Sinfonia n. 6 in do maggiore "Die Kleine", D. 589


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Adagio (do maggiore). Allegro
  2. Andante (fa maggiore)
  3. Scherzo: Presto (do maggiore). Più lento (mi maggiore)
  4. Allegro moderato (do maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: ottobre 1817 - febbraio 1818
Prima esecuzione: 14 dicembre 1828
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1885
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Delle otto Sinfonie di Franz Schubert che sono giunte ai posteri in forma completa - laddove il concetto di "completezza" si riferisce non al numero dei movimenti compiuti ma all'integrità e all'eseguibilità della loro stesura; dunque fra le complete ha posto anche la celebre "Incompiuta" - solamente le ultime due (appunto l'"Incompiuta" e la "Grande") sono opere dell'autore maturo, giunto al pieno possesso dei propri mezzi espressivi. Le prime sei Sinfonie, scritte fra il 1813 e il 1818 (fra i sedici e i ventun anni) sono da considerarsi piuttosto alla stregua di esperienze formative, lavori di fattura anche pregevolissima e di interesse sommo, ma esercitazioni nella difficile tecnica di scrittura orchestrale più che libere manifestazioni della creatività del musicista - creatività che aveva invece già trovato una personalissima definizione nell'ambito della produzione cameristica e liederistica.

Non a caso le Sinfonie giovanili non furono destinate dall'autore alla esecuzione pubblica, ma furono concepite come saggi scolastici, o come materiale per un'orchestra di dilettanti, in una dimensione di musica "domestica" che sembra incompatibile con una grande ambizione "sinfonica". Lo stesso Schubert, in una lettera del 1823, mostrava di essere cosciente di non avere ancora raggiunto dei risultati pienamente originali in campo sinfonico, allorché scriveva: «Veramente non ho nulla per grande orchestra che potrei presentare al mondo con la coscienza tranquilla... Devo pregarti di perdonare la mia incapacità di soddisfare la tua richiesta, ma sarebbe dannoso per me presentarmi con qualcosa di mediocre».

Mediocri certamente non sono le prime Sinfonie, anzi; nella loro ricerca di un linguaggio autonomo, di un personale approccio alla forma sinfonica, esse sono senz'altro gli unici lavori del loro tempo che possano essere considerati degni di un qualche rilievo se accostati con i capolavori beethoveniani. Nel cammino del compositore verso una propria consapevolezza stilistica, la Sesta Sinfonia in do maggiore - detta "piccola" per distinguerla dalla "grande" Sinfonia nella medesima tonalità; scritta fra l'ottobre 1817 e il febbraio 1818 ma eseguita solamente dieci anni più tardi, in un concerto commemorativo per la scomparsa dell'autore - costituisce un prezioso momento di crescita e di acquisizione di nuovi modelli stilistici, il primo dei quali dovrà essere riconosciuto nell'influenza di Rossini.

La musica del compositore italiano sarebbe divenuta veramente di moda a Vienna dopo il 1822, quando tutta la troupe del San Carlo di Napoli, guidata dall'impresario Barbaja e dallo stesso maestro, si trasferì nella capitale dell'impero per eseguire Zelmira. Ma già da diversi anni le opere di Rossini erario approdate a Vienna suscitando interesse e scalpore. Nel 1816 era stata la volta della farsa semiseria L'inganno felice, seguita l'anno seguente da Tancredi, L'Italiana in Algeri, Ciro in Babilonia, e poi in seguito da Otello, Elisabetta regina d'Inghilterra, Il barbiere di Siviglia, Il turco in Italia. Le reazioni dei compositori tedeschi di fronte a questa sorta di "invasione" furono generalmente ostili; basterebbe pensare ai commenti sarcastici di Spohr e Weber, dettati peraltro più da nazionalistica avversione verso la musica italiana che da argomentazioni musicali e drammatiche. Ben diverso l'atteggiamento di Schubert, che il 19 maggio 1819 poteva scrivere a un amico: "Recentemente è stato eseguito qui a Vienna l'Otello di Rossini. A parte Radicchi era abbastanza ben dato. Quest'opera è di gran lunga migliore cioè più caratteristica del Tancredi. Non si può negare che lui abbia un genio straordinario. L'orchestrazione è a volte molto originale, così come lo è la scrittura vocale, a parte le solite galoppate italiane, e le molte reminiscenze del Tancredi".

