Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, D. 485


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro (si bemolle maggiore)
  2. Andante con moto (mi bemolle maggiore)
  3. Menuetto. Allegro molto (sol minore). Trio (sol maggiore)
  4. Allegro vivace (si bemolle maggiore)
Organico: flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Settembre - 3 Ottobre 1816
Prima esecuzione: Vienna, 17 ottobre 1841
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1885
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Da tempo gli studiosi della musica romantica dividono la produzione sinfonica di Schubert in tre gruppi che corrispondono in linea generale alle tre fasi dell'evoluzione e dello sviluppo artistico del compositore. Al primo gruppo appartengono le prime sei sinfonie complete scritte fra il 1812 e il 1817: sono lavori giovanili che risentono soprattutto delle forme sinfoniche elaborate da Haydn e da Mozart, anche se vi si avvertono certe caratteristiche inconfondibili dell'arte schubertiana, come il senso di affettuosa dolcezza della melodia e l'intimità e la purezza dell'espressione lirica. Nel secondo gruppo sono comprese le tre sinfonie incomplete e frammentarie, fra cui la celeberrima "Incompiuta" in si minore, alle quali l'autore lavorò fra il maggio 1818 e l'ottobre 1822: esse riflettono idee e invenzioni tematiche più ricche di pensiero e una più originale e personale scrittura strumentale. Unico esempio completo del terzo gruppo è la Sinfonia in do maggiore detta "La grande" (Die Grosse), che per l'ampiezza del respiro melodico e la robustezza del discorso raggiunge il punto più alto e profondo dell'esperienza sinfonica schubertiana.

È sintomatico che solo nel caso di quest'ultima sinfonia, ritrovata da Schumann ed eseguita postuma dopo la morte dell'autore sotto la direzione di Mendelssohn, si sia parlato di una più incisiva influenza beethoveniana, soprattutto per la potenza e la varietà della costruzione sonora che la contraddistingue. Infatti secondo il critico e musicologo tedesco Paul Bekker, che studiò a fondo la concezione e lo sviluppo della sinfonia da Beethoven a Mahler, la struttura delle sinfonie di Schubert «è determinata dai due tratti essenziali dell'arte romantica: il movimento nelle modulazioni armoniche e la ricchezza nel colore strumentale. Sotto la loro influenza la costruzione severa dell'organismo sonoro di Beethoven si attenua, l'unità dell'idea si scinde nella diversità degli episodi, delle immagini fantastiche, delle réveries romantiche. L'insieme denso e monumentale della forma beethoveniàna perde il suo rigore e si frantuma in particolari lirici. La potenza dell'idea unica è sostituita dalla grazia e dal fascino della diversità, dalle apparizioni fugaci e mutevoli delle visioni romantiche. Così svanisce l'immagine dell'epoca eroica che viene sostituita da un'epoca in cui l'uomo con le sue gioie e i suoi dolori personali si pone di fronte al mondo». C'è poi in questa, come in altre sinfonie schubertiane, il problema dei temi ripetuti, in quanto tali e senza sviluppo costruttivo, o delle lungaggini anche se celestiali, secondo il noto giudizio di Schumann. Per tale ragione Nietszche considerò Schubert un artista inferiore agli altri grandi maestri che lo precedettero, «pur avendo fra tutti la maggiore ricchezza ereditaria musicale», mentre il critico musicale tedesco Walter Dahms, autore di un importante studio biografico sul grande liederista viennese, ha cercato di giustificare e spiegare questo modo di comporre di Schubert scrivendo che l'«estensione e la lunghezza dei suoi tempi sono da riferirsi al fatto che Schubert, da spirito eminentemente romantico, non viene lasciato in pace dal tema una volta proposto. Deve continuamente rivoltarlo e rimaneggiarlo, e può plasmare la sua opera d'arte solo dietro l'impulso di codesto gioco, non già in rapporto all'architettura musicale. Poiché non era dato, alla sua natura di agire in profondità con l'evocare e l'elaborare forti tensioni, egli sentiva il bisogno, per esprimersi compiutamente, di agire in estensione con le sue combinazioni sonore».

