Sonata per pianoforte in la minore, op. 164, D. 537


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro ma non troppo (la minore)
  2. Allegretto quasi Andantino (mi maggiore)
  3. Allegro vivace (la minore)
Organico: pianoforte
Composizione: marzo 1817
Edizione: Spina, Vienna, 1852
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Vi fu un tempo in cui io non parlavo volentieri di Schubert: soltanto di notte potevo raccontare di lui agli alberi e alle stelle». Con queste poche parole Schumann ci svela nel 1838, a dieci anni dalla morte di Schubert, il suo profondissimo amore, indicibile, come un prezioso tesoro da tenere gelosamente nascosto nelle pieghe più profonde dell'anima, per il maestro viennese. Quella "divina lunghezza" che, come in un romanzo di Jean Paul, egli scopre estasiato nella grande Sinfonia, in do maggiore, quella fluente discorsività che sembra «non aver mai fine, non essere mai in imbarazzo per proseguire, correre avanti di pagina in pagina sempre musicale e ricca di canto, interrotta qua e là da singoli sentimenti violenti ma che presto si calmano nuovamente» rimangono indicazioni ancora oggi insostituibili per capire il messaggio, apparentemente semplice, ma in realtà sommamente enigmatico della musica di Schubert.

Bene ha detto di lui Thomas Mann nel suo Doktor Faustus quando lo chiama «genio sempre bifronte, sempre toccato dal soffio della morte». Nessuno infatti come Schubert sembra incarnare il senso di smarrimento dell'uomo moderno, la sua "non appartenenza". Egli è insieme angelo e demone, classico e romantico, amabile e terribile.

Nel 1815, a soli diciotto anni, è contemporaneamente lo spietato disvelatore della fragilità umana in Der Tod und das Mädchen e il cantore delle piccole gioie della vita in Heidenröslein.

Come per Mozart anche su Schubert ha gravato per lungo tempo una interpretazione riduttiva e conciliante, Biedermeier, che ne faceva il compositore per eccellenza della intimità borghese, della tenerezza lirica e sentimentale. Era stata attuata nel cliché ottocentesco una sistematica rimozione del lato oscuro e profondo della sua personalità. Oggi fortunatamente questa immagine oleografica di Schubert è completamente dissolta e ad essa si sovrappongono interpretazioni di varia natura: esistenziale, sociologica, storico-politica, psicanalitica.

Emblematica in questo senso è la fortuna critica delle Sonate pianistiche. Volendo privilegiare esclusivamente l'aspetto lirico-intimistico di Schubert si è venuta radicando, almeno fino agli anni Trenta del nostro secolo, l'errata convinzione della superiorità dei pezzi brevi (Improvvisi, Momenti musicali ecc.) sulle grandi forme sonatistiche. Il piccolo schizzo liederistico si pensava fosse l'unica e vera espressione del genio di Schubert, destinato a soccombere nel campo più vasto della Sonata e della Sinfonia allo schiacciante esempio beethoveniano. In realtà la Sonata schubertiana è saldamente ancorata ai princìpi di coerenza e organicità di quel modello, ma ne offre una interpretazione affatto diversa, dove i percorsi melodici e, armonici si fanno imprevedibili, sospesi, "vaganti" e non finalisticamente orientati come in Beethoven.

Se le Sonate più eseguite e rappresentative appartengono agli ultimi anni (1825-28), di grandissimo fascino e interesse sono le prime Sonate, di cui ben sette composte nel corso del 1817. Si tratta di Sonate - alcune delle quali lasciate incompiute - che mostrano già in assoluta evidenza i più tipici caratteri del linguaggio schubertiano.

Del resto egli aveva a vent'anni un ricchissimo curriculum di compositore, comprendente le prime sei Sinfonie, Messe, Quartetti, Ouvertures, oltre alla straordinaria fioritura liederistica degli anni 1814-15.

La Sonata in la minore D. 537 del marzo 1817 è la prima del gruppo ed è ben degna di figurare accanto alle altre due nella medesima tonalità, le celebri Sonate op. 143 D. 784 e op. 42 D. 845.

Il primo movimento è un Allegro ma non troppo dì proporzioni rigorosamente classiche sebbene con la insolita ripetizione della seconda parte. Un primo tema in accordi, fortemente drammatico e anticipatore di futuri "slanci" schumanniani, viene piegato ben presto a movenze di leggiadrissima danza. L'apparizione del secondo tema è inconfondibilmente schubertiana: una pausa di sospensione e poi la tranquilla melodia cantabile nella inaspettata tonalità di fa maggiore. Tutta la sezione del secondo tema e la coda ricordano, nell'uso di un morbido pedale di tonica, le atmosfere serenamente idilliache della Sonata op. 28 "Pastorale" di Beethoven. Nello sviluppo gli accostamenti di tonalità sono decisamente bruschi e, assolutamente imprevedibile - forse il momento magico di tutta la Sonata -, è l'apparizione di un nuovo tema in la bemolle maggiore. La ripresa è alla sottodominante (re minore), fatto questo curiosamente esecrato da Alfred Einstein, mentre una citazione del primo tema alla fine conclude circolarmente il movimento anticipando soluzioni analoghe più mature.

