Quintetto per fiati, op. 26


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Schwungvoll
  2. Anmutig und heiter; scherzando
  3. Etwas langsam (Poco adagio)
  4. Rondo
Organico: flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno
Composizione: Vienna, 21 aprile 1923 - 26 luglio 1924
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 13 settembre 1924
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1925
Guida all'ascolto (nota 1)

Composto nel 1923-24, compiuto nell'agosto, ed eseguito il 16 settembre dello stesso anno (con prove iniziatesi ancora durante la stesura, in un continuo contatto fra l'autore e gli eroici interpreti), il Bläserquintett, già nella costituzione dell'organico (flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno, considerato come appartenente ai legni, data la sua ambivalenza anfibia) vuole essere un richiamo, affatto deliberato, alla tradizione musicale austro-tedesca (vale a dire, alla tradizione tout court). E' un gesto di decisa volontarietà, che ha signicato anche di manifesto. Ad una svolta radicale della propria carriera, cioè della musica moderna, Schoenberg, arrivato alle soglie del silenzio con le forme momentanee, decide, dopo una lunga pausa, di accogliere quel nuovo metodo di comporre, che equipara i dodici suoni del sistema temperato, abolendo, teoricamente, qualsiasi gerarchia delle altezze. Il cromatismo assoluto (o che allora sembrava tale), già tentato, assaggiato e più o meno parzialmente accolto in opere precedenti, è qui implicito nel materiale sonoro, la serie di dodici suoni intesa come matrice. Tutte le figurazioni derivano da quella base, o Grund, insieme alveo e zona d'ombra.

Il destino (come l'autore affermò) aveva riserbato proprio a lui quanto forse sarebbe parso più facile in altre culture musicali: nello Skrjabin delle ultime Sonate, e anche più degli ultimi piccoli pezzi per pianoforte, o magari nel Debussy di Brouillards, tacendosi del caso allora ignoto, la soluzione, o anzi le soluzioni americane dello Ives sperimentale.

L'abbandono dei nessi tonali (che a parecchi decenni di distanza ha ancora le sue prefiche, e non senza ragioni certamente) minava la tradizione tonale per eccellenza. Non si finirebbe mai, peraltro, di celebrare la chiarezza, la coscienza iperlucida con cui il distacco, per gradus debitos, è avvenuto. Ancora nel 1941, in una conferenza all'Università di California (poi raccolta in Style and Idea) Schoenberg notava : 'Nulla è dato da questo metodo; ma molto è sottratto'. Intendeva, naturalmente, che nulla è garantito dall'adozione del metodo, salva la coerenza linguistica, prolegomeno necessario allo stile. Gli infiniti nessi che la tonalità offre devono venire surrogati, e ciò avviene appunto in due maniere: la affinità di ogni minimo elemento costitutivo (intervallo per intervallo) al disegno basilare (che come si diceva non è un tema, ma una premessa genetica), e la permanenza di tutti gli elementi dell'ordine tonale non relativi alle altezze: in primo luogo, metrica e ritmo.

Di lì nasceva lo slittamento dell'interesse compositivo verso soluzioni formali più salde, dopo le registrazioni di istanti estatici, in cui si bruciavano in attimi di lirismo assoluto le eredità della melodia infinita wagneriana. L'orizzonte schoenberghiano, pertanto, subì una rotazione verso Brahms, e, segnatamente, il densissimo Brahms delle opere da camera.

Il Bläserquintett adotta gli schemi della civiltà perduta: tempo di sonata, scherzo, adagio e rondò finale. I temi, tutti s'intende dedotti come parziali figurazioni dalla serie di base, sono testimonianza di una inventiva quasi strabocchevole: da cima a fondo, tanto nelle zone di passaggio (ponti o couplets) quanto nelle esposizioni (o nel refrain) essi sono contrappuntati, o accompagnati da disegni della stessa sorgente: distinguendosi accuratamente, sempre, ciò che è primario, melodico, cantabile, da quanto è secondario, o successivo, o accessorio: con un sistema semplicissimo, due lettere indicanti la Hauptstimme, voce principale, e le Nebenstimmen, voci aggiunte, Schoenberg dà una sicura traccia, un filo d'Arianna per il suo labirinto medesimo. Quella linea indicativa rimane certo un fatto grafico: e se gli interpreti non provvedono a concretarla in radicali differenze timbrico-dinamiche, svolgono la funzione degli uccellini nella fiaba di Pollicino: mangiate le briciole, la strada non si ritrova più.

Summa di un pensiero allo stato nascente, in piena eruzione lavica, il Quintetto fu, alle prime audizioni, ritenuto uno scoglio quasi non superabile: un libro segreto per iniziati. E' a tutt'oggi un lavoro asperrimo, oseremmo dire il più difficile del più diffìcile fra i maestri. Naturalmente, chi ancor oggi non fosse in grado di seguirlo, potrà consolarsi altrove: la dieta consigliata da Rimbaud (roc, charbons, fer) sconsigliandosi ai gastritici musicali.

Mario Bortolotto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Accademica di via dei Greci, 28 gennaio 1977


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Ultimo aggiornamento 8 maggio 2014