Concerto per due pianoforti


Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
  1. Con moto
  2. Notturno. Adagietto
  3. Quattro variazioni
  4. Preludio e Fuga
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Voreppe, 1931 - Parigi, 9 novembre 1935
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 21 novembre 1935
Edizione: Schott, Magonza, 1936
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Era stato chiaro Rimsklj-Korsakov, il maestro "insolito" che gli aveva però fatto "dono delle sue indimenticabili lezioni", l'uomo "pieno di arguzia" anche se "possedeva un gusto letterario parrocchiale". "Qualcuno compone allo strumento - gli aveva detto - qualcuno direttamente sulla pagina. Lei comporrà al pianoforte". Igor non venne mai sfiorato dalla tentazione di contraddirlo. Tutti, attorno a Stravinskij, lo avevano capito presto. Il suo metodo era concreto, meticoloso e "fisico": al pianoforte.

"È essenziale per lui il completo silenzio - raccontava il figlio Theodore, che l'aveva sotto gli occhi -. Dopo essersi alzato presto, subito dopo colazione si chiude in quella parte della casa che funge da studio e ufficio insieme. Compone sempre al pianoforte, poiché, non avendo confidenza con le astrazioni, ha bisogno di un contatto diretto con i suoni e desidera, nonostante la sua esperienza musicale e la sua memoria, sottoporre ogni accordo, ogni intervallo, ogni frase a una verifica nuova. Lavora lentamente...e raramente compone più di due o tre pagine al giorno, alcune volte anche meno...".

Ma è poco parlare di metodo e confinare tutto nella dimensione pratica. Il pianoforte fu il giardino botanico di Stravinskij, la serra dei mille incroci, il laboratorio di ogni sperimentazione, la pista di decollo e di atterraggio per ogni volo della fantasia, in qualunque direzione. Nella natura intrinsecamente percussiva del pianoforte, che ogni maestro e ogni virtuoso s'impegna a far dimenticare, stava il corredo genetico del pensiero di Stravinskij: non perché ne fosse volgarmente condizionato, ma perché istintivamente a quel meccanismo di produzione del suono aderiva il suo modo d'intendere la musica come linguaggio. Nel pianoforte, Stravinskij riconosceva il suo interfaccia ideale, come tanti scrittori di oggi si riconoscono nella modularità del computer, e quelli di ieri nel clicchettio di una Olivetti.

Stravinskij fu, nel Novecento, il vero cantore della macchina pianoforte, come i Futuristi, in piccolo, della macchina tout court.

A quella identità logica tra pensiero e strumento si riconduce, ad esempio, l'incomprensione che verso Igor nutrì un altro russo, di altra generazione, che con lui avrebbe dovuto avere, teoricamente, solo confluenze. "In Stravinskij - diceva stizzito Sostakovic - la struttura aggetta come fosse un'impalcatura. Manca la scorrevolezza, non ci sono ponti naturali. È una cosa che mi riesce irritante, d'altro canto questa chiarezza architettonica rende più facile l'ascolto. Dev'essere questo uno dei segreti della sua popolarità... Sciocco chi pensa che negli ultimi anni di vita la qualità della sue composizioni sia peggiorata: pure calunnie dettate dall'invidia. A mio giudizio è avvenuto proprio il contrario. A non andarmi giù sono proprio le prime opere, per esempio il Sacre: è piuttosto rozza, in larga misura scientemente rivolta all'effetto esteriore e priva di sostanza vera. E lo stesso devo dire dell'Uccello di fuoco, una pièce che considero francamente sgradevole...".

Non un giudizio di valore assoluto, questo di Sostakovic, che poco oltre ammetteva: "Pure, Stravinskij è l'unico compositore del nostro secolo che oserei dire grande senza esitazioni...". Ma una incomprensione di natura estetica profonda, radicale, con aggiunte "morali", quasi patriottiche: "Tutt'altra questione è quanto russo egli fosse - sentenziava Sostakovic -. La sua concezione etica è europea... Quando Stravinskij è venuto da noi, in Russia, lo ha fatto da straniero e sembrava addirittura incredibile che fossimo nati a due passi di distanza, io a Pietroburgo e lui poco distante".

