Sonata n. 3 in sol minore per violino e pianoforte, op. 137 n. 3, D. 408


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro giusto (sol minore)
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Menuetto (sol minore) e trio (mi bemolle maggiore)
  4. Allegro moderato (sol minore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: aprile 1816
Edizione: Diabelli, Vienna, 1836
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

E' noto il giudizio espresso su Schubert da Nietzsche: «Questo artista viennese ebbe fra tutti una grande ricchezza musicale. Egli la largì a piene mani con un cuore generoso ed i musicisti avranno per qualche secolo da nutrirsi dei suoi pensieri e delle sue idee. Nelle sue opere si nasconde un tesoro di trovate non messe a frutto; altri saranno grandi per il modo come riescono a sfruttare la loro grandezza». In queste parole c'è il ritratto di Schubert, la sua semplicità e fresca generosità di animo e la sua inesauribile capacità creatrice in tutti i generi musicali, a cominciare dai Lieder, che gli guadagnarono subito il favore del pubblico, sino all'arte sinfonica, quartettistica e pianistica, a cui la Vienna del suo tempo era abituata attraverso i modelli di Haydn, Mozart e Beethoven.

Schubert ha uno stile inconfondibile che si riconosce alle prime battute e, anche se a volte i rigidi censori della critica gli attribuiscono lungaggini e ripetizioni, nessuno contesta la purezza e l'originalità del suo linguaggio, fatto di innocenza e di assorta contemplazione del mondo dei sentimenti, tanto da far dire a Liszt che questo timido maestro viennese è «il musicista più poeta che sia mai stato».

Le tre Sonate per violino e pianoforte op. 137 (in re maggiore, in la minore e in sol minore) furono scritte da Schubert fra il marzo e l'aprile del 1816 e pubblicate da Diabelli a Vienna nel 1836, otto anni dopo la prematura morte del musicista. Esse sono conosciute anche con il titolo di Sonatine, forse per la loro brevità, anche se stilisticamente sono un saggio di abilità nello sfruttamento delle risorse timbriche ed espressive dei due strumenti. Certo l'autore, che al tempo di queste Sonate non aveva ancora vent'anni, risente molto l'influenza mozartiana e delle prime composizioni di Beethoven, ma questo non vuol dire che egli non sappia imprimere alle forme ereditate dai suoi illustri predecessori un accento nuovo e personale. Circola in questi lavori un sentimento di amabile e piacevole gusto popolaresco e i due strumenti si fondono e si alternano nel canto secondo le esigenze di colore e di struttura, ubbidendo a quel mondo interiore tipicamente schubertìano contrassegnato da un romanticismo fresco e giovanile. È la stessa sensibilità che l'artista viennese riversava proprio nel 1816 in alcuni dei suoi Lieder più significativi su testi di Schiller e di Goethe e che lo aveva visto impegnato in una delle sue più originali e perfette sinfonie, la "Tragica".

Anche nella Sonatina in sol minore la spontaneità melodica e la frechezza dell'ispirazione rivelano la sigla della inesauribile inventiva musicale di Schubert. Il modello del primo movimento (Allegro giusto) della Sonatina è certamente l'Allegro della Sonata mozartiana per violino e pianoforte K. 379, nella stessa tonalità, mentre il finale spigliato e brillante dell'op. 137 n. 3 ha un sapore di spigliatezza e gaiezza weberiana, come oculatamente osserva Alfred Einstein nel suo acuto e intelligente libro sull'opera di Schubert. Tra questi due Allegri si inseriscono un Andante intensamente lirico e un Minuetto dalle sonorità morbide e piacevoli, inframezzato da un Trio dolcemente cantabile e di purissima linea melodica.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in sol minore op. 137 n. 3, D 408 si apre con un Allegro giusto in tempo ternario dal tema incisivo caratterizzato da una scrittura di figure ritmiche puntate. Assistiamo a un frequente e giocoso scambio di ruoli tra prima parte e accompagnamento che stabilizzano i due solisti in una condizione di assoluta equità. Il conseguente Andante (mi bemolle maggiore, 2/4) sembra un chiaro omaggio a Mozart, particolarmente alle sue Sonate per pianoforte, così come il Menuetto (Allegro vivace) in si bemolle maggiore e il relativo Trio in mi bemolle maggiore ci rammentano le sinfonie giovanili di Haydn, impreziosite da ardite progressioni. Il conclusivo Allegro moderato per raffinatezza melodica, equilibrio di forma ci accompagna nei salotti della Vienna dell'adolescente Schubert: il modello di riferimento è, secondo chi scrive, l'Allegro dalla Sonata in sol maggiore K379 di Mozart, ma la brillantezza di alcuni passaggi ricorda anche la musica pianistica di Weber.

