La «Suite» op. 29 è la prima opera berlinese di Schoenberg, terminata il 1° maggio 1926. L'opera è scritta per due clarinetti (uno sostituibile col flauto), clarinetto basso (in alternativa fagotto), violino, viola, violoncello e pianoforte. Il titolo, indica che i quattro tempi sono modellati sulle forme strumentali barocche. Ed anche il «Tema» delle variazioni si rifà ad una melodia preclassica, precisamente alla canzone popolare «Aennchen von Tharau», composta nel primo seicento da Heinrich Albert. L'opera è rigorosamente dodecafonica, ma sia questa struttura intervallare che il modello formale preclassico raggelano soltanto a tratti la tensione espressionista. Lo si osserva soprattutto nella scelta e nell'uso dei timbri. Archi clarinetti e pianoforte (la versione con soli clarinetti è a mio parere preferibile a quella con flauto e fagotto) rimandano ad alcune individuazioni foniche del «Pierrot lunaire», e così anche il «Pierrot» è ricordato in certe parodie del cabaret, ad esempio il Läendler valzer moderato che sorge nel mezzo della «Ouverture», o nella mollezza cantabile e velenosa del clarinetto in apertura dei «Tanzschritte». Ed è ancora la memoria dell'orchestrina, il trio clarinetto pianoforte violino, a caratterizzare il «Thema», intonato dallo strumento a fiato in valori eguali sulla smorfia dei partners. Se da un lato infatti le scelte nobili prendono l'avvio da una analisi strutturale della musica da camera di Brahms, lo Schoenberg espressionista scorge il crollo dei valori consacrati nella musica di consumo, ed è questa doppia presa di coscienza, verso la storia e verso l'arte applicata, a far raggiungere alla scrittura schoenberghiana il fulcro della tensione. Ciò non è sempre presente nelle opere della dodecafonia trionfante, dove il processo restaurativo della grande forma può anche risultare soffocante, ma nella «Suite» questa involuzione è rara, abbastanza rilevabile soltanto nella «Giga».
Gioacchino Lanza Tomasi