Il secondo movimento, Allegretto quasi Andantino, è un piccolo Rondò nella forma A B A' C A", con un bellissimo tema principale che verrà ripreso da Schubert nel finale della sua penultima Sonata (in la maggiore D. 959). Un episodio preludiante e uno dal carattere di marcia intercalano il tranquillo fluire della melodia.

Forse non all'altezza dei movimenti precedenti è il finale Allegro vivace che pare riproporre le "bizzarrie" di certi finali beethoveniani (op. 10 n. 3) nelle frasi sospese e nel rapido succedersi di elementi lirici e brillanti.

Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quando nel febbraio 1815 il diciottenne Franz Schubert fece il suo primo tentativo nel campo della sonata per pianoforte - con la Sonata in Mi maggiore D 157, rimasta incompiuta - non era certo un autore alle prime armi: tra le altre cose aveva già composto decine di Lieder (fra i quali Der Wanderer), due sinfonie, l'opera in 3 atti Des Teufels Lustschloss, la Messa in Fa maggiore e molta musica da camera, fra cui una decina di quartetti d'archi.

A partire da quel primo tentativo del 1815 le sonate per pianoforte - completate o lasciate incompiute o allo stato di frammento - accompagnarono Schubert fino agli ultimi mesi della sua vita, ma non in modo costante e ininterrotto. Negli anni compresi fra il 1815 e il 1828, infatti, all'interno della sua produzione si possono facilmente individuare dei periodi di maggiore interesse per il genere "sonata per pianoforte": il 1817-1819 (dieci tentativi), il 1825-1826 (quattro sonate, le uniche tre pubblicate da Schubert durante la sua vita più una incompiuta), il settembre del 1828 (le ultime tre grandi sonate). Se la nascita di tre capolavori assoluti come le sonate D 958, D 959 e D 960 nell'arco di un solo mese ha quasi dell'incredibile, l'anno che vide la più intensa attività schubertiana nel campo della sonata per pianoforte rimane senza dubbio il 1817. Nei sei mesi tra il marzo e l'agosto di quell'anno, infatti, il ventenne Schubert lavorò ad almeno sette diverse sonate, completandone quattro: quella in La bemolle maggiore D 557, quella in Mi bemolle maggiore D 568 (pubblicata postuma come op. 122) e quella in Si maggiore D 575 (pubblicata postuma come op. 147).

Scritta nel marzo del 1817, la Sonata in La minore D 537 - pubblicata postuma come op. 164 dall'editore viennese Spina nel 1852 - è dunque la prima sonata per pianoforte ultimata da Franz Schubert. Anche se fa parte del repertorio di grandi pianisti del nostro tempo come Arturo Benedetti Michelangeli, questa Sonata gode di una popolarità indiscutibilmente minore presso il grande pubblico rispetto alle altre due sonate schubertiane nella tonalità di La minore: la Sonata D 784 del 1823, pubblicata postuma come op. 143 e la Sonata D 845 del 1825, pubblicata da Schubert come op. 42.

A differenza della Sonata in Mi bemolle maggiore D 568 e della Sonata in Si maggiore D 575, composte nello stesso 1817 ed entrambe in quattro movimenti, la Sonata in La minore D 537 si articola in tre soli movimenti (manca il minuetto o lo scherzo); Alfred Einstein riteneva - anche se si tratta di un'opinione che non sembra essere filologicamente fondata - che alla Sonata appartenesse in origine "senza alcuna ombra di dubbio" anche il Minuetto in La maggiore D 334, eliminato successivamente da Schubert - sempre secondo Einstein -"perché tre movimenti costituiscono la forma ideale per una sonata di impianto relativamente modesto". In realtà la Sonata in La minore, pur disponendo di un movimento in meno, risulta essere, anche se solo per poche battute, leggermente più lunga sia della Sonata in Mi bemolle maggiore, sia della Sonata in Si maggiore.

Come ha acutamente notato Piero Rattalino, il primo tempo (Allegro ma non troppo) più che sulla contrapposizione fra primo e secondo tema sembra vivere sul contrasto fra le due cellule che costituiscono il primo tema: la prima "massiccia, in accordi, l'altra leggera, quasi un fantasma di valzer". All'irregolarità formale delle frasi di cinque battute, si unisce un impianto tonale inconsueto (La minore - Fa maggiore - Re minore - La maggiore), non inusuale in Schubert.

Anche il secondo movimento (Allegretto quasi andantino) in forma di rondò, ha infatti un impianto tonale irregolare che risulta fortemente innovativo. La semplice e innocente melodia in Mi maggiore, cui si contrappone un secondo tema in Do maggiore, ritorna una seconda volta variata in Fa maggiore e dopo un nuovo tema in Re minore - che con il suo ipnotico andamento di marcia in staccato sembra preludere ad altre grandi pagine schubertiane - torna un'ultima volta variata, nuovamente in Mi maggiore.

Per contrasto il finale (Allegro vivace) ha una struttura formale estremamente regolare; pagina serena e briosa, conclude gioiosamente questa sonata, definita da Bernhard Paumgartner di "raro e godibilissimo splendore".

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 giugno 1995
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 giugno 1995


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Ultimo aggiornamento 7 maggio 2014