Pierrot lunaire, op. 21

Ventuno poesie in tre parti per voce recitante e strumenti

Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
Testo: Albert Giraud tradotte in tedesco da Otto Erich Hartleben

Parte I:
  1. Mondestrunken (Ebbro di luna)
    Organico: pianoforte, flauto, violino, violoncello
    Composizione: 29 aprile 1912
  2. Colombine (Colombina)
    Organico: pianoforte, flauto, clarinetto, violino,
    Composizione: 20 aprile 1912
  3. Der Dandy (Il Dandy)
    Organico: pianoforte, ottavino, clarinetto
    Composizione: 2 aprile 1912
  4. Eine blasse Wäscherin (Una pallida lavandaia)
    Organico: flauto, clarinetto, violino
    Composizione: 18 aprile 1912
  5. Valse de Chopin (Valzer di Chopin)
    Organico: pianoforte, flauto, clarinetto, clarinetto basso
    Composizione: 7 maggio 1912
  6. Madonna (Madonna)
    Organico: flauto, clarinetto basso, violino, violoncello
    Composizione: 9 maggio 1912
  7. Der kranke Mond (La luna malata)
    Organico: flauto
    Composizione: 18 aprile 1912
Parte II:
  1. Nacht (Notte) - Passacaglia
    Organico: pianoforte, clarinetto basso, violoncello
    Composizione: 21 maggio 1912
  2. Gebet an Pierrot (Invocazione a Pierrot)
    Organico: pianoforte, clarinetto
    Composizione: 12 marzo 1912
  3. Raub (Rapina)
    Organico: pianoforte, flauto, clarinetto, violino, violoncello
    Composizione: 9 maggio 1912
  4. Rote Messe (Rosso convivio)
    Organico: pianoforte, ottavino, clarinetto basso, viola, violoncello
    Composizione: 24 aprile 1912
  5. Galgenlied (Ballata della forca)
    Organico: ottavino, viola, violoncello
    Composizione: 12 maggio 1912
  6. Enthauptung (Decapitazione)
    Organico: pianoforte, flauto, clarinetto, clarinetto basso, viola, violoncello
    Composizione: 23 maggio 1912
  7. Die Kreuze (Le croci)
    Organico: pianoforte, flauto, clarinetto, violino, violoncello
    Composizione: 9 luglio 1912
Parte III:
  1. Heimweh (Nostalgia)
    Organico: pianoforte, ottavino, clarinetto, violino, violoncello
    Composizione: 22 maggio 1912
  2. Gemeinheit (Perfidia)
    Organico: pianoforte, ottavino, clarinetto, violino, violoncello
    Composizione: 6 giugno 1912
  3. Parodie (Parodia)
    Organico: pianoforte, ottavino, clarinetto, viola
    Composizione: 4 maggio 1912
  4. Der Mondfleck (La macchia lunare)
    Organico: pianoforte, ottavino, clarinetto, violino, violoncello
    Composizione: 28 maggio 1912
  5. Serenade (Serenata)
    Organco: pianoforte, flauto, clarinetto, violino, violoncello
    Composizione: 25 aprile 1912
  6. Heimfahrt (Viaggio verso casa) - Barcarola
    Organco: pianoforte, flauto, clarinetto, violino, violoncello
    Composizione: 9 maggio 1912
  7. O alter Duft (Antica fragranza)
    Organico: pianoforte, flauto (anche ottavino), clarinetto (anche clarinetto basso), violino, viola, violoncello
    Composizione: 30 maggio 1912
Organico: voce recitante, pianoforte, flauto (anche ottavino), clarinetto (anche clarinetto basso), violino (anche viola), violoncello
