Rondò in la maggiore per violino e orchestra d'archi, D. 438


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Adagio (la maggiore)
  2. Allegro giusto (la maggiore)
Organico: violino solista, archi
Composizione: Giugno 1816
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Rondò in la maggiore per violino e archi D. 438 è, insieme al Konzertstück in re maggiore per violino e archi D. 345, l'unico brano del genere concertante per violino e orchestra d'archi composto da Schubert. Ambedue i pezzi furono scritti nel 1816 dal musicista appena diciottenne, probabilmente attratto dalle possibilità espressive e virtuosistiche del violino, in quanto tutte e due le composizioni puntano su ciò che può offrire lo strumento ad arco nel modo più estroverso possibile e ubbidendo allo schema più semplice basato su un Adagio e un Allegro, in chiara contrapposizione tra di loro nel gioco delle invenzioni musicali. Il Rondò infatti, come il Konzertstück, si articola in due sezioni: un Adagio introduttivo e un Allegro, che è poi un Rondò vero e proprio. L'Adagio iniziale attacca con il "tutti" dell'orchestra e alla dodicesima misura entra in campo il violino solista che s'impone all'ascolto per il suo stacco spigliatamente virtuosistico, ma anche espressivamente elaborato, con scale, arpeggi, passaggi di terzine e rapide figurazioni ritmico-melodiche. Il tema dell'Adagio è schubertiano nel senso più puro e immediato del termine, specie per quanto riguarda il gioco delle modulazioni del violino solista. Con un inciso melodico cromaticamente ascendente il violino, sorretto da tutta l'orchestra d'archi, annuncia il tema del Rondò, ben distinto da quello dell'Adagio, e caratterizzato da un gioco di terzine. La frase gioiosa e vivace viene ripresa e ampliata da una serie di progressioni ritmiche, secondo la tecnica dell'allegro in forma di rondò. Il violino svolge un ruolo prevalentemente virtuosistico, su accompagnamento dell'orchestra, che in alcuni momenti acquista una posizione di rilievo nel "tutti". Nel Rondò affiorano anche passaggi melodici e dai contorni di levigata eleganza e la pagina, della durata di poco più di 13 minuti, sfocia in una coda in cui sono riassunti e condensati nel rapporto tra pp e ff, tra brillantezza e dinamismo, gli spunti armonici e ritmici ascoltati in precedenza e trattati con scioltezza e sicurezza inventiva.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel vastissimo catalogo di Schubert uno solo dei generi musicali allora diffusi è completamente assente: il concerto per strumento solista e orchestra. Una delle ragioni di quest'assenza è indubbiamente l'avversione di Schubert al virtuosismo, componente imprenscindibile del concerto ottocentesco da quando il dialogo armonioso tra solista e orchestra era stato scalzato da un rapporto drammatico, con la conseguenza che il solista, per ricoprire adeguatamente il ruolo d'antagonista dell'orchestra, aveva dovuto sviluppare una tecnica virtuosistica fino a pochi anni prima neppure immaginabile.

A ben guardare, Schubert non rifiutò del tutto lo stile del concerto, perché ci fu un breve periodo in cui fece qualche prova in quel campo, considerandolo però un genere di musica disimpegnata e brillante: infatti nel 1816, su richiesta del fratello Ferdinand e per qualche occasione particolare a noi ignota, compose un Konzertstück in re maggiore per violino e orchestra, formato da un Adagio e da un Rondò; poco dopo, rispettivamente nel giugno 1816 e nel settembre 1817, compose altri due pezzi per violino e archi, il Rondò in la maggiore e la Polonaise in si bemolle maggiore. Nient'altro.

Indubbiamente non è molto e non è neppure molto importante al confronto di quello che il giovanissimo Schubert (aveva diciannove anni) aveva già composto o stava componendo in altri campi: il Lied Gretchen am Spinnrade è del 1814, le Sinfonie n. 4 e n. 5 sono del 1816. Tuttavia Schubert, come Mozart, aveva il dono di riversare qualche frammento di musica geniale anche nei lavori minori e minimi, come le danze e le marce; quindi anche il Rondò in la maggiore per violino e archi, D. 438 non è certamente privo di fascino. Lo apre l'orchestra con un tono piuttosto serioso, insolito in una composizione generalmente brillante qual è il rondò, ma subito affiora una cordiale cantabilità, che prepara la lirica entrata del violino. I couplet non segnano un netto stacco col refrain, conservando anzi lo stesso carattere amabile ed equilibrato, ma presentano comunque una serie di idee colorite, basate su melodie accattivanti, armonie saporite e ritmi vivaci, il tutto condito da una spruzzata di piacevole virtuosismo.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 16 maggio 1986
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 19 aprile 2001


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Ultimo aggiornamento 2 marzo 2015