsi, ricreandola e foggiandola in sé, della secolare tradizione che sostiene alle spalle, inconsciamente, gli artisti europei». Rifarsi a Ciajkovskij, e tramite lui a Glinka, l'iniziatore riconosciuto della scuola nazionale russa, aveva allora un duplice significato: da un lato, giustificare la permanenza di certi agganci folklorici, peraltro depuratissimi ed intellettualizzati: dall'altro, fonderli con Irrinunciabile logicità al processo di assimilazione e ricreazione, attraverso la «parodia», del patrimonio culturale occidentale, specialmente italiano; quello cioè che secondo Strawinsky aveva consentito al due compositori ottocenteschi di dar vita ad una salda tradizione operistica autenticamente russa e al tempo stesso svincolata dall'«orientalismo da ufficio turistico» del «Gruppo dei Cinque».

Il risultato di tutto ciò fu la partitura concisa e densissima di «Mavra», dove in piccolo spazio concorrono e si fondono con assoluta coerenza frammenti linguistici dalle origini più disparate, assunti a loro volta attraverso una serie quanto mai differenziata di mediazioni e di filtri stilistici.

Sono echi dell'opera russo-italiana, residui di vocalità belcantistica, atteggiamenti jazzistici, ricuperi, quasi citazioni, da lavori recenti (specialmente da «Les noces»); tentativi di romanza tzigana, agganci «occidentali» (Casella vuol riconoscervi addirittura una «pulsazione melodica derivata da Bach»); il tutto calato nelle forme dell'opera buffa italiana, arie, duetti, quartetto, perfino una piccola ouverture, chiaramente identificabili nonostante si succedano senza soluzione di continuità. Tessuto connettivo della materia musicale, l'implacabile dinamismo ritmico della parte orchestrale, affine in qualche misura a certe indicazioni dell'«Histoire du soldat»; l'acidità del segno strumentale, in contrasto spesso con i suggerimenti lirici di certe espansioni vocali, e comunque col tono «casalingo», «piccolo-borghese» della vicenda (sono sempre parole di Casella), diviene anzi il reagente da cui scaturisce la comicità dell'azione.

Accuratissimo, in questo disegno, il rapporto fra le voci e il tessuto strumentale, articolato su un numero ristretto di esecutori, in cui predominano i fiati, con l'aggiunta di dì tre violoncelli e tre contrabbassi e l'intervento sporadico di due violini e una viola; a monte di ciò, ancora un motivo polemico («ho voluto rinnovare lo stile di quei dialoghi in musica le cui voci erano state coperte e spregiate da frastuono del dramma lirico»), oltre che l'indicazione di un gusto sonoro preponderante nello Strawinsky di quegli anni (si è addirittura coniata l'espressione «trionfo di fiati»), dall'«Ottetto» al «Concerto per pianoforte».

Daniele Spini


(1) "Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 15 ottobre 1980
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 28 gennaio 1976


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 24 aprile 2019