Radici comuni, stessa scuola, simili attrezzature tecniche, identici patrimoni di storia, possono generare divergenze stellari.

L'incomprensione è appunto legata all'antitesi, ormai da considerarsi storica, fra pensiero modulare e pensiero discorsivo. Origine anche dell'impossibilità a capirsi, prima con Debussy, poi con Schöriberg e Berg. Al di là di ogni veleno da concorrenza.

Il Concerto per due pianofortì soli è una delle fotografie più netta dello Stravinskrj-pensiero, uno scatto alla Man Ray sui tratti salienti di "...questo uomo mai sazio di inventare" - come scriveva di lui il fan Savinio -, che come Gulliver "si trascina dietro l'intera armata di Lilliput legata per un cordino... l'intero popolo musicale così tardo, così privo di movimenti autonomi, così bisognoso di rimorchio".

Il Concerto per due pianoforti soli, prima opera di Stravinskij cittadino francese, fu composto tra Voreppe e Parigi, nell'arco lungo che va dall'autunno del 1931 (primo movimento) al 9 novembre 1935. Lo eseguirono per la prima volta alla Salle Caveau, il 21 novembre, Igor e il figlio Soulima.

Il senso pratico di Stravinskrj - che i più spieiati, come Misia Sert, chiamavano con nomi più volgari - non è estraneo alla nascita di una composizione che poteva garantire l'enorme vantaggio di rinunciare a orchestra e direttore (e relative spese), riservando il cachet intero a due esecutori di famiglia. Soulima era il più musicalmente dotato dei figli, e poteva vantarsi (ma non lo fece mai) di essere stato l'allievo prediletto di Nadia Boulanger, che le rasoiate non le risparmiava a nessuno.

Igor, da parte sua, avrebbe sempre cercato di economizzare, proponendosi come interprete delle proprie musiche, anche sul podio. Ma se come direttore aveva concorrenti forti e fortissimi, alla tastiera poteva più facilmente mostrarsi all'altezza del sé compositore. Già nel 1908, a San Pietroburgo, si era presentato in pubblico con i Quatre études pour piano. Il concertismo come mestiere non era fra i suoi progetti, ma di fronte a nuove opportunità, verso il 1932 cominciò a dedicare diverse ore al giorno per riguadagnare il tempo perduto. "Iniziai a sciogliere le dita, suonando molti esercizi di Czerny, cosa non solo utilissima, ma anche piacevole".

In una breve introduzione a voce, alla Salle Caveau, Stravinskij aveva subito voluto sottolineare quanto il suo Concerto fosse nuovo. "La storia - disse al pubblico in attesa - conosce, tutto sommato, poche opere per due pianoforti senza orchestra. Quanto a concerti per due pianoforti, non ne esistono, che io sappia*. (Ma Stravinskij, sostiene Casella, non conosceva i Concerti per due tastiere di Bach). Sicuramente, due pianoforti in Concerto, senza orchestra, erano qualcosa di originale nel 1935.

Nello stesso preambolo, Stravinskij, eseguiva l'inedito dopo la sua trascrizione di Petruska, sviluppava in prima persona l'argomento chiave del suo rapporto col pianoforte. "Le idee musicali possono nascere in una maniera per così dire astratta senza che il compositore abbia in mente, all'inìzio, la loro espressione strumentale, ossia senza che egli pensi a uno strumento e a un ensemble. Ma, in una composizione per uno strumento e un ensemble scelti da principio, quelle idee sono il più delle volte suggerite dallo strumento stesso e sempre condizionate dalle possibilità che offre. In questo caso, il pensiero del compositore lavora, oso dire, in presenza dello strumento".

