Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci nominis

per tenore, baritono, coro e orchestra

Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Testo: latino dalla Vulgata
  1. Dedicatio
  2. Euntes in mundum
  3. Surge, aquilo
  4. Ad Tres Virtutes Horationes
    1. Caritas
    2. Spes
    3. Fides
  5. Brevis Motus Cantilenae
  6. "Illi autem profecti"
Organico: tenore, baritono, coro misto, flauto, 2 oboi, corno inglese, 2 fagotti, controfagotto, 4 trombe, 4 tromboni, organo, viole, contrabbassi
Composizione: 1955
Prima esecuzione: Venezia, Cattedrale di San Marco, 13 settembre 1956
Edizione: Boosey & Hawkes, New York, 1956
Guida all'ascolto (nota 1)

Terminata, nel 1951, «La carriera di un libertino», Stravinsky pareva aver ribadito con decisione una scelta non ritrattabile, affermando, esasperando, quasi, uno stile e un atteggiamento compositivo, quello neoclassico, che approfondiva e rendeva agli occhi di molti invalicabile il fossato che lo divideva dal radicalismo di Schönberg e dei suoi continuatori. Poteva sembrare addirittura un rispondere, rincarando di molto la dose, al ritratto che pochissimo tempo prima ne aveva tracciato Adorno, contrapponendo, nei due saggi simmetrici della «Filosofia della musica moderna», «Schönberg e il progresso» a «Stravinsky e la restaurazione». E invece, immediatamente dopo la conclusione dell'opera, ecco Stravinsky imboccare con una di quelle svolte stilistiche in apparenza incoerenti ed inspiegabili, una via del tutto diversa, che nell'arco di sei soli anni, con una gradualità tanto precisa da sembrar preordinata, l'avrebbe portato ad abbracciare la tecnica dodecafonica, impiegata per la prima volta integralmente con «Threni», nel 1958. Già la «Cantata» (1952) adotta in parte il principio della costruzione seriale, esteso integralmente nel «Settimino» e negli «Shakespeare songs» subito successivi; la medesima tecnica è applicata ancor più rigorosamente nel 1954 con «In Memoriam Dylan Thomas», dove la sovrapposizione delle diverse serie arriva a coprire il totale dei dodici suoni. Prima di giungere all'adozione integrale della dodecafonia si rendeva necessaria, a completare l'organicità di questo cammino, un'altra tappa, quella dell'utilizzazione parziale di tale tecnica: e fu il «Canticum sacrum», frapposto al completamento con sezioni dodecafoniche del balletto «Agon», già in parte steso in uno stile definibile come «diatonico-modale» (Vlad).

Il significato della svolta dodecafonica di Stravinsky è a tutt'oggi ancora «sub judice»: e ci si chiede se si è trattato di una conversione, dove gli omaggi tributati a Webern «pulitore di lucenti diamanti» posson essere un modo disinvolto di sottrarsi ad una palinodia imposta dal «fallimento morale» rappresentato (son parole di Rognoni) dalla «Carriera di un libertino»; se era invece una conversione ambigua, quasi un «foris ut moribus, intus ut lubet», e via dicendo. Un'altra interpretazione, più tranquillamente, può guardare alla svolta dodecafonica di Stravinsky inquadrandola nella storia della dodecafonia stessa; e constatare il fatto che tale svolta si è verificata, in fondo, quando la dodecafonia era divenuta, se non certo un fatto storicamente concluso e superato, altrettanto certamente un qualcosa di assimilato alla cultura musicale mondiale, almeno nelle sue fasce più evolute. Essa dunque si proponeva a uno Stravinsky negli stessi termini, o quasi, in cui gli si erano proposti altri stili ed altre tecniche: uscito dalla sua fase «barbara», quella grosso modo della «Sagra», Stravinsky si era impossessato della cultura musicale occidentale, assimilandola e ricreandola, lasciandoci sopra l'impronta della propria personalità originale, ma anche con la coscienza di una diversità storica che gli impediva il ricalco, lasciandogli solo la strada della «parodia». E quanto aveva fatto alle prese col Settecento di Pergolesi poteva fare anche con la dodecafonia di Schönberg; se questa gli pareva magari troppo legata ad una lunga storia di inevitabile rivalità e di insanabile contrasto, poteva comunque sempre trovare un terreno più neutro nell'arte, meno satura di ideologia, di un Webern, e il gioco era fatto.