Lorenzo Ancillotti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le tre Sonate D. 384, 385 e 408, composte nel 1816, aprono la produzione di Franz Schubert dedicata al duo violino e pianoforte; una produzione estremamente esigua, che consta di appena altre tre composizioni: il Duo in la maggiore D. 574 del 1817, il Rondò in si minore D. 895 del 1826 e la Fantasia in do maggiore D. 934 del 1827. Si tratta di brani in massima parte giovanili e di dimensioni contenute, tutti appartenenti al genere della musica di consumo, ma secondo modalità differenti. Le composizioni della maturità, scritte per celebrati virtuosi, sono destinate all'esecuzione in concerto; quelle giovanili invece, di difficoltà limitate, sono scritte per il circolo domestico. Non è difficile vedere in questa antinomia un riflesso della profonda trasformazione che animò la vita musicale del tempo di Schubert. Con l'affermazione del gusto Biedermeier le composizioni destinate ai virtuosi professionisti presero il posto di quelle create per il mercato editoriale rivolto ai "dilettanti", e le forme di vasto respiro, come la sonata, furono rimpiazzate da brani di piccole dimensioni e di contenuto estroverso.

È dunque a una pratica musicale "antica" e per certi versi ancora settecentesca che occorre rifarsi per comprendere le giovanili Sonate per violino e pianoforte. Così come avveniva in tutta Europa, anche nella società viennese i ceti alti studiavano regolarmente la musica, fino a giungere ad un ottimo livello di preparazione tecnica; il pianoforte, strumento di più rapide soddisfazioni rispetto agli archi, era privilegiato. Le composizioni pensate per questo particolare mercato tenevano in considerazione il livello di preparazione dei destinatari, sia nelle dimensioni limitate dei brani, sia nel contenuto "disimpegnato", alieno da complicazioni concettuali, sia nella scrittura strumentale, che vedeva il discorso musicale affidato allo strumento a tastiera, mentre gli altri strumenti si limitavano ad "accompagnare".

Non a caso anche la prima delle tre sonate di Schubert reca sul frontespizio del manoscritto l'intestazione propria di tutta la musica per violino e pianoforte tardosettecentesca: "Sonata per pianoforte con accompagnamento di violino" (nonostante il ruolo del violino sia, in effetti, tutt'altro che subalterno in questi spartiti). Ignoriamo le circostanze per le quali Schubert, diciannovenne, pose mano alle composizioni (le prime due sono del marzo 1816, la terza dell'aprile); anche se possiamo immaginare che i destinatari fossero all'interno del circolo familiare o degli amici del compositore. Comunque i brani rimasero inediti durante la vita di Schubert, e furono pubblicati solamente nel 1836 da Diabelli come opera 137, con il titolo di "Sonatine"; in seguito hanno trovato fortuna soprattutto in sede didattica.

I commentatori non hanno mancato di osservare come anche il contenuto musicale delle tre sonate sia volto al passato, e sia esemplato sul modello di Mozart; mentre pressoché nulla è l'influenza della produzione per violino e pianoforte di Beethoven.