Il Concerto per due pianoforti è la summa di questa concretezza. E anche di più. "Per tutta la vita ho saggiato la mia musica mentre la componevo, sia che fosse orchestrale sia di altro genere, a quattro mani su una tastiera. In questo modo sono in grado di provarla, mentre non riesco quando un altro esecutore è seduto a un altro pianoforte". Accade infatti che, finito il primo movimento, nel 1931, Stravinskij s'interrompe: non riesce a "sentire" la tastiera n. 2. Così, "...dopo aver completato il Duo Concertante e Persephone, chiesi alla casa Pleyel di costruire per me un doppio pianoforte, sotto forma di un piccolo cubo formato da due triangoli perfettamente incastrati l'uno nell'altro. Completai allora il Concerto nel mio studio Pleyel saggiandone con l'orecchio il risultato passo passo insieme a mio figlio Soulima all'altra tastiera".

Diviso in quattro, articolati movimenti - Con moto, Notturno-Adagietto, Quattro Variazìoni, Preludio e Fuga -, il Concerto per due pianoforti ha nella compattezza il suo carattere. Appaia le tastiere, le dispone sulla stessa linea di partenza, ma le muove poi in una libera forma concertante che trapassa la struttura della Sonata, le sue proporzioni, il suo respiro. Concedendosi citazioni barocche e tocchi di lirismo (Notturno), il Concerto dilata la voce del primo fra gli strumenti fino agli strati "sinfonici" della polifonia, celebrando con rito puro ma evoluto quel pianoforte e quella musica al quadrato che "sono" Stravinskij stesso, e potevano far dire a Ezra Pound: "è l'unico musicista vivente dal quale io possa imparare qualcosa nel mio lavoro".

Carlo Maria Cella

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«Per tutta la vita ho provato la mia musica mentre la componevo, sia che fosse orchestrale, sia di altro genere, a quattro mani su una tastiera. In questo modo sono in grado di provarla, mentre non posso quando un altro esecutore è seduto a un altro pianoforte. Quando ripresi il Concerto [...] chiesi alla Casa Pleyel di costruire per me un doppio pianoforte, sotto forma di un piccolo cubo formato da due triangoli strettamente incastrati. Completai il Concerto nel mio studio Pleyel, saggiandone con l'orecchio il risultato passo per passo con mio figlio Soulima all'altra tastiera»: così Igor Stravinskij, nei Dialogues, sulla genesi del suo Concerto per due pianoforti soli completato nel 1935. Proprio dal desiderio di suonare con il figlio, valente pianista cresciuto alla scuola di Nadia Boulanger, nacque l'idea di scriverlo. Per prepararlo Stravinskij si tuffò nella lettura dei classici, «nelle variazioni di Beethoven e Brahms e nelle Fughe di Beethoven». La ricerca dell'equilibrio e dell'ordine neoclassici sono un punto fermo; ad esempio spicca il riferimento alla scrittura contrappuntistica rigorosa, o il controllo della forma e delle relazioni armoniche. D'altronde lo stesso compositore durante alcune lezioni di analisi sul Concerto e sulla Pershéphone, a Nadia Boulanger che sottolineava la raffinatezza delle relazioni armoniche e la bellezza del suono di queste musiche, soleva rispondere, quasi minimizzando: «Mais c'est seulement de la musique tonale». Il primo movimento, Con Moto «è un Allegro di sonata» e vive sul dualismo integrato dei due temi, il primo incisivo e il secondo dal profilo cantabile, con un'estesa parte centrale d'impianto sviluppativo che lascia trasparire una vena di barocca sentimentalità. Dopo una Ripresa parziale ma testuale dell'esposizione, si apre una seconda sezione di Sviluppo e una Coda basata sulla formula del primo tema. Anche il Notturno è in forma ternaria, e richiama nell'elegante incedere del tema di ballabile, nello stile fiorito, negli iridescenti scenari armonici e vagheggiamenti della parte centrale, «i pezzi del XVIII secolo chiamati Nachtmusik, o ancora meglio, le Cassazioni così frequentate dai compositori dell'epoca». Le Quattro Variazioni erano state poste in prima battuta in conclusione di Concerto. Stravinskij però decise per un finale più incisivo e mutò l'ordine primigenio, lasciando in coda l'episodio del Preludio e Fuga. Dunque le variazioni sono sopra un tema ancora non sentito, implicito, quello del Preludio, che coincide pure con il soggetto della Fuga. Dopo la prima enunciazione, in forma di raffinata elaborazione del tema principale, su di un increspato, ancheggiante accompagnamento, e la seconda variazione, che si presenta in tutta la sua icastica frontalità, la terza scorre invece sopra un continuum ritmico di mulinanti semicrome cromatiche, mentre emergono, sullo sfondo, puntillistiche sonorità riferite al tema. Nella quarta variazione il soggetto principale è concentrato dentro pesanti accordi massivi e, nella ripetizione, finisce per diventare una vera e propria formula fissa. Quando si apre il Preludio è già dunque nella memoria il profilo del tema, che ora risuona dentro diafane risonanze che paiono lontani rintocchi. Così la Fuga irrompe sopra la sua griglia di insistenti sestine di semicrome con una sempre più enfatizzata citazione del tema, che poi torna pure per inversione prima delle ultime, solenni asserzioni del Largo.