Un'analisi di questo tipo può esser fatta valere anche per le tre sezioni dodecafoniche del «Canticum sacrum». Roman Vlad, che dell'opera di Stravinsky è uno dei più accurati ed acuti commentatori, non ha mancato di rilevare quello che del «Canticum Sacrum» è uno degli aspetti più vistosi; vale a dire l'estrema complessità e varietà dei motivi stilistici che vi convivono, talmente numerosi e diffusi da parer citazioni, riferite a «tutto l'arco della storia musicale europea». Le ha puntualmente identificate ed enumerate, anche: «Dalla melopea gregoriana alla scrittura weberniana ad amplissimi intervalli; dai procedimenti medievali dell''organum' e del falso bordone alla strutturazione seriale; dalla modalità bizantina, alla polimodalità, alla politonalità, all'atonalità; dall'arcaico diatonicismo, al moderno polidiatonicismo, al cromatismo integrale; da frasi che ricordano l'antico effetto del 'hochetus', da inflessioni che riportano alla rinascimentale scuola veneziana alle tese curve dodecafoniche; dalla barocca compattezza di volumi armonici al puntilismo contrappuntistico delle più recenti avanguardie; dalla compagine strumentale di antico stampo veneziano a disposizioni strumentali che testimoniano dell'esperienza delle variazioni per orchestra di Webern: l'orizzonte formale dell'opera spazia da uno all'altro di questi elementi ed aspetti».

E si può, indubbiamente, sostenere con Vlad che la sintesi di tale coacervo stilistico avvenga sotto il segno della dodecafonia, «la quale, una volta di più, dimostra la sua essenziale virtù unificatrice». Ma si può altrettanto legittimamente avanzare l'ipotesi che sia proprio la dodecafonia, al pari degli stilemi rinascimentali e medievali e barocchi a porsi sotto il segno unificatore del «modus operandi» di Stravinsky; a subire la manipolazione a l'appropriazione abituali ad un musicista che ha sempre preferito al fare dell'avanguardia nel senso normale del termine il trasformare, col proprio apporto originale, delle tecniche e degli stili ufficialmente adibiti a far cultura. Basterebbe, a questo proposito, la semplice analisi delle serie fondamentali impiegate nel «Canticum», con l'insopprimibile diatonismo della loro intervallica, a chiarire quanto si voleva affermare.

Composto nel 1955, il «Canticum Sacrum ad Honorem Sancti Marci Nominis», coerentemente alla dedica a Venezia e al suo santo patrono, ebbe la sua prima esecuzione in S. Marco il 13 settembre 1956, nell'ambito del diciannovesimo festival di musica contemporanea. Esso prevede l'impiego di due solisti di canto (tenore e baritono), coro misto, e di un organico orchestrale abbastanza anomalo: flauto, due oboi e corno inglese, due fagotti e controfagotto, quattro trombe, quattro tromboni, arpa, organo, viole e contrabbassi.

La scelta dei testi (tratti dalla Vulgata) e la loro trasposizione musicale concorrono a creare una struttura architettonicamente saldissima: le cinque sezioni che fanno seguito alla «dedicatio» intonata dai due solisti accompagnati da tre tromboni stanno fra di loro, nota Robert Craft, come le cinque cupole di S. Marco, delle quali «la centrale è la maggiore, mentre le altre rispondono ad un equilibrio rispettivo». Il gioco dei rimandi fra l'una e l'altra parte è quanto mai complesso e sottile, e si estende allo stesso significato teologico dei testi con precisa rispondenza sul piano musicale. Tre sezioni (la seconda, la terza e la quarta) sono dodecafoniche; la prima e l'ultima non ricorrono a tale tecnica, ma ne sfruttano uno degli artifici più caratteristici, essendo l'una il retrogrado dell'altra (ossia, se si legge la prima tornando dalla fine verso il principio, si ha l'esatta stesura musicale della seconda). La giustificazione di tale simmetria è data dal rapporto reciproco dei testi, oltre che da un'esigenza costruttiva fortissimamente sentita: se la prima sezione del «Canticum», «Euntes in mundum», riprende dal Vangelo secondo Matteo il comandamento della predicazione, l'ultima, «Illi autem profecti», ne rappresenta l'attuazione secondo il racconto di Marco. La seconda e la quarta sezione si corrispondono soprattutto sul piano musicale, dedicate come sono rispettivamente agli assoli del tenore («Surge aquilo») e del baritono («Brevi motus canti lena» sulle parole «Jesus autem» dal Vangelo di Marco) affiancato al coro. La sezione centrale è la più imponente, sia per il peso sonoro, che si affida all'intero organico strumentale e vocale, che per la struttura, a sua volta divisa in tre parti intitolate alle tre virtù teologali.