Anche Brahms, che pur teneva in molta considerazione la struttura formale della composizione, cerca di capire le ragioni per cui Schubert tornava spesso sullo stesso tema e, a proposito delle prime sinfonie di questo autore, osserva: «Contrariamente a Beethoven, che mira costantemente a raggiungere un'estrema concisione espressiva, Schubert ci dimostra, con queste alterazioni nei suoi valori, l'autentico piacere che prova nel servirsi di mezzi musicali ampi e liberi, che non possono soffermarsi con sufficiente precisione sul materiale sonoro in essi contenuti». Ciò vuol dire, in poche parole, che Schubert concepiva e scriveva le sue composizioni sinfoniche con spontaneità e immediatezza di sentimento e secondo una freschezza inventiva, ricca di idilliaca innocenza, increspata da quel senso elegiaco della vita, tipico della personalità di questo musicista.

L'altro aspetto da evidenziare nella Quinta Sinfonia di Schubert riguarda il sensibile distacco dai modi e dalle forme beethoveniane, con un ritorno e un riavvicinamento allo stile mozartiano, così evidente sin dalla scrittura per piccola orchestra senza trombe né tamburi militari, che è la stessa combinazione orchestrale a cui era destinata la versione originale della Sinfonia in sol minore di Mozart, senza i clarinetti. Tale Sinfonia, realizzata nella piacevole e fresca tonalità di si bemolle maggiore, fu scritta fra il settembre e l'ottobre del 1816 e fu eseguita per la prima e anche l'ultima volta nel corso della vita di Schubert nell'autunno del 1816 sotto la direzione del violinista Otto Hatwig; sin d'allora suscitò un'impressione positiva e, pur non distaccandosi sensibilmente dalla linea della Sinfonia in do minore, la cosiddetta "Tragica", fu considerata la migliore per freschezza di invenzione e omogeneità di forma tra le sinfonie del primo gruppo.

Il primo tempo (Allegro) è caratterizzato da due temi: uno delicatamente cantabile con le imitazioni in ottava e l'altro più sostenuto ed elaborato nel suo slancio lirico, che a volte nasconde tra le sue pieghe qualche reminiscenza beethoveniana: un vero siparietto di poche battute di pungente efficacia psicologica. L'Andante ha un inconfondibile sapore mozartiano, tanto che un musicologo, sir Donald Tovey sostiene che esso ha molti punti di contatto con la frase melodica della Sonata per violino K. 373 del salisburghese. Ma ciò non toglie che le modulazioni e i passaggi strumentali siano propriamente schubertiani e facciano pensare a certe soluzioni sinfoniche che l'autore avrebbe adottato sei anni dopo nell'"Incompiuta". Il terzo tempo è un sereno minuetto di gusto mozartiano con un Trio dagli accenti popolareschi da Laendler tirolese, elaborato con molta finezza orchestrale. L'Allegro vivace dell'ultimo tempo ha il taglio del rondò con quel tema spigliato e giovanile che si snoda con ricchezza di modulazioni e di effetti timbrici; questa pagina è considerata da Einstein «forse il pezzo di musica strumentale più puro, più levigato, più equilibrato che Schubert avesse scritto fino a quel momento». Un movimento quanto mai agile e stringato che conclude in piena felicità armonica questa sinfonia da camera più classica che romantica.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto n. 2 (nota 2)

Finita il 3 ottobre 1816, questa sinfonia rivela già nell'organico una impostazione nettamente diversa dalla precedente aliena da ambizioni drammatiche, la Quinta mira a una serena levità di tocco e fa riferimento a modelli mozartiani (forse in modo particolare alla Sinfonia K 550). Si tratta di un ripensamento non certo di una passiva imitazione, perchè la Quinta costituisce uno dei vertici del sinfonismo giovanile di Schuber per la straordinaria freschezza inventiva, per il felice equilibrio, per la gentile intimità lirica. Una ben calibrata eleganza caratterizza il primo tempo, e caratteri ancor più marcatamente schubertiani presenta l'Andante con moto, articolato secondo lo stesso schema dell'Andante della Quarta con l'alternarsi di due sezioni, la seconda delle quali ha un caratte di più sottile, trascolorante chiaroscuro. Il Minuetto si richiama in modo trasparente a quello della Sinfonia K 550 di Mozart, con accenti meno severi e allontanandosi dal modello nel Trio, mentre il finale muove da una spigliatezza quasi haydiniana per passare poi, con scorrevolezza ad altri accenti.

