Sonata n. 4 in la maggiore per violino e pianoforte, op. 162, D. 574


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro moderato (la maggiore)
  2. Scherzo. Presto (mi maggiore). Trio (do maggiore)
  3. Andantino (do maggiore)
  4. Allegro vivace (la maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Agosto 1817
Edizione: Diabelli, Vienna, 1851
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Schubert compose tra il 1816 e il 1817 i lavori più importanti per violino e pianoforte, comprendenti le tre Sonate dell'op. 137, conosciute con il titolo di "Sonatine", forse per la loro brevità, anche se stilisticamente sono un saggio di abilità nello sfruttamento delle risorse timbriche ed espressive dei due strumenti, e la Sonata in la maggiore op. 162, la cui data di nascita si colloca esattamente nell'agosto del 1817. Certo l'autore, che al tempo di queste composizioni sfiorava appena i vent'anni, risente sensibilmente l'influenza mozartiana e della prima produzione beethoveniana, ma ciò non vuoi dire che egli non abbia saputo imprimere alle forme ereditate dai suoi predecessori un accento nuovo e personale. Circola in queste pagine un sentimento di amabile e piacevole gusto popolaresco e una intimità che rifugge da qualsiasi retorica sentimentalistica, secondo le caratteristiche del romanticismo schubertiano. È la stessa sensibilità che l'artista viennese riversava proprio in quegli anni in alcuni dei suoi Lieder più emblematici e significativi su testi di Schiller e di Goethe e che lo aveva visto impegnato in una delle sue più originali e perfette sinfonie, la "Tragica". È vero che nella Sonata in la maggiore è avvertibile una tendenza verso il virtuosismo, quasi una concessione ad un tipo di musica "mondana", ma in fondo si tratta di un tecnicismo strumentale accessibile anche al dilettante di buona volontà che tuttavia, come raccomandava lo stesso Schubert, sappia «intendere la musica, oltre che le note».

Nel primo tempo della Sonata op. 162 spicca un lirismo di estatica soavità che smussa i contorni di una pur vivace contrapposizione dialettica tra il primo e il secondo tema. Mentre lo Scherzo e l'Allegro vivace finale, dal ritmo fresco e scintillante, sembrano richiamarsi alle suggestioni melodiche beethoveniane, l'Andantino in la maggiore rinserra un profumo di delicata musicalità (la sezione centrale ha un tono dolcemente misterioso), che proviene certamente dal superbo Andante dell'ultimo Quintetto di Mozart. Un omaggio non solo formale ai due "grandi" della musica viennese.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Come gran parte delle composizioni di Schubert, anche la Sonata per violino e pianoforte in la maggiore op. 162 fu pubblicata molti anni dopo la morte dell'autore. Per essere precisi, l'edizione a stampa risale al 1851 (Schubert era morto nel 1828), la stesura al 1817. Per di più l'edizione denomina la sonata come "Duo", appellativo non deciso dall'autore, ma che, come tanti di questi epiteti, è ormai legato alle sorti delle composizioni a cui è stato riferito. Schubert si dedicò molto poco alla sonata per violino e pianoforte; il catalogo ci dice che era attratto maggiormente da altri tipi di combinazioni cameristiche. L'op. 162 è comunque il punto culminante di un percorso d'approfondimento cominciato con una raccolta di tre brevi sonate per medesimo organico (denominate nell'edizione postuma "sonatine") composte nel 1816. In quelle Schubert aveva scelto Mozart a modello del genere; la fattura chiara e il nitido equilibrio delle sonatine potrebbero far supporre che l'autore le avesse destinate a giovani esecutori. Ma la loro giovinezza non è nella destinazione, quanto nel far germogliare, dal sostrato lievemente nostalgico di un universo settecentesco, un mondo di sensazioni delicate, giovani perché colte sul nascere, con la loro piena purezza. Era questo il tratto espressivo di Mozart che Schubert voleva approfondire in quelle "piccole" composizioni e che intese applicare in larga scala nella sonata in questione, nella quale, non a caso tornano strutture che appartenevano alle sonatine. Nella sonata op. 162 c'è però l'intento di creare un insieme più complesso per cui, a tratti, la spontaneità si perde quando il gioco delle parti si fa elaborato.