Grande considerazione dunque - rivolta significativarriente a due opere drammatiche e non buffe - che non ha mancato di stupire studiosi anche insigni, pronti a ridimensionare l'influsso del maestro italiano su quello austriaco. Eppure il nucleo del problema risiede nel fatto che l'humus culturale in cui Schubert era cresciuto non era affatto antitetico a quello di Rossini. Se quest'ultimo veniva definito durante gli studi "Il tedeschino" per la sua imitazione dei modelli haydniani, Schubert aveva dal canto suo studiato con Salieri ed aveva profondamente assimilato la musica italiana. A vent'anni, in cerca di una propria autonoma strada rispetto ai prototipi del classicismo, di una emancipazione dagli schemi haydniani su cui ancora si erano edificati i primi lavori sinfonici, Schubert non poteva ignorare le novità che la musica di Rossini portava sulla scena europea. L'energia propulsiva dell'orchestra rossiniana, i suoi infallibili giochi di colori, il gusto del fraseggio e il senso della forma dovevano rivelarsi direttamente nelle due Ouvertures in stile italiano del 1817, e venire poi filtrati con maggiore discernimento nella Sesta Sinfonia.

La quale partitura si nutre di una personalissima commistione di ascendenze dissimili, e proprio da tale commistione trae la sua originalità e la sua inalterata efficacia. Haydn e Beethoven si incontrano con Rossini e con quella particolare sensibilità borghese e viennese che è un elemento peculiare della musica di Schubert. Il primo tempo si apre con un Adagio introduttivo da Sinfonia italiana, ma con una maggiore densità di scrittura; le vigorose strappate orchestrali dell'incipit si stemperano nel dolce movimento di terzine, con intrecci fra fiati e violini che si spengono nel nulla e cedono il passo al successivo Allegretto in forma sonata. Il primo tema, brillante e caratteristico, affidato al flauto, oboe e clarinetto, viene ripreso a piena orchestra; e sono sempre i legni a esporre il secondo tema, scattante e ritmato, sull'accompagnamento ribattuto degli archi. Se il materiale tematico è "italiano", piuttosto complessa è l'elaborazione, che segue la strada haydniana di un continuo gioco di sorprese. Così lo sviluppo vede le peregrinazioni tonali di pochi spunti, prima del solido ritorno alla prima idea. Al termine del movimento c'è la nuova sorpresa di una stretta in "Più moto", una coda dove si trovano festosi echi della Prima di Beethoven.

In seconda posizione troviamo un Andante in fa maggiore con un tema levigato degli archi, che scivola poi in una tonalità lontana (la bemolle) secondo una transizione rossiniana. La sezione centrale, nettamente contrastante, viene animata da un fitto ordito di terzine; ma la finezza del compositore fa sì che al riapparire della sezione iniziale la melodia levigata incorpori il ritmo di terzine della sezione secondaria, secondo una scrittura più densa che rende più fine e preziosa la ripresa. Segue un brillantissimo Scherzo dal ritmo giambico, con un Trio "Più lento" in cui si intrecciano fiati e archi; un moviniento in cui è evidentissimo il riferimento a Beethoven. L'influenza italiana torna a farsi sentire in modo determinante nell'Allegro moderato conclusivo, un tempo in forma sonata ma dal carattere di Rondò, per la mancanza dì elaborazione tematica e l'alternarsi di situazioni contrastanti, quasi da pot-pourri; caratteristica costante del movimento è la sua propulsione ritmica, basata su insistiti ritmi puntati di accompagnamento, su cui si stagliano scorrevoli corse dei violini, staccati dei fiati, o anche la brillantissima scala puntata per terze, ascendente e discendente, dei flauti e poi dei clarinetti. È la sintesi folgorante di stilemi rossinisti e forma classica, conquista non dimenticata dall'autore lungo la strada di ricerca che porterà, una decina d'anni più tardi, alla "grande" Sinfonia in do maggiore.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Denominata anche «la piccola», rispetto alle monumentali proporzioni della composizione consorella nella medesima tonalità — detta «la grande» composta da Schubert nel suo ultimo anno di vita — la «Sesta Sinfonia» fu scritta tra l'ottobre del 1817 e il febbraio del 1818 a conclusione della serie giovanile del sinfonismo schubertiano, una serie che aveva accompagnato l'avvio della produzione del giovane musicista (la Prima Sinfonia portò la data del 1813) con la successione di sei lavori marcati da elementi morfologici assai affini, pur se originati da una differente temperie espressiva.