Guida all'ascolto n. 3 (nota 3)

Quando Schubert mette mano alla Sinfonia in si bemolle maggiore, la quinta delle sue composizioni orchestrali, si trova, giovanissimo, a metà strada della sua opera sinfonica. Rispetto alla Quarta sinfonia, legata a un progetto relativamente solenne, la Quinta è un lavoro intimo e raccolto e corrisponde certo a un intento cameristico. Alla sua prima apparizione fu eseguita da un'orchestra formata in gran parte da dilettanti. Era l'autunno del 1816 e gli strumentisti vennero ospitati presso l'abitazione di Otto Hatwig, esecutore del Burgtheater e per l'occasione direttore del complesso; tra le prime file figurava il fratello di Schubert, Ferdinand, come primo violino, mentre Franz gli sedeva accanto alla viola.

È quanto meno sintomatico come in occasione di questa prima esecuzione l'autore si soffermi a scrivere: «senza trombe e timpani». Ma avrebbe potuto aggiungere: «senza clarinetti». Si tratta di una scelta chiara ed esplicita verso una contrazione di organico, una rinuncia completa ai grandi effetti del sinfonismo romantico. Anche le dimensioni della Sinfonia sono ridotte: quattro tempi limpidi, sobri, equilibrati. Se a ciò si unisce la particolare scelta della tonalità, quel si bemolle maggiore così praticato da Schubert giovane e così utilizzato in questi mesi (oltre alla Quinta, l'Ouverture per orchestra D470 e il Trio per archi D471), ancor più percepiamo quanto questa sia per lui un'importante opera di trapasso. Quest'ultima sinfonia dell'adolescenza - scritta a soli diciott'anni - sembra dunque segnare l'estrema occasione di rivivere un mondo che va rapidamente cambiando; quasi il compositore, rapito dalla nostalgia e dalle immagini del mondo caduco della fanciullezza, conquistato dall'incanto di un'epoca felice e irripetibile, volesse attardarsi a coglierne le ultime, fugaci impressioni.

Da qui in poi ci saranno nuove scelte di campo e Schubert imboccherà la via della maturità. Dal volgere di questa fine estate 1816 scriverà sempre meno per orchestra (fino al momento della morte solo «La Piccola» D589, «La Grande» D944 lasciando «incompiuta» la Sinfonia in si minore), diminuirà drasticamente la produzione per quartetto d'archi e si concentrerà sul pianoforte. Se dunque il sentimento che pervade la Sinfonia riflette quello semplice di un animo fanciullo, forse mai come in questo momento forma e contenuto coincidono. Perché la D485 è anche conosciuta come la più mozartiana delle sue sinfonie: almeno tanto mozartiana quanto la Quarta era stata beethoveniana. Lo vediamo anche in altre sue composizioni dell'epoca, che lasciano trasparire riferimenti all'artista salisburghese o almeno ne vogliono ricreare lo spirito: il Quartetto per archi in mi maggiore D353 e il sopra citato Trio in si bemolle. Lo scopriamo dalla testimonianza dei suoi scritti che lasciano stupiti per l'immediatezza e la carica umana che sprigionano, là dove Mozart appare come il grande Maestro in pectore: «Come un'eco lontana mi risuonano le sue magiche melodie. Nelle tenebre di questa vita ci mostrano un avvenire sereno e luminoso a cui aneliamo con fede. O Mozart, immortale Mozart, quanti raggi della luce dell'avvenire hai dardeggiato nella nostra anima!».