Marino Mora

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Iniziato nel 1931, e completato quattro anni più tardi, il «Concerto» per due pianoforti soli fu scritto per l'attività concertistica del compositore. Strawinsky aveva già formato un duo col violinista Samuel Dushkin, ed il «Concerto» fu composto per un nuovo duo assieme al figlio Soulima. La scrittura del «Concerto» individua un nuovo impiego del duo pianistico. Prima del «Concerto» il duo pianistico era concepito come una riduzione dell'orchestra per uso domestico. Nel «Concerto» invece Strawinsky adopera i due pianoforti come una unica tastiera, su cui sia possibile azionare venti tasti contemporaneamente. Il risultato è di una densità accordale e ritmica che ricorda lo «Studio» per pianola ed il suo pianismo ineseguibile.

E' interessante osservare come il medium solleciti Strawinsky a nuove soluzioni stilistiche, in questo caso la densità della scrittura si muta in furore politonale.

Il «Con moto» si apre con una caustica fanfara alternata ad una seconda idea lirica, il «Notturno» è delicatamente filigranato. Le «Variazioni» sono atematiche, ed il titolo si deve al ricordo delle figurazioni proprie al genere variazione. Il «Preludio» è solenne ed accordale; la Fuga ha un tema mordace che si dissolve nella retorica di una coda a valori distesi.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Il «Concerto per due pianoforti soli» di Stravinsky fu composto fra gli anni 1931 e 1934 a Parigi, patria d'elezione del musicista, che nel 1934 era divenuto cittadino francese. «Questo concerto - annota di suo pugno Stravinsky sul retro del frontespizio - è stato eseguito da me e da mio figlio Sviatoslav Soulima per la prima volta all'Università des Annales, a Parigi, Sala Gaveau, il 21 novembre 1935». L'epoca della composizione indica chiaramente che ci troviamo negli anni centrali del cosiddetto neoclassicismo stravinskiano, in una fase che ne ha dilatato la primaria nozione, intesa come imitazione-ripresa-rievocazione di modelli formali settecenteschi, con il caso-limite di «Pulcinella», che utilizzava materiale desunto da Pergolesi. Dopo tale esperienza, ritenuta forse esaustiva di un primitivo impulso intellettuale, Stravinsky si rivolge infatti al pianoforte, strumento romantico e non-classico se mai ve ne furono; ed ora non per recuperare, ma per stravolgere. Ci spieghiamo: quando Stravinsky scrive per la tastiera, è stimolato da un'esigenza fondamentale: quella di fare 'diverso' dal pianismo romantico, rifuggire dal virtuosismo acrobatico e fastoso di Liszt, dall'intimismo chopin-schumanniano, dalle liquescenze dell'impressionismo debussiano. Il nuovo pianoforte è dunque tutto da inventare: di qui i recuperi dei materiali più eterogenei, ma comunque non romantici: dalla pianola jazz all'organetto di barberia, dal cembalismo bachiano fino al percussivismo di Bartók ed anche del collega-rivale Prokofiev. Ma la pietrificazione e il contemporaneo ribaltamento 'significante' delle forme preesistenti - perseguiti anche in composizioni di altra natura: «Oedipus Rex», (1927) oratorio in bilico fra Bach, Haendel e l'opera italiana o «Jeux de cartes» (1937) con ie ironiche citazioni di Mozart e Rossini - giungono in questo «Concerto per due pianoforti soli» ad approdi lievemente diversi, per una manifesta gioia di suonare, far musica, che domina la partitura, e per l'attenuarsi di certe repressioni emotive cosi tipiche del primitivo neoclassicismo. Il puro gioco stravinskiano cerca riferimenti in modelli preclassici (l'articolazione in quattro movimenti, la presenza di un Preludio e Fuga) e in quell'ideale campione che è la Sonata per due pianoforti K. 448 di Mozart: ma quando mai si era scritto cosi nel Settecento, e con queste sonorità, con questa foga, con questa fastosa architettura? Siamo di fronte, evidentemente, a una delle consuete parodie stravinskiane; parodia da non intendersi — lo ha finemente rilevato Massimo Mila — come caricatura burlesca, bensì come travestimento con abiti del passato, scoloriti, deformati, purché si tratti di una qualche appropriazione di una civiltà remota.