La robusta scrittura corale e orchestrale di «Euntes in mundum» viene interrotta due volte da brevi interludi sostenuti da organo e fagotti. Si crea cosi all'interno di questo brano una struttura ternaria (le parti cantate dal coro) inquadrata in una quinaria (quelle più gli interludi); fin dall'inizio si avverte un continuo incastro di forme, una costruzione di simmetrie puntualmente sottolineata dalla strumentazione, ohe si articola in formazioni spesso contrapposte. «Surge aquilo» vede il tenore dipanare la sua serie di dodici suoni nelle varie forme su uno scarno contrappunto di flauto, corno inglese e arpa, e qualche sporadico intervento di tre contrabbassi. La terza sezione, «Ad Tres Virtutes hortationes» si distende come una piccola cantata in tre parti, aperta da poche battute dell'organo: «Charitas» e «Fides» sono canoni corali; «Spes», che si pone al centro di questa terza parte come di tutto il «Canticum Sacrum», è invece un episodio antifonale diviso fra i due solisti e soprani e contralti del coro. Le tre «Virtutes» sono collegate l'una all'altra dalla ripresa dell'introduzione, ancora affidata all'organo; la conclusione spetta invece alle viole e ai contrabbassi che ricapitolano la serie originaria di questa sezione. Il quarto episodio segna forse il momento più importante del «Canticum Sacrum»: il dialogo del baritono col coro si increspa quasi drammaticamente sulle parole dell'incredulità, fino a calmarsi su un «Credo» ripetuto più volte. La scrittura dodecafonica è anche qui rigorosa, e consegue una densità melodica e polifonica carica di tensione espressiva. La sezione finale è, si è detto, il retrogrado della prima: il materiale musicale è pressoché lo stesso anche quanto a strumentazione: muta invece la dinamica. La conclusione giunge smorzata, su accordi affidati a blocchi contrapposti di voci e strumenti.

Daniele Spini

Testo

DEDICATIO
Urbi Venetiae, in laude Sancti sui Presidìs, Beati Marci Apostoli.

I
Euntes in mundum universum, praedicate evangelium omni creaturae.
(Vulgata, Evang. secundum Marcum, XVI.7)

II
Surge, aquilo; et veni, auster; perfla hortum meum, et fluant aromata illius.
Veniat dilectus meus in hortum suum, et comedat fructum pomorum suorum.
Veni in hortum meum, soror mea, sponsa; messui mhyrrham meam cum aromatibus meis; comedi favum meum cum melle meo; bibi vinum meum cum lacte meo.
Comedite, amici, et bibite; et inebriamini, carissimi.
(Vulg., Canticum Canticorum, IV, 16, V)

III
Charitas

Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota anima tua, et ex tota fortitudina tua.
(Vulg., Deuter., VI, 5)
Diligamus nos invicem, quia charitas ex Deo est; et omnis qui diligit ex Deo natus est, et cognoscit Deum.
(Vulg., Prima Epistola Beati Joannis Apostoli, IV, 7)
Spes
Qui confidunt in Domino, sicut mons Sion; non com-movebitur in aeternum, qui habitat in Jerusalem.
Sustinuit anima mea in verbo ejus; speravit anima mea in Domino, a custodia matutina usque ad noctem.
(Vulg., Libr. Psalm., CXXV, I. CXXIX, 4-5 CXXIV, I)
Fides
Credidi, propter quod locutus sum; ego autem humiliatus sum nimis.
(Vulg., Libr. Psalm., CXV, 10)

IV
Jesus autem ait illi: Si potes credere, omnia possibilia sunt credenti. Et continuo exclamans pater pueri, cum lacrimis aiebat: Credo, Domine; adjuva incredulitatem meam.
(Vulg., Ev. secundum Marcum, IX, 22-23)

V
Mie autem profecti praedicaverunt ubique, Domino cooperante et sermonem confirmante, sequentibus signis.
Amen.
(Vulg., Ev. secundum Marcum, XVI, 20)
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 4 novembre 1977


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Ultimo aggiornamento 20 gennaio 2019