Nel!'Allegro brevi e leggere battute dei fiati seguite da una sbarazzina frase discendente degli archi ci proiettano in pochi istanti verso il nitido e spumeggiale profilo del primo tema. Questo motto introduttivo, al contrario di quanto si potrebbe pensare all'interno di uno schema preciso come quello offerto da una forma-sonata, non ricomparirà testuale ad aprire la Ripresa, ma diverrà invece, sapientemente miscelato con il nucleo del primo tema, uno dei motivi di maggiore interesse dello Sviluppo: reiterato quattro volte e rifratto in giochi di progressione su piani diversi segnerà quasi un atto di esitazione di fronte alla complessa opera di elaborazione. Lo scambio di ruoli tra strumenti o gruppi di strumenti, come quello delle alternanze archi-legni, è attivato sia nel primo che nel secondo tema, così come in molti altri segmenti del brano, conferendo alla musica vivacità e spigliatezza. Il principio di economia è un valore costante: ad esempio la scintillante frase che collega i due temi principali, il ponte, è ricavata dall'arcuato incipit del primo tema e, quando torna durante la Ripresa, varia, si ripete e, la seconda volta, è costruita su secche e incisive imitazioni.

Se, come molti ricercatori sostengono, Schubert si è ispirato a Mozart cercando un modello parallelo nella celeberrima Sinfonia in sol minore K. 550, troviamo nel successivo Andante con moto alcune curiose similitudini. Analoga la tonalità, mi bemolle maggiore; analogo il metro, 6/8; sicuramente mozartiano il tema principale, leggiadro e articolato su due couplet che offrono, come filtrate da uno specchio, immagini levigate e trasparenti.

Nell'estesa parte centrale si affina ulteriormente la ricerca del colore orchestrale (citiamo il fascino un po' desueto di oboi e flauti, o il paziente dosaggio nella distribuzione del peso timbrico agli archi). Anche la varietà e la scelta delle modulazioni, come l'alternanza di modo, calibrate secondo le loro infinite proprietà, permettono di cogliere luminescenze e di catturare riflessi armonici altrimenti impensabili. Ad esempio, la versione in forma imitativa del primo tema si ripresenta «regolarmente» con il medesimo profilo melodico durante la Ripresa, ma, offuscata com'è dalle tinte scure del modo minore, appare ora come un'immagine trasfigurata.

Il Menuetto reca quasi una citazione mozartiana diretta, con il primo tema - un plastico arpeggio scavato dentro il solco dell'accordo di sol minore - fortemente imparentato con il corrispettivo della Sinfonia K. 550. Il Trio interno è un ländler rustico e naìf di squisita fattura, una parentesi pastorale che prepara l'energico ritorno del Menuetto, presentato senza i ritornelli.

Il Finale, Allegro vivace, come il primo tempo concepito in forma-sonata, irrompe trascinante e carico di brio; lo spirito bonario e il tono raggiante e luminoso lo avvicinano ora più al mondo sonoro di Haydn che alle cristalline armonie di Mozart. Dopo il brillante primo tema, assai esteso per un gioco fitto di proposizioni e di ritornelli con un ponte modulante fatto di note ribattute e mulinanti scalette, segue un più tranquillo secondo tema, concluso da una deliziosa codetta evocatrice ancora una volta di vellutate melodie mozartiane. Nello Sviluppo il materiale è sottoposto a vistose e incisive varianti basate soprattutto sulle reiterate imitazioni del primo tema. Quando giunge la Ripresa la riesposizione si presenta letterale sino alla frase di ponte; quest'ultima però non funge più da trapasso modulante e varia quindi rispetto all'Esposizione per consolidare il già raggiunto tono d'impianto.

Schubert era appena all'inizio della sua pur breve carriera, ma per l'innata eleganza, la capacità creativa, la sicurezza nello scrivere e il livello di controllo della forma non aveva rivali: erano doti, queste, che l'avevano già consacrato all'immortalità.

Marino Mora

Guida all'ascolto n. 4 (nota 4)

La Quinta sinfonia in si bemolle maggiore, composta fra il settembre e l'inizio d'ottobre del 1816, reca impresso il sigillo di un omaggio a un grande della musica classica viennese: Mozart. «O Mozart, immortale Mozart» - Si legge scritto nel diario di Schubert alla data 13 giugno 1816 - «quante, o quanto infinite, benevole impronte di una vita migliore, più luminosa, hai stampato nella nostra anima!». In queste parole di un diciannovenne straordinariamente precoce eppure capace di commuoversi come un bambino è già presente l'intero Schubert, nelle cui espressioni di una spontaneità disarmante nulla v'è di retorico. E ancora sentiamo come la presenza del grande collega, l'unico che veramente gli somigliasse per intimi tratti, entrasse, coi suoi mille richiami, nei pensieri che il giovane artista maturava sulla propria opera creativa.