Si osservi il primo movimento, costruito secondo una tecnica tipica-mente aggiuntiva, antitesi chiarissima alle strutture classiche della forma-sonata, con la precisa individuazione del materiale tematico, il suo sviluppo e ricapitolazione. Fin dall'inizio, vengono enunciate varie figurazioni: una scala ascendente, un disegno ritmico di ottavi puntati che si muovono per terze, un breve spunto melodico spiccatamente diatonico; ma sono soltanto enunciazioni. Tutto questo materiale, ed altro ancora, sarà come fagocitato da un'interrotta pulsazione ritmica che sembra tutto stravolgere, secondo l'estetica stravinskiana che il ritmo è l'essenza stessa della musica; pulsazione che toglie ad ogni spunto qualunque potenzialità di significazione sentimentale o psicologistica. L'irregolarità dei ritorni, la spiccata asimmetria dei ritmi niente tolgono a questo ossessivo movimento, che sembra non conoscere pause o respiri. Un puro gioco, sì, che può sfiorare il tragico, per il volontaristico distacco dell'autore dalla materia posta in moto.

Impressione tragica che si attenua nel secondo tempo, che porta il titolo di Notturno: pagina sostanzialmente lirica, in cui però la linearità della melodia cantabile è continuamente distorta dall'inserzione di figurazioni asimmetriche e di altro materiale estraneo a quello fondamentale. Il 'canto' è affidato per lo più al primo pianoforte, mentre il secondo ha funzione di strano accompagnamento, greve ed aspro: divisione dei ruoli che suggerisce un parziale straniamento, anche in questo Notturno. Pagina di assoluto virtuosismo costruttivo sono le successive Variazioni: Stravinsky scrive appunto Variazioni soltanto, perché, contrariamente allo schema classico, non esiste un tema da variare. La prima evoca le sonorità della pianola disegnando l'andamento ritmico di uno sbilenco valzer in 4/8 e 3/8; la seconda è caratterizzata da forti glissandi e rabbiose scale discendenti per ottave; la terza è quasi un moto perpetuo sostenuto da un disegno di sestine di sedicesimi; la quarta riprende il movimento di valzer (in 4/4!) approdando imprevedibilmente in un perfetto accordo di re maggiore.

Infine un Preludio, vagamente raveliano, se non fosse per la dura sonorità di qualche accordo, cui segue la Fuga a quattro voci (il tema viene desunto dalle Variazioni): chiaro omaggio alla costruttività bachiana, nella quale Stravinsky impiega tutte le risorse della tecnica contrappuntistica, compresa la inversione del tema: due pagine che concludono, in un'atmosfera più chiara e rarefatta, questo «Concerto», scritto nel suo insieme come un vero e proprio certamen fra i due esecutori, in cui tutte le risorse del linguaggio novecentesco — bitonalismo, cromatismo, enarmonia — e tutti i moduli tipici del pianismo — martellamenti, arpeggi, note ribattute, scale — sono impiegati e finalizzati al piacere della costruzione musicale 'in sé'.

Cesare Orselli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 18 ottobre 2002
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 172 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 15 maggio 1974
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 7 giugno 1978


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 7 dicembre 2018