In Schubert la maturazione alla specifica composizione sinfonica si era svolta con maggior lentezza rispetto all'opera liederistica, contrassegnata spesso da sconvolgenti novità di linguaggio e di contenuto: la struttura delle sinfonie giovanili risultava nettamente classica secondo l'iter tracciato da Haydn e da Mozart, pur con la presenza di accenti personali nella leggerezza ed eleganza dell'eloquio musicale. A differenza della natura del Lied, precocemente marcato dalle suggestioni letterarie e personali, oltre che da spesso inesplorati orientamenti emotivi, in tale ambito connaturati, il sinfonismo di Schubert adolescente accolse gli stimoli più eterogenei, quali frequenti motivi d'ascendenza rossiniana (anche se assimilati e personalizzati da una timbrica e un filtro armonico inconfondibili) — del resto negli stessi anni furono scritte due Ouvertures «nello stile italiano» —, alcuni stilemi attribuiti agli influssi dell'opera buffa e qualche condizionamento del classicismo viennese.

Con la «Sesta Sinfonia» le ambizioni di Schubert si precisarono nello stile e nel contenuto. Del resto il Carner osservò che «tale lavoro, composto in un momento critico dell'evoluzione del musicista, quello della transizione dallo stile giovanile alla maturità, rivela una singolare accumulazione di diversi elementi ultronei, che non erano stati ancora fusi in un tutto organico e coerente. Si nota che Schubert tenta di liberarsi da Mozart e Haydn, senza tuttavia riuscirvi completamente: Beethoven risulta immanente nello «Scherzo» e il «Finale» rende omaggio a un compositore che non si aspetterebbe in simile consesso, Rossini. E così la «Sesta» rischia di assumere il carattere di un pastiche e di deludere dopo la perfezione della «Quinta». Evidente, in tali osservazioni, il persistere di pregiudizi caratteristici del nazionalismo tedesco dell'Ottocento che non riconoscevano al «frivolo» Rossini il doveroso rilievo culturale europeo della sua creatività artistica e magari riconducevano ad una semplice occasionalità di moda il successo arriso a Vienna ad opere come il «Tancredi»: quando invece anche l'influsso rossiniano giungeva utile e funzionale nel contribuire al superamento, con quella novità, di modelli precedenti e precostituiti. Del resto proprio la chiassosa e immediata mondanità della «Sesta» è un altro degli elementi che distinguono questa Sinfonia dalle precedenti, specie dalla «Quarta» e «Quinta».

Una breve, lenta introduzione, in cui si afferma la tonalità fondamentale, e quasi prossima all'incedere solenne di parecchi lavori di Haydn, precede l'«Allegro» iniziale che si struttura nella consueta forma-sonata, proponendo due soggetti tematici dal tratto quasi danzante, tipologicamente schubertiano. Evidente la squisita dimensione cameristica d'esposizione del primo tema, affidato a quattro strumenti a fiato (flauti, oboe e clarinetto), nonché, in generale, l'elegante leggerezza orchestrale in episodi di festosa esuberanza, mentre l'«Allegro» si conclude con una maestosa coda in tempo più concitato. Uno sviluppo strumentale ancor più raffinato viene offerto dal successivo «Andante», articolato su un fresco primo soggetto e su un motivo ritmicamente più mosso ad esso contrapposto, entro un clima sonoro sereno e gioviale, con la sovrapposizione quindi, nella ripresa, del materiale tematico principale alla figurazione ritmica della sezione centrale. Lo «Scherzo» della «Sesta» è il primo movimento ad assumere tale denominazione, anziché quella consueta di «Minuetto», nell'opera sinfonica di Schubert: è segnato da un influsso tipicamente beethoveniano nelle sollecitazioni ritmiche e nei contrasti dinamici, e risulta prossimo, in un certo senso, ai corrispondenti «scherzi» della «Prima» o della «Settima» sinfonia di Beethoven, specie nella contrapposizione tonale, agogica ed espressiva tra la prima sezione, Presto, e il seguente Trio in mi maggiore. Il conclusivo «Allegro moderato» esibisce una doviziosa varietà di idee e una libera struttura formale, anticipando le grandiose architetture del Finale della «Grande», nella combinazione tra elementi del Rondò e della forma-sonata. È in questo movimento che figurano i rossinismi più marcati che l'inventiva fantasiosa di Schubert accosta con brillante estrosità ad altre componenti, dal raffinato elemento mondano viennese del primo soggetto all'evocazione pastorale del secondo motivo, entro un gioco strumentale di singolare vitalità, sottolineato dall'atmosfera complessiva di una spirituale «gemütlichkeit».

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 8 maggio 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 1 marzo 1975


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 13 novembre 2019