Guardare a Mozart per imparare a guardare dentro se stesso. E dimenticare, per il momento, l'inquietante Beethoven. Già durante il suo apprendistato come ragazzo cantore nella imperiale e regia Cappella di Corte, Schubert aveva avuto modo di familiarizzarsi, nelle variopinte esercitazioni dell'orchestra degli allievi del Convitto, col florido mondo della produzione strumentale classica viennese, grande e meno grande. Dal suo imparare direttamente dall'esperienza, dal suono nelle sue multiformi combinazioni, dalla consuetudine pratica con i singoli strumenti, dal disuguale avvicendarsi di placide colline e di ardue cime: Ouvertures e Sinfonie, l'orecchio drizzato al nome di Haydn e Mozart, il cuore in tumulto di fronte a Beethoven. «La benedizione della musica vivente, della esperienza pratica», commenta Paumgartner. Quale profitto Schubert ne abbia tratto, si capisce già dalla sottile differenziazione timbrica delle Sinfonie giovanili, dalla relativa scioltezza della scrittura per archi nei primi Quartetti.

Insieme con il padre mediocre dilettante di violoncello, Schubert e i suoi fratelli lgnaz e Ferdinand facevano musica - quartetto - anche fra le mura domestiche. Quando Franz nel 1813 lasciò il Convitto per iniziare la sua breve carriera di assistente di scuola, il quartetto divenne, col concorso di amici (tutti musicisti dilettanti), una piccola orchestra d'archi, che si riuniva due volte alla settimana nella casa di Schubert in Säulengasse n. 3. Di lì, fattasi più numerosa, passò negli spazi più ampi della ricca casa del mercante Franz Frischling: una piccola ma vera orchestra al completo in grado di suonare Pleyel, Salieri, Haydn e soprattutto Mozart, davanti a un pubblico scelto. Il pubblico, ecco l'elemento che fino ad allora era mancato. La prima, ristretta cerchia degli ascoltatori di Schubert creatore. Alla fine del 1815 anche la casa di Frischling era diventata troppo piccola. Si traslocò così in quella di Otto Hatwig, violinista e attore del Burgtheater, allo Schottenhof: fu qui che, nell'autunno 1816, la Quinta sinfonia di Schubert venne eseguita per la prima ed unica volta durante la sua vita. Egli la udì, se la udì davvero, suonando tra le viole.

Composizione dal carattere intimo, raccolto - quasi un raccoglimento dopo l'ardita, temeraria impennata beethoveniana della «Tragica» in do minore (aprile 1816) - la Quinta sinfonia guarda a Mozart, si diceva, e a un modello preciso: la Sinfonia in sol minore K. 550. A prescindere dalle somiglianze della tecnica compositiva e dagli stessi espliciti riferimenti tematici - nel «Minuetto» addirittura una citazione letterale dal «Minuetto» di quella Sinfonia -, la veste strumentale ne ricalca perfettamente l'organico senza trombe e timpani e senza i clarinetti, che Mozart aveva aggiunto solo nella seconda versione: ma, dal punto di vista armonico-tonale, l'ambientazione sonora è spostata dalla tonalità minore alla relativa maggiore, si bemolle; ed è un tratto che modifica profondamente il tono di fondo del ripensamento schubertiano di Mozart.

Già l'esordio è significativo. Quattro battute dei fiati che condensano le note polari del sublime incipit mozartiano conducono senza mutamento di tempo alla figura del primo tema in si bemolle maggiore: slanciata, elegante nella fluente linea dei primi violini, essa è imitata umoristicamente dai bassi, per presentarsi nella riesposizione in forma rovesciata. La transizione ha già in sé i tratti di un energico sviluppo, che sfrutta in primo luogo l'elemento puntato; il secondo tema in fa maggiore appare perciò una conseguenza di questa elaborazione, a rapporti invertiti: esposto dapprima dagli archi, viene successivamente ripreso dai fiati e contrappuntato parodisticamente dai primi violini, fino a che l'intera compagine orchestrale si ritrova unita, come all'inizio, nelle quattro ultime battute dell'Esposizione, quasi a stabilire un nesso ciclico. Le quattro battute introduttive aprono simmetricamente la sezione dello Sviluppo ma scompaiono definitivamente nella Ripresa, assorbite nella nuova individualità delle figure tematiche: e dalla Coda scomparirà anche l'elemento puntato che ne era stato l'elemento simbolicamente caratteristico.

