Concerto in re maggiore per violino e orchestra


Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
  1. Toccata
  2. Aria I
  3. Aria II
  4. Capriccio
Organico: violino solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, archi
Composizione: Isère 20 maggio - 10 giugno 1931
Prima esecuzione: Berlino, Neues Schauspielhaus im Gendarmenmarkt, 23 ottobre 1931; in forma di balletto con il titolo "The Cage": New York, City Center Theater of Music and Drama, 14 giugno 1951
Edizione: Schott, Magonza, 1931

Scritto in collaborazione con Samud Duskin
Guida all'ascolto (nota 1)

Nella seconda delle tre Satiren per coro misto op. 28, scritta nel 1925, Arnold Schönberg derideva il cosiddetto "neoclassicismo" di Stravinskij con questi versi:

Sono degli autentici capelli falsi!
Una parrucca!
Proprio (come s'immagina il piccolo Moderninsky),
proprio come papa Bach!

Lo slogan del "retour a Bach" era stato coniato nel 1923 in occasione dell'Ottetto per strumenti a fiato, che prendeva spunto dal modello dei Concerti Brandeburghesi. Era quasi Inevitabile che Stravinskij rendesse esplicito il carattere "storico" del lavoro attraverso l'uso delle forme concertanti, che avevano connotato la musica strumentale del Settecento prima della svolta in direzione drammaturgica del classicismo e dell'avvento della sonata. In questo senso l'uso dell'etichetta "neoclassico" è piuttosto ambigua e si presta a numerosi equivoci, che rispecchiano le contraddizioni della musica europea tra le due guerre. Il nome di Bach ritorna, sia pur in maniera implicita, in uno dei lavori più equilibrati e maturi della fase neoclassica di Stravinskij, il Concerto per violino in re maggiore. In Memories and Commentaries l'autore ne ricordava la genesi: «Il Concerto fu commissionato per Samuel Dushkin dal suo patrono, l'americano Blair Fairchild, che aveva scoperto il talento violinistico di Dushkin fin da quando questi era un bambino e aveva da allora finanziato la sua educazione e la sua carriera. Il direttore della casa editrice Schott, Willy Strecker, amico di vecchia data di Dushkin, mi persuase ad accettare la commissione. I primi due movimenti e parte del terzo furono composti a Nizza, ma la partitura fu completata a La Vironnière, un castello vicino a Voreppe preso in affitto da un avvocato campagnolo che somigliava a Flaubert».

Tutto questo avveniva agli inizi del 1931 e prese forma in maniera molto rapida, grazie alla buona collaborazione tra compositore e violinista, tanto che il 23 ottobre il Concerto poteva essere presentato a Berlino con Dushkin e l'Orchestra della Radio diretta dall'autore. Alla prima era presente anche Paul Hindemith, che lodò il solista ma rimase sdegnato per la prestazione sciatta e approssimativa dell'orchestra.

I titoli dei movimenti (Toccata, Aria I, Aria II e Caprìccio) conferiscono in maniera evidente anche a questo lavoro il marchio di "ritorno a Bach", ma la maggior parte dei commentatori, come hanno messo in rilievo Roman Vlad e Donald Mitchell già negli anni Sessanta, avevano mostrato una certa difficoltà ad attribuire un modello preciso alle influenze sul Concerto. C'era chi parlava di Bach, naturalmente, ma anche chi ha reagito, come Alfredo Casella, evocando il nome di Weber, mentre qualcuno, forse suggestionato dal precedente balletto Le baiser de la fée, avvertiva addirittura l'influsso di Cajkovskij.

