Sonata n. 2 in la minore per violino e pianoforte, op. 137 n. 2, D. 385


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro moderato (la minore)
  2. Andante (fa maggiore)
  3. Menuetto. Allegro (re minore). Trio (si bemolle maggiore)
  4. Allegro (la minore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: marzo 1816
Edizione: Diabelli, Vienna, 1836
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

E' noto il giudizio espresso su Schubert da Nietzsche: «Questo artista viennese ebbe fra tutti una grande ricchezza musicale. Egli la largì a piene mani con un cuore generoso ed i musicisti avranno per qualche secolo da nutrirsi dei suoi pensieri e delle sue idee. Nelle sue opere si nasconde un tesoro di trovate non messe a frutto; altri saranno grandi per il modo come riescono a sfruttare la loro grandezza». In queste parole c'è il ritratto di Schubert, la sua semplicità e fresca generosità di animo e la sua inesauribile capacità creatrice in tutti i generi musicali, a cominciare dai Lieder, che gli guadagnarono subito il favore del pubblico, sino all'arte sinfonica, quartettistica e pianistica, a cui la Vienna del suo tempo era abituata attraverso i modelli di Haydn, Mozart e Beethoven. Schubert ha uno stile inconfondibile che si riconosce alle prime battute e, anche se a volte i rigidi censori della critica gli attribuiscono lungaggini e ripetizioni, nessuno contesta la purezza e l'originalità del suo linguaggio, fatto di innocenza e di assorta contemplazione del mondo dei sentimenti, tanto da far dire a Liszt che questo timido maestro viennese è «il musicista più poeta che sia mai stato».

Le tre Sonate per violino e pianoforte op. 137 (in re maggiore, in la minore e in sol minore) furono scritte da Schubert fra il marzo e l'aprile del 1816 e pubblicate da Diabelli a Vienna nel 1836, otto anni dopo la prematura morte del musicista. Esse sono conosciute anche con il titolo di Sonatine, forse per la loro brevità, anche se stilisticamente sono un saggio di abilità nello sfruttamento delle risorse timbriche ed espressive dei due strumenti. Certo l'autore, che al tempo di queste Sonate non aveva ancora venti anni, risente molto l'influenza mozartiana e delle prime composizioni di Beethoven, ma questo non vuol dire che egli non sappia imprimere alle forme ereditate dai suoi illustri predecessori un accento nuovo e personale. Circola in questi lavori un sentimento di amabile e piacevole gusto popolaresco e i due strumenti si fondono e si alternano nel canto secondo le esigenze di colore e di struttura, ubbidendo a quel mondo interiore tipicamente schubertiano contrassegnato da un romanticismo fresco e giovanile. È la stessa sensibilità che l'artista viennese riversava proprio nel 1816 in alcuni dei suoi Lieder più significativi su testi di Schiller e di Goethe e che lo aveva visto impegnato in una delle sue più originali e perfette sinfonie, la "Tragica".

Anche nella Sonatina in la minore n. 2 la spontaneità melodica e la freschezza dell'ispirazione rivelano la sigla della inesauribile inventiva musicale di Schubert. Sin dal primo movimento (Allegro moderato) colpisce il gusto mozartiano delle modulazioni, nel gioco del crescendo e del diminuendo. Nell'Andante il canto del violino si estende con delicato lirismo, mentre nel Menuetto con Trio e nell'Allegretto finale riaffiorano sonorità di piacevole timbro e di purissima linearità armonica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 1816 fu per Schubert un anno difficile e tormentato. Il compositore, allora diciottenne, aveva subito una cocente delusione professionale all'inizio dell'anno per non essere stato assunto come maestro di musica alla Scuola Normale di Laibach. Quel posto infatti - per cui era stato raccomandato dallo stesso Salieri - gli avrebbe permesso di svincolarsi dagli impegni con la scuola del padre a Liechtenthal e di raggiungere una maggiore autonomia economica e professionale. Risale a questo periodo la stesura di un diario dal quale trapela lo stato di disagio in cui si trovava e che risulta utilissimo per ricostruire la sua personalità. Tra una annotazione e l'altra Schubert cita spesso Mozart come fonte costante di consolazione e innalzamento spirituale mentre non fa alcun cenno a Beethoven che solo più tardi diventerà il suo punto di riferimento e il termine di un difficile e appassionante confronto.

Le Sonate per pianoforte del 1815, i primi Quartetti, le prime tre Sinfonie rivelano un compositore ancora ben radicato sui modelli haydniani e mozartiani ma che riesce a far confluire una grande felicità inventiva in un linguaggio ormai perfettamente compiuto e assimilato. Le sperimentazioni beethoveniane sembrano sconosciute al giovane Schubert o, più verosimilmente, accostate con la dovuta prudenza in attesa di una più matura consapevolezza. Uno Schubert quindi più rivolto al recente passato che al futuro è quello che vien fuori dalle tre Sonate per violino e pianoforte composte nella primavera del 1816. Concepite per il pubblico dei dilettanti, date le modeste qualità tecniche che vengono richieste agli esecutori, questi lavori vennero offerti da Ferdinand Schubert, fratello ed esecutore testamentario del compositore, all'editore Diabelli nel 1829. Il titolo di «Sonatine» risale alla prima edizione curata da Diabelli nel 1836.

Di derivazione haydniana (il Quartetto "delle quinte" op. 76 n. 2) è il tema principale dell'Allegro moderato che apre la Sonata in la minore, ripreso dal violino con salti melodici tesi e dilatati, di efficace impronta drammatica. Tutto il movimento, che prevede la ripetizione anche della seconda parte, presenta una scrittura di tipo quartettistico estremamente equilibrata. L'Andante in fa maggiore è in forma di rondò con un ampio tema principale nei consueti stilemi della cantabilità del classicismo viennese.

Dopo un energico Menuetto in re minore la Sonata torna al tono principale con un Allegro le cui tenere linee melodiche anticipano quelle della celebre Sonata "Arpeggione" e del Quartetto in la minore D. 804.

Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nella Sonata in la minore op. 137 n. 2, D385 l'ingenuità tematica e la freschezza dell'ispirazione rivelano la sigla dell'inesauribile inventiva musicale di Schubert. Il primo movimento è un Allegro moderato in tempo quaternario che espone un tema caratterizzato da numerosi salti melodici che, allargandosi, costituiscono un tessuto sonoro ravvivato da continui accenti e da un gusto mozartiano per modulazioni e giochi coloristici. Degni di attenta osservazione sono lo sviluppo, la risoluzione dolcissima dei cromatismi e i reciproci scambi d'idee tra i due strumenti. Il successivo Andante (fa maggiore, 3/4) si presenta in forma A-B-A, dove nelle sezioni esterne incontriamo un corale enunciato dal violino con delicato lirismo e in quella centrale il medesimo tema si presenta in contrappunto, fungendo da accompagnamento. Segue un Minuetto (Allegro) in re minore dal soggetto impetuoso, intervallato da un brevissimo Trio in si bemolle maggiore. L'Allegro conclusivo in 2/4 ci offre un motivo nostalgico, contemplativo, rivelato attraverso un sobrio dialogo che scorre libero tra i due strumenti.

Lorenzo Ancillotti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 febbraio 1990
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 maggio 1998
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 286 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 24 agosto 2014