Composizione: Berlino, 12 marzo - 6 giugno 1912
Prima esecuzione: Berlino, Choralion-Saal, 9 ottobre 1912
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1920
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1912, durante il suo soggiorno berlinese, Schoenberg ricevette la commissione dall'attrice Albertine Zehme di scrivere per lei un melologo. La Zehme si era specializzata in questa forma tipicamente tedesca, il "Melodram". Il testo prescelto è tratto da una raccolta di 50 "Rondels" intitolata "Pierrot lunaire" del poeta belga Albert Giraud, apparsa nel 1884. La raccolta era stata tradotta liberamente in tedesco nel 1892 da O. E. Hartleben. Il titolo originale del Pierrot lunaire schoenberghiano recita: "Tre volte sette poesie dal "Pierrot lunaire" di Albert Giraud (versione tedesca di Otto Erich Hartleben). Per una voce recitante, pianoforte, flauto (anche ottavino), clarinetto (anche clarinetto basso), violino (anche viola) e violoncello (melologhi)". Schoenberg coniò per l'emissione della voce recitante il termine Sprechstimme, intendendo con ciò un canto parlato, da lui stesso individuato nella prefazione all'opera come una scrupolosa esecuzione dei valori ritmici, mentre per quanto riguarda le altezze l'interprete è tenuto a intonare la nota prescritta (altezza fissa) trascolorando subito nell'emissione parlata (altezza variabile). Questa peculiare emissione e codificazione del canto espressionista è certo l'elemento più dichiaratamente nuovo della partitura, ma ancor maggior considerazione merita la scrittura strumentale. Il Pierrot è difatti la prima partitura in cui la grande orchestra viene depurata in timbri isolati, contrastanti ed individualmente rappresentati, piuttosto che integrati, aprendo così una tendenza alla confutazione della orchestrazione per impasti che aveva segnato l'evolversi dell'arte della strumentalizzazione dai classici viennesi a Wagner, e che si tradurrà in una moda dello strumentale atipico quale indispensabile segnale di anticonformismo. Inoltre nel Pierrot Schoenberg intraprende decisamente il recupero delle forme contrappuntistiche rigorose, integrandole allo stile concertante e, come nelle ultime serie di bagatelle beethoveniane, ad una apparente futilità; torna cioè all'utopia del terzo stile beethoveniano e la conduce a nuovi sviluppi, compresa la progressiva emarginazione dalla comunicazione musicale corrente nel mentre si mantiene la pretesa di esser a pieno titolo nel flusso storico della musica d'arte. Un equilibrismo tipico dell'intellettuale moderno in cui la comunicazione adotta procedimenti della quotidianità e contestualmente li stravolge: nel caso in questione l'organico e la vocalità derivano senza dubbio dal cabaret ed anche dall'impiego Biedermeier dei valzer di Chopin e delle romanze senza parole di Mendelssohn, ed il protagonista, Pierrot, sembra uscito dal mondo piccolo borghese ed ambiguamente lubrico della mascherata ricamata su un cuscino a petit point di un salotto fin de siècle.

