Concerto per pianoforte e fiati


Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)
  1. Lento. Allegro. Lento
  2. Larghissimo
  3. Allegro. Larghissimo. Lento. Allegro
Organico: pianoforte solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti (2 anche controfagotto), 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, contrabbassi
Composizione: Biarritz, 1923 - 21 aprile 1924
Prima esecuzione: Parigi, Opera, 22 maggio 1924
Edizione: Édition Russe de Musique, Parigi, 1924
Dedica: Natalia Kussevitzky

Vedi a 52a la riduzione per due pianoforti
Guida all'ascolto (nota 1)

Igor Stravinskij è stato paragonato a Pablo Picasso per la sua capacità di rigenerarsi periodicamente, spiazzando sempre chi pensava di poter identificare la sua personalità e invece si trovava di fronte a una svolta improvvisa, a un nuovo percorso, a uno stile diverso. Dopo le prime affermazioni in Russia, si impose sulla scena musicale internazionale negli anni immediatamente precedenti la Grande Guerra con tre esplosivi balletti (L'oiseau de feu, Petruska e Le sacre du printemps), che con la loro timbrica sfavillante ma aspra e cruda, il taglio netto e breve dei loro motivi e l'esplosività dei loro ritmi avevano dappirma sconcertato e poi conquistato un pubblico che aveva appena digerito, con molta difficoltà, il postwagnerismo dei poemi sinfonici di Richard Strauss e le delicate nuances timbriche e armoniche di Debussy. Ma pochi anni dopo, subito dopo la guerra, con una sorprendente metamorfosi Stravinskij si presentò in abiti neoclassici col balletto Pulcinella su musiche del Settecento.

Il periodo neoclassico di Stravinskij, che sarebbe durato più di trent'anni, fino alla metà del secolo e oltre, era tutt'altro che monolitico e immutabile: se una volta riproponeva musiche del passato apportandovi solamente pochi ma fondamentali ritocchi, come nel citato Pulcinella, un'altra volta inseriva in un contesto completamente originale alcune citazioni di temi di autori precedenti come Cajkovskij (ne Le baiser de lafée) o Johann Strauss, Ravel, Rossini e lo sconosciuto Soroni (in Jeu de cartes), oppure riprendeva gli schemi formali della tradizione classica (nella Sinfonia in do), oppure rievocava il gusto del ballet blanc ottocentesco (in Apollon musagète e Orpheus). E si potrebbe continuare in questo catalogo dei modi del neoclassicimo stravinskiano.

Il Concerto per pianoforte e orchestra a fiati (per la precisione, l'orchestra include anche contrabbassi e timpani) è stato composto tra l'estate del 1923 e la primavera del 1924 ed eseguito a Parigi il 22 maggio dello stesso 1924, con l'autore al pianoforte e Sergej Koussevitzky sul podio.

Con le altre opere di quei primi anni del periodo neoclassico ha in comune i ritmi rigidi e angolosi, le melodie fredde ed essenziali e l'armonia acida e secca ma non i rimandi precisi a autori o stili del passato. È vero che nel Lento, che introduce il primo movimento, si può riconoscere una solennità cerimoniosa ricollegabile a Händel (ma anche alle ouvertures francesi) e che l'inarrestabile motorietà dell'Allegro fa pensare ai Preludi e alle Toccate di Bach (ma anche alle Sonate di Domenico Scarlatti) ma quei modelli sembrano ridotti a fossili di epoche lontanissime, di cui rimane il solo scheletro. In questa musica, che ritorna al passato solo per scoprire che quel passato non esiste più ed è ormai un reperto privo di vita, c'è qualcosa di inquietante, se non addirittura di sinistro, che può far pensare alle piazze metafisiche e ai manichini senza volto dipinti da Giorgio de Chirico in quegli stessi anni.

All'inizio del Larghissimo il pianoforte espone un tema delicato ed enigmatico, simile alla crisalide disseccata di una melodia, che viene amplificato da un compatto intervento orchestrale. Il pianoforte ritorna presto protagonista e gli sono riservate anche due cadenze solistiche, in cui qualche spunto di virtuosismo compare a vivacizzare la scrittura melodica molto essenziale e scarna di questo movimento, che si conclude con la riproposta del tema iniziale.

L'Allegro conclusivo è il più scapestrato dei tre movimenti e alterna atteggiamenti neobarocchi (il fugato iniziale) e spunti jazzistici (sincopi, glissandi). La coda riprende il Largo del primo movimento, fermandosi su una pausa di sospensione, da cui scatta un beffardo e breve stringendo.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 novembre 2002


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Ultimo aggiornamento 24 agosto 2013