Trio per archi n. 1 in si bemolle maggiore, D. 471


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro (si bemolle maggiore)
  2. Andante sostenuto (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, viola, violoncello
Composizione: settembre 1816
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1890

Il secondo movimento è incompiuto; resta solo un abbozzo
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'Allegro del Trio D471 consente di verificare il livello schubertiano di assimilazione dei modelli classici all'altezza del 1816; nella fattispecie, il movimento sembra contrassegnato dall'esempio mozartiano. Al primo tema segue una transizione con proprio profilo tematico, ma già nella tonalità della dominante, fa maggiore; dunque il processo modulante viene di fatto assorbito nella conclusione del primo tema. Seguono il secondo tema con la chiusa cadenzale e la replica dell'Esposizione. Lo Sviluppo attinge a motivi secondari dal punto di vista tematico: sono quelli della chiusa cadenzale (come avviene con una certa frequenza in Mozart) e della transizione. La Ripresa riproduce esattamente il percorso dell'Esposizione: primo tema, transizione, secondo tema e chiusa.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Poche notizie si hanno su questo Trio, e soprattutto sui motivi che indussero Schubert ad abbandonarne la composizione dopo il primo movimento (esistono anche 39 battute di quello che sembra essere un Andante). L'anno di composizione, il 1816, cade però in un periodo particolare della vita del compositore, periodo che lo studioso Alfred Einstein ha definito «l'anno dell'indecisione». Il fallito tentativo di trovare lavoro come direttore musicale presso una scuola e la delusione per la freddezza di Goethe nei suoi confronti, sicuramente ebbero una ripercussione sulle opere, e solo nel campo della liederistica Schubert sembrava concentrato verso un preciso obiettivo. Nell'ascoltare questa breve pagina sembra che Schubert non fosse a conoscenza delle opere di Beethoven tanta è la semplicità di costruzione della forma-sonata di quest'unico movimento «molto grazioso, mozartiano, fluente e melodico, ma niente di più» (Einstein). Se poi si fa il confronto con il coevo Quartetto in mi maggiore op. 125 n. 2 per archi sembra quasi che l'autore non sia lo stesso. Bisogna tener conto, però, del contesto musicale nel quale nascevano molte delle pagine cameristiche di Schubert, e cioè quelle serate viennesi talmente segnate dalla presenza del musicista da essere definite "schubertiadi". In quest'ottica anche l'unico movimento del Trio è un passo segnato dal musicista nel trasformare un genere d'occasione in un'originale espressione del pensiero musicale; materiali sonori che facevano parte del patrimonio collettivo dei partecipanti a quelle serate (memorie mozartiane, fraseggi haydniani, musiche popolari) uscivano trasformati, ma sempre familiari, dalle mani di Schubert. E non è poi così vero che questo Allegro sia una prova poco significativa; soprattutto nello sviluppo si notano elementi tipici del linguaggio del compositore come la dilatazione del tempo ottenuta attraverso la reiterazione di modelli melodici e l'uso di armonie cangianti che sembrano vagare senza meta.

Fabrizio Scipioni


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato allo speciale n. 52 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 25 novembre 1994


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Ultimo aggiornamento 7 agosto 2013