Gli elementi stilistici schubertiani - alcuni dei quali diverranno col tempo veri e propri tratti idiomatici - si innestano naturalmente sul tronco mozartiano e ne fioriscono rigogliosi: c'è in questa Sinfonia quella serena consapevolezza che discende dal tranquillo, gioioso operare su solide basi. Se nell'«Andante con moto» in mi bemolle maggiore Schubert si concede ampi spazi di meditazione lirica divagando alla sua inimitabile maniera, nel «Minuetto» in sol minore l'inequivocabile citazione mozartiana vale come un perentorio richiamo all'ordine; appena temperato dal tono rude e popolaresco, intriso di memorie haydniane, del Trio in maggiore (il carattere cullante di Ländler è qui timbricamente irrobustito dalla preminenza del fagotto, che canta la melodia in ottava coi violini).

Il Finale («Allegro vivace»), in forma-Sonata, raggiunge il culmine drammatico nelle svettanti imitazioni dello Sviluppo, nel quale Schubert sembra volersi mettere alla prova come un maestro dell'elaborazione tematica. L'intenzione di dare alla Sinfonia una conclusione positivamente affermativa si palesa nella stessa condensazione del processo formale e nella densità dello spessore orchestrale, ossia nel trattamento, poco differenziato, della massa strumentale a piena orchestra: e forse il più autentico Schubert finisce con la prima esposizione, tenuemente cameristica e pervasa di suggestioni liederistiche, del primo tema. Quel che segue, a quanto pare, è soltanto il gesto, levigato e puro, di un entusiasta ammiratore dello stile classico. E la concisa, innodica chiusa della Sinfonia in si bemolle maggiore del diciannovenne Schubert lo celebra dimostrativamente.

Partito dalle sottili inquietudini di Mozart, passato attraverso le non più placide acque dello stile supremo dei classici, vivificato dal terribile accostamento a Beethoven, non gli rimaneva ora che tentare, in campo sinfonico, la sua piccola, immatura e stupenda, «Jupiter» (Sinfonia in do maggiore, 1817-18). Poi sarebbe stato, tragicamente, solo: Schubert.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto n. 5 (nota 5)

Con la semplicità e l'intelligente modestia che erano in lui naturali, Schubert diceva: «Scrivo musica tutte le mattine e quando ho finito un pezzo, ne comincio un altro». Veramente, i suoi pezzi non sempre li finiva (lasciò a mezzo molti lavori, nell'urgenza di commissioni occasionali o per mutamento di umore), ma di comporre musica e ancora musica, ogni genere di musica, non fu mai stanco.

Nel 1815 e nel 1816 Schubert lavorò, di sicuro, «tutte le mattine», col suo solito orario, dalle nove alle due del pomeriggio, e lavorò forse anche in altre ore del giorno, che la produzione di quei due anni è impressionante per quantità e qualità. Poco più che un ragazzo, a diciotto anni era un artista originale e maturo: e tra le angustie materiali era anche un artista felice. L'amicizia era per lui l'affetto primario della vita ed egli aveva, ormai, alcuni amici solleciti e fedeli (e fedeli gli restarono oltre la sua morte: lo sventurato poeta Johann Mayrhofer, i cui modesti versi sono eternati in tanti Lieder, non potè rassegnarsi alla perdita dell'amato Schubert e nel 1836 si uccise); cominciava poi a guadagnare con la sua musica (e annotava nel diario: «17 giugno 1816, oggi per la prima volta sono stato pagato per un mio brano»; che era la cantata Prometheus, purtroppo perduta) e a diventare famoso. Lo stimava anche qualche personaggio illustre, primo fra tutti il celebre tenore dell'Opera Johann Michael Vogl (solo Goethe e Beethoven, che entrambi Schubert venerava, non si occuparono mai di lui).

