Marche. Introduction / Pas d'action / Thème varie / Pas de deux / Marche. Conclusion sono i cinque movimenti di questa suite per balletto, che Stravinsky concepì "astratta", ma che Balanchine non si astenne dal trasformare, due anni dopo la prima esecuzione, in coreografia. Non sfuggirà, in apertura, il richiamo all'inizio di "Dumbarton". Davvero, soltanto Stravinsky poteva rimproverare a Vivaldi di aver composto «seicento volte lo stesso concerto». Un'attitudine che all'autore doveva suonare familiare, come ammette nelle note anteposte alle Danses: «le sorgenti riattivate dalle mie opere passate hanno continuamente nutrito il presente: ed è questa una delle ragioni per cui la mia attività dovrebbe essere considerata nella sua interezza». Gioco, capriccio, enigmatica leggerezza sono alcune delle definizioni più comuni applicate a questo "Concerto per piccola orchestra", come l'autore aveva specificato nel manoscritto originale. Le due Marce segnano l'inizio e la fine dell'opera; il secondo movimento è in forma di Rondò, nel terzo un tema si articola in quattro variazioni (Allegretto, Scherzando, Andantino, Tempo giusto), il quarto si presenta col carattere di una cadenza solistica e prepara il ritorno della Marcia iniziale.
Gli anti-stravinskiani, di fronte ad un'opera così densa di auto-citazioni, affilano le armi, denunciando il «carattere profondamente parassitario di questa musica» (Hans Ferdinand Redlich) e rimpiangendo, come già Malipiero, quella data-simbolo dell'ottobre del 1913. Ma questo Stravinsky americano, così devoto alla formula della parodia e dell'assimilazione vorace dei linguaggi musicali più diversi, strappati al loro contesto originale, trasformati e stilizzati nella sua personalissima bottega di artigiano e giocoliere, non riesce a rinnegare se stesso. E nello schiaffo ritmico che apre le "Dances" si svela subito - dopo trent'anni - discendente diretto del "barbarico primitivo" che col "Rito della primavera" aveva sconvolto il pubblico del Théàtre des Champs Elysées. Ma ora è soltanto un gioco, senza "spiegamento della verità?".
Sandro Cappelletto