La Toccata si apre con una delle più geniali invenzioni timbriche della letteratura violinistica, una triade re - mi - la dilatata su uno spazio di due ottave e mezzo, che rappresenta una sorta di marchio di fabbrica dell'intero Concerto, o per meglio dire, usando l'espressione dell'autore, il suo passaporto. Oltre a inventare una sonorità del tutto nuova per il violino, l'accordo mette in luce infatti un carattere armonico aperto, più che dissonante, perché la sovrapposizione di un intervallo di nona e uno di undicesima ne contiene in realtà altri tre, cruciali nel linguaggio contrappuntistico, di seconda, quarta e quinta. Subito dopo questo celebre motto, che apre in varie forme tutte le parti del lavoro, l'orchestra introduce il motivo principale, un semplice gruppetto di evidente ascendenza bachiana, esposto all'inizio a terze da una coppia di trombe e in seguito ripreso e sviluppato dal solista e dagli altri strumenti dell'orchestra. Anche in questo caso si tratta di un elemento germinale, perché da questo tema di povertà francescana si sviluppano le varie forme dell'intero lavoro. Il violino dialoga in maniera quasi esclusiva con gli strumenti a fiato, secondo una tendenza che Stravinskij aveva già manifestato nel precedente Concerto pour piano suivi d'orchestre d'harmonie appuyé de contrebasses et de timbales, per riprendere la definizione precisa dell'autore. Gli archi offrono più che altro un sostegno alle parti dei fiati e tacciono quasi sempre, soprattutto violini e viole, durante gli interventi del solista. Il carattere monotematico del primo movimento si ritrova anche nella prima delle due Arie centrali, che formano due immagini parallele e complementari dello stesso soggetto poetico.

L'Aria I si sviluppa come una virtuosistica invenzione a due voci di forma tripartita, con al centro un episodio contrastante dal punto di vista armonico ed espressivo. La melanconica cantilena in re minore dell'inizio, infatti, si trasforma in un dialogo più piccante e concitato tra il solista e l'orchestra, nella più aspra tonalità di la minore, prima di ritornare, dopo un accenno di cadenza, al clima mesto e introverso dell'inizio. L'Aria II invece rappresenta il movimento più interessante e drammatico del Concerto. Il motto del violino non si limita questa volta a introdurre il nuovo pannello, ma articola alla maniera teatrale la forma di questa sorta di Passacaglia ricca di pathos. Il motto infatti divide in tre parti l'Aria, che rovescia in modo radicale i rapporti sonori della Toccata iniziale. In questo caso infatti sono gli strumenti ad arco a dialogare con il violino, che esprime il suo canto dolente sullo sfondo della cupa tonalità di fa diesis minore. Le diminuzioni e le colorature del solista ricordano le improvvisazioni sulla tastiera dello stile barocco, con spettacolari salti e passaggi d'intensa espressione. Gli strumenti a fiato si limitano a rafforzare la sonorità del motto violinistico, con una significativa eccezione. Nella coda dell'Aria, una volta spento l'eco del motto, il violino rimane da solo con due flauti che intrecciano un contrappunto doloroso, un ricordo forse delle arie più patetiche delle Passioni di Bach.

Il Capriccio conclusivo riporta il Concerto al clima brillante dell'inizio e alla tonalità di re maggiore. Il virtuosismo del solista è compensato da una scrittura magistrale per l'orchestra, che è strumentata in maniera quasi cameristica e con elegante freschezza. Il titolo si giustifica non solo per i guizzi imprendibili del violino, ma anche per gli scarti d'umore dei vari episodi in cui si articola la forma. Non manca neanche una certa dose d'ironia, con cui l'autore sembra deridere lo stile all'ungherese tanto in voga nel violinismo dell'epoca. Stravinskij ha dichiarato in maniera un po' provocatoria di prediligere il Concerto per due violini, tra i lavori di Bach di questo genere. Il corposo duetto tra il solista e il primo violino dell'orchestra, nel mezzo del Capriccio, prova la sincerità delle sue affermazioni e forse anche il gusto di prendersi spasso dei critici e dei colleghi mettendosi in testa la parrucca di papa Bach.

Oreste Bossini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 aprile 2013


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Ultimo aggiornamento 1 giugno 2013