Nel 1816, dunque, il giovane Franz scrisse, a tacer d'altro, un'opera, Die Bürgachaft, che però lasciò incompiuta, la Messa in do maggiore, uno Stabat Mater su testo tedesco di Klopstock, un Magnificat, due Tantum ergo, il meraviglioso Quartetto in mi maggiore op. 125, le tre Sonate per pianoforte op. 137, trenta Danze per pianoforte, molti lavori per coro - e 115 Lieder! Ma non basta: ci sono anche, in quell'anno, due tra le sue grandi sinfonie, la Quarta in do minore, detta "Tragica", e la Quinta in si bemolle maggiore, conclusa alla fine di ottobre.

Tra il 1815 e il 1820 in casa Schubert si tenevano concerti con un'orchestra di dilettanti (Franz, che però dilettante non era, suonava la viola), dapprima minuscola e adatta solo a trascrizioni per archi di sinfonie di Haydn, Mozart e altri minori, poi via via più consistente e tale da eseguire lavori di un certo impegno nella stesura originale (anche qualche sinfonia di Beethoven). Schubert scriveva spesso musica per l'orchestra di famiglia e, variando di essa l'organico secondo gli impegni dei componenti, egli adattava caso per caso la strumentazione. Se aveva progettato una sinfonia e per la serata sarebbero stati assenti un flauto, il clarinetto, la tromba e il timpanista, Schubert scriveva la sua sinfonia, facendo di essi a meno; e così scrisse lo stesso un capolavoro, la sua Quinta, appunto.

È naturale che l'organico ridotto abbia regolato le proporzioni, e ridotte anch'esse, e certi caratteri formali che di proporzioni e durate sono la premessa. La Quinta sinfonìa di Schubert è, infatti, semplice, breve, cordiale ed è anche sobria e spedita nella tecnica propriamente sinfonica (il che, in passato, è stato definito un suo limite, ma a torto): ma è serena, armoniosa, classicamente aristocratica. Siamo nel 1816 e Beethoven ha già scritto la sua Ottava: il genere della sinfonia ha cambiato in tutto lo stile, col tono alto e grandioso, e il carattere, nel contenuto di tensioni drammatiche e conflitti. Con Beethoven il musicista di una sinfonia è veramente «l'eroe che parla all'umanità» (come dice Paul Bekker).

Nessuno di questi mutamenti si avverte nella Quinta di Schubert, il quale aveva, sì, provato lo spirito beethoveniano nella sua Quarta, ma con risultati incerti. Con la Quinta egli torna a Haydn e a Mozart (che è il modello esplicito di questa Sinfonia, almeno per quel che riguarda l'invenzione tematica: esplicito fino alla citazione scoperta, come accade nel sublime secondo movimento, il cui avvio ripete il Rondò della Sonata in fa maggiore per violino e pianoforte K. 377); anzi, nei quattro movimenti tradizionali della Quinta la dinamica espressiva è perfino più essenziale e schietta che nelle Sinfonie "Londinesi" di Haydn. Sempre, infatti, sulla elaborazione tematica prevale la cordiale e fiduciosa invenzione lirica: non c'è contrasto, non c'è dramma, c'è solo l'evoluzione di sentimenti positivi verso una franca, trasparente allegria conclusiva. E l'andamento generale della Sinfonia è spedito e vivace, il suo passo è energico e euforico. Certo, c'è l'intenso, commovente Andante con moto, il mirabile secondo movimento (uno dei capolavori strumentali di Schubert e forse, osiamo dire, del sinfonismo romantico), malinconico e pensoso: qui ci sono, e si nascondono, le divine irregolarità dello stile di Schubert, le modulazioni ardite, le screziature armoniche, le sentimentali ombreggiature di colore. Questo, nella naturale evoluzione degli affetti, è il momento dell'introspezione (ed è vero che in interiore del genio noi percepiamo il dolore del mondo). Poi la luce si rifà chiara, e il giovane artista, sorridente, riprende a parlare, senza accenti eroici, agli amici e a noi.

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 15 dicembre 1991
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 95 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, 28 maggio 1984
(5) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 aprile 1995


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Ultimo aggiornamento 1 ottobre 2014