Sonata per pianoforte in si maggiore, op. 147, D. 575


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro ma non troppo (si maggiore)
  2. Andante (mi maggiore)
  3. Scherzo. Allegretto (sol maggiore). Trio (re maggiore)
  4. Allegro giusto (si maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Agosto 1817
Edizione: Diabelli, Vienna, 1846
Guida all'ascolto (nota 1)

La Sonata fu la forma prediletta dai classici e fu considerata il genere di prevalente interesse rispetto alla variazione, molto popolare ma non altrettanto valutata sul piano della dignità artistica. Quando il nascente concertismo cominciò a portare in pubblico le composizioni che nell'epoca classica erano state destinate all'esecuzione privata, le Sonate per pianoforte di Beethoven presero facilmente il sopravvento su quelle di Haydn, Mozart e Schubert. Alcune Sonate di Beethoven - Chiaro di luna, La Tempesta, Waldstein, Appassionata, Gli Addii - divennero in breve tempo popolarissime; ma già negli anni Sessanta dell'Ottocento venne presentato in pubblico, da un solo concertista, il ciclo completo di tutte le trentadue Sonate di Beethoven che divennero così per il pubblico l'immagine emblematica dell'epoca classica. E anche la critica fissò la sua attenzione su Beethoven, considerando Haydn e Mozart come precursori e non prendendo in esame Schubert, a cui si attribuì la qualifica di lirico, di maestro delle piccole forme. Solo cent'anni più tardi, nella seconda metà del nostro secolo, sia i concertisti che i critici cominciarono a considerare Beethoven come aspetto particolare, invece che essenza della classicità viennese. E nel 1970, nel bicentenario della nascita di Beethoven, Wilhelm Kempff, grande interprete beethoveniano, sorprese l'opinione pubblica con l'incisione in disco del ciclo completo delle Sonate di Schubert. Oggi l'esecuzione in pubblico del ciclo schubertiano è ancora rara; tuttavia lo Schubert sonatista è considerato elemento essenziale, e non sussidiario, di quel complesso panorama storico-culturale che è la classicità viennese.

La Sonata in si maggiore op. 147 sembra essere meno omogenea delle due consorelle del 1817, l'op. 122 e l'op. 164, ed è perciò più raramente eseguita. Alla fama della Sonata op. 147 nuoce il finale, che è di scrittura pianistica molto secca, quasi schematica rispetto alla opulenza di strumentazione degli altri tre tempi. Si tratta tuttavia di una composizione ricca di tratti geniali, soprattutto nella sperimentazione di rapporti tonali inconsueti.

La tonalità di si maggiore era molto rara agli inizi dell'Ottocento e non era mai stata impiegata in una sonata perché avrebbe complicato la lettura. Un problema analogo era stato risolto nella Sonata D. 567, in re bemolle maggiore, con il trasporto in una tonalità più facile, mi bemolle maggiore. Non si poteva invece rinunciare al si maggiore nell'op. 147 perché il primo tema nasceva secondo una precisa gestualità pianistica - attacco di slancio e rimbalzo dal tasto bianco al tasto nero - che sarebbe risultata molto ridotta in altre tonalità.

Adottato il si maggiore nato sulla tastiera, Schubert non adotta però la rete tonale tradizionale, ma passa subito in sol maggiore ed espone in mi maggiore, invece che in fa diesis maggiore, il secondo tema, riservando poi il fa diesis maggiore al tema di conclusione. Dopo un breve sviluppo in cui la gestualità pianistica assume, a causa dei grandi sbalzi di registro, tratti spettacolari, la riesposizione inizia al quarto grado: il secondo tema è in la maggiore invece che in si maggiore, mentre in si maggiore è infine il tema di conclusione.

Il secondo tempo, Andante in mi maggiore, è una pagina di ampio respiro, di carattere nettamente orchestrale, con giochi di staccato e di staccato-legato che simulano perfettamente il dolce pettegolio degli strumentini. E incantevole è lo Scherzo in sol maggiore, con accenni di imitazioni canoniche, anche per moto contrario, che insaporiscono l'andamento villereccio del pezzo. Il finale, come dicevamo, è pianisticamente scritto in modo sommario e provoca un calo di interesse, tanto più grave dopo la delicatezza di tinte dello Scherzo.

Piero Rattalino


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 19 marzo 1993


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Ultimo aggiornamento 15 marzo 2012