L'ultima delle tre sonate, in sol minore, è quella che più palesemente rimanda alla produzione matura di Schubert. La propensione alla melodia cantabile, gli improvvisi trapassi fra minore e maggiore, il tentativo di superare le rigide scansioni della forma-sonata con una logica paratattica piuttosto che elaborativa, contraddistinguono l'Allegro giusto che apre la composizione; mentre la sezione centrale dell'Andante si apre verso imprevedibili regioni armoniche. Il finale - dopo un minuetto più conformista - è in forma-sonata (con la ripresa alla sottodominante, secondo un procedimento caro allo Schubert "di intrattenimento"); il complesso percorso del movimento, avviato da una malinconica melodia in sol minore, sfocia quindi in una brillante conclusione in sol maggiore; concessione palese al gusto disimpegnato della musica di consumo.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nella vita di Schubert, il 1816 è considerato come un anno assai importante, poiché in esso maturò una svolta decisiva dell'esistenza del compositore. Dal punto di vista della produzione artistica, esso appare come un vero e proprio momento di trapasso: «l'anno dell'indecisione», lo chiama Einstein. Effettivamente, è proprio nell'autunno del 1816 che Schubert, quasi ventenne, sembra entrare nella maggiore età. È il momento del primo distacco dal padre; più concretamente, è il momento in cui, anche se non definitivamente (ci sarà una «ricaduta» l'anno successivo, che gli procurerà una grave crisi spirituale), Schubert lascia il lavoro di maestro di scuola, torturante ipoteca sullo sviluppo della sua personalità in questi anni giovanili, per farsi, a tempo pieno e a pieno titolo, musicista. Non stupisce quindi che nei mesi che precedono e seguono questa scelta la creatività di Schubert denunci un certo ristagno qualitativo e quantitativo; abbastanza vistoso rispetto alla felicissima fecondità del 1815.

Ciò si verifica in misura minima nel campo del Lied, dove veramente Schubert non pare aver mai fatto apprendistato: i Lieder composti in quest'anno sono numerosissimi, e fra questi non pochi destinati a restare fra i capolavori più perfetti. E tutta la produzione vocale di Schubert, tanto sacra che profana, segna in quest'anno parecchi risultati positivi (c'è anche un'opera, «Die Burgschaft», rimasta incompiuta). La stasi vera e propria si ha sul terreno della musica strumentale, dove per dirla ancora una volta con Einstein, sembra che Schubert «manchi di un obiettivo totalmente definito». Ci sono due Sinfonie: il tentativo «beethoveniano» della «Tragica», che sembra in fin dei conti restare sul piano delle intenzioni, e il suo contrario, il ritorno a Mozart della «Quinta». C'è il Quartetto op. 125 n. 2, che suggella le prime esperienze di Schubert a contatto con questa forma: avrà un seguito solo con i capolavori della maturità, e sarà poi ripudiato dal compositore, abbastanza ingiustamente. Per il resto, lavori occasionali, o comunque relativamente disimpegnati rispetto al problema della definizione di una autonoma ed originale personalità creatrice.

Fra questi, le tre Sonate per violino e pianoforte, che Schubert inviò all'editore Diabelli definendole «facili e molto belle». Diabelli pensò subito di sfruttare questa facilità per indirizzarle sul mercato dei dilettanti, allora attivissimo: le chiamò «Sonatine» (e così talvolta vengono indicate ancora oggi), e le pubblicò come Op. 137. Composte fra il marzo (le prime due) e l'aprile (la terza) del 1816, esse rappresentano uno dei frutti della particolare attenzione di Schubert per il violino, nel primo periodo della sua attività: quasi contemporanei ad esse sono lavori come la Sonata op. 162, i tre brani per violino e orchestra, i sei Ländler per violino solo (si sarebbe riaccostato a questo strumento solo verso la fine della sua vita, col Rondò e la ben più matura Fantasia).

Opere «facili» non solamente dal punto di vista tecnico, queste tre Sonate sembrano ripetere una dimensione settecentesca del far musica, caratterizzata dalla concisione e dall'eleganza del discorso, nel più assoluto rispetto delle forme consacrate. L'Op. 137 n. 3 è probabilmente la meglio riuscita: si articola nei quattro movimenti classici (Allegro, Andante, Minuetto e Rondò) e si permette nell'ambito delle sue proporzioni, ristrette e felicemente equilibrate, una piacevolissima ricchezza melodica, che la scrittura strumentale, semplice ed aggraziata, si guarda bene dal turbare.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 6 dicembre 1991
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 2860 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 aprile 2001
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 29 maggio 1978


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Ultimo aggiornamento 7 dicembre 2018