Nell'Allegro moderato iniziale il pianoforte esordisce da solo con un particolare accompagnamento tematico su cui ben presto il violino innesta un primo tema assai cantabile. Sebbene il pianoforte sembri poi apparentemente procedere con mero ruolo di sostegno agli andamenti melodici dello strumento ad arco, in realtà la grande fantasia di Schubert lo rende sempre fondamentale per la tessitura tematica del brano. Fondamentale a tal punto che nello sviluppo è proprio l'impulso ritmico iniziale del pianoforte che domina l'evoluzione armonica e che porta, con notevole maestria, alla ripresa del materiale già esposto. Un elegante particolare finale: le ultime due battute sono ancora una piccolissima variazione di quell'impulso tematico che si era udito alla prima misura. Dunque se Schubert è maestro del canto lo è anche nell'ideazione della struttura musicale. E lo si vede nello Scherzo seguente: la veloce ascesa del motto che udiamo all'inizio e la piccola iterazione della sua parte finale non abbandonano mai l'andamento ritmico del brano. Spesso quell'iterazione torna ribaltata, per moto contrario, andando a soddisfare la percentuale di eccentricità voluta dallo stile tipico di ogni scherzo. Il trio centrale, annunciato da un'ascesa cromatica del violino, rilassa l'atmosfera preparandola al ritorno di ciò che avevamo già udito.

Si manifesta invece nell'Andantino seguente la grande esperienza dell'autore nel campo del "lied" (la poesia musicata per canto e pianoforte tipica della cultura tedesca). L'intreccio strumentale che annoda il materiale tematico a quello armonico ci testimonia l'abilità profonda di Schubert nel saper dipingere la sfumata mobilità delle sensazioni. Si noti la coda, all'interno della quale il tema udito al principio dell'andantino, reitera, come mutando lentamente colore, la sua sezione iniziale.

Il brano seguente, l'Allegro vivace che chiude la sonata, sembra riallacciarsi al clima dello scherzo: i due tempi condividono simili strutture ritmiche e analogo piglio dinamico, tanto che sarebbe possibile definire questo allegro come un grande scherzo. Certo vengono qui poste in campo ben altre risorse: melodiche, armoniche, ma anche contrappuntistiche, come ad esempio nella sezione dello sviluppo, in cui l'impulso ritmico del primo tema si trasfigura in volute ascendenti e discendenti ad intreccio. Al termine della ripresa, poche battute prima della fine, si faccia attenzione al modo in cui Schubert dispone i suoni: come due persone che facciano le stesse cose a notevole distanza, alcuni intervalli di decima percorrono gli strumenti per moto retto; testimonianza della notevole invenzione timbrica dell'autore.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Sporadiche notizie si hanno circa la gestazione e la distribuzione della Sonata in la maggiore op. post. 162, D 574 A. Conosciuta come "Gran Duo" e datata agosto 1817 (ed. critica: Henle Verlag, 1978), differisce dalle precedenti, in quanto contraddistinta da una scrittura particolarmente virtuosistica e molto attenta agli equilibri, da far supporre un esperimento in preparazione di qualche altro lavoro, magari sinfonico. L'Allegro moderato in 4/4 vede proporre il soggetto dal violino, che alternando momenti cantabili a briose volatine, relega in principio il pianoforte all'ambito delle imitazioni. La vena melodica si mantiene definita attraverso un sapiente gioco di ritmi e progressioni. Il tema della prima parte dello Scherzo (Presto, mi maggiore, 3/4) è costituito da ricorrenti e leggere pennellate di colore sonoro, alternate tra "forte" e "piano", che si fanno più nitide nel conseguente Trio in do maggiore dove attraverso un'idea melodica ritmicamente molto essenziale, accompagnata sapientemente per terze dal pianoforte, si raggiunge una stasi riflessiva. L'Andantino in do maggiore, in 3/8 è un continuo scambio di temi di eleganza classica, particolareggiato da modulazioni tipicamente schubertiane. L'Allegro vivace in tempo ternario è la conclusione virtuosa e "ballabile" perfettamente equilibrata tra i due solisti che conclude una pagina forse un po' rapsodica, sperimentale, ma sostanzialmente tanto ricca di ingegno che, forse sarebbe stato opportuno chiamare Fantasia.

Lorenzo Ancillotti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Via della Conciliazione, 30 novembre 1990
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 maggio 2005
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 286 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 24 agosto 2014