Schoenberg ha descritto il timbro della partitura come "ironico-satirico senza sottolineature". Ma questa osservazione vale più che altro da punto di partenza, ed è la stessa successione dei testi nelle tre parti ad indicarcelo. I primi sette si intitolano "Ebbro di luna", "Colombina", "Il Dandy", "La lavandaia pallida", "Valzer di Chopin", "Madonna", "La luna malata", e possono tutti rientrare nell'ambito dell'ironia. Ma i titoli della seconda parte propendono al macabro: "Notte', "Preghiera di Pierrot", "Furto", "La messa rossa", "Canzone dell'impiccato", "Decapitazione", "La croce". La terza parte sembra poi tendere alla malinconia della reminiscenza: "Nostalgia", "Meschinità", "Parodia", "La macchia della luna", "Serenata", "Il ritorno", "Oh profumo antico", testo con cui nella reminiscenza anche stilistica del mondo tardoromantico la musica prende atto, e struggentemente, di un distacco senza ritorno.

Le 40 prove che precedettero la prima del 9 ottobre 1912 sono entrate nella leggenda dell'evento. Indubbiamente la novità della scrittura esigeva una concentrazione sul testo e sull'emissione fino ad allora sconosciuta. Esse indicarono una diversa metodologia di approccio al testo, e segnarono in tal senso per sempre la personaltià e la carriera di Hermann Scherchen, tipico interprete della nuova era che vi partecipò da uditore e doveva poi dirigere la successiva tournée tedesca dell' opera. Nessun grande compositore del secolo ha potuto sottrarsi al fascino unico dell'opera, quel suo equilibrio sul ciglio del capolavoro e del cattivo gusto, tipico dell'arte mitteleuropea del tempo, che affascinò i professionisti più rigorosi, primi fra gli altri Ravel e Strawinsky. Val la pena di ricordare che il Pierrot era stato concepito ed eseguito come un'opera da camera: Albertine Zehme declamò il suo testo avvolta in un costume da Pierrot, davanti a un paravento spagnolo rosso e nero, che nascondeva agli occhi del pubblico Schoenberg ed i suoi musicisti.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il programma di questo concerto comprende due dei più significativi e più tipici capolavori musicali del nostro secolo: il Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg e l'Histoire du soldat di Igor Stravinsky. Nati rispettivamente alla vigilia e alla fine della prima guerra mondiale, i due lavori appartengono al periodo in cui gli itinerari stilistici dei due autori tendevano verso quel punto di massima divergenza che doveva caratterizzarli come poli opposti nel panorama complessivo della musica novecentesca. Alle associazioni per contrasto si uniscono tuttavia associazioni determinate da analogie altrettanto essenziali e profonde quanto profonde e essenziali appaiono le diversità estetiche e le discrepanze poetiche. L'elemento comune più vistoso è la non vistosità, anzi l'estrema discrezione, la spoglia sobrietà cameristica che distinguono sia l'una che l'altra composizione configurandosi come legittime reazioni storiche contro quel gigantismo orchestrale postmahleriano al quale proprio Schoenberg e Stravinsky avevano recato i contributi estremi: il primo con i monumentali Gurrelieder (compiuti nella veste strumentale nel 1911); il secondo col formidabile Sacre du printemps (1912-1913). Dopo queste partiture colossali - e prima ancora di averne terminata la gestazione - sia Schoenberg che Stravinsky reagirono contro la tendenza che minacciava di generare una vera e propria elefantiasi sinfonica. Per molti anni sia l'uno che l'altro smisero di comporre per normali organici orchestrali, come se entrambi avessero voluto analizzarne tutte le componenti e ricostruirne ogni singolo membro separato. In Schoenberg questo processo di rigenerazione cameristica inizia con la prima Sinfonia da camera (1906) e culmina col Pierrot Lunaire. In Stravinsky s'avvia con le Trois poésies de la lyrique japonaise (1903) e culmina con l'Histoire du soldat (1918).

Sia il Pierrot che il Soldato recano una testimonianza comune contro le forme istituzionalizzate della prassi aulica da teatro e da concerto. Lo stimolo e la sollecitazione a comporre un lavoro per voce recitante e strumenti vennero a Schoenberg dall'attrice tedesca Albertine Zehme e confluirono con l'esperienza che egli aveva fatto a Berlino nei primi anni del Novecento come direttore musicale del teatro-cabaret Ueberbrettl di Ernst von Wolzogen. La composizione del Pierrot Lunaire impegnò Schoenberg tra il marzo e il settembre del 1912. Fin dalle prime esecuzioni (a quella berlinese dell'8 dicembre 1912 assistettero tra gli altri Stravinsky e Diaghilev) apparve chiaro che si trattava di un'opera d'importanza capitale per il divenire della musica moderna. In essa culmina e insieme si avvia al suo superamento quel periodo centrale della creatività di Schoenberg in cui, emancipate le dissonanze, superati o sospesi i tradizionali nessi tonali e dischiuso le spazio dei dodici suoni della scala cromatica temperata, il compositore s'inoltra sul terreno inesplorato in piena libertà attuando così i postulati irrazionali della poetica espressionista. Abolite le vecchie leggi costruttive, le forme sonore tendono a contrarsi aforisticamente o si costituiscono plasmandosi sopra un testo poetico come avviene, appunto nel caso del Pierrot Lunaire basato su «tre volte sette poesie» del poeta belga Albert Giraud tradotte in tedesco da Otto Erich Hartleben. La scelta di queste poesie, pur essendo stata spesso discussa, appare tuttavia assai significativa se si tiene presente che, accanto ad elementi riconducibili ad uri gusto un poco decadente tipico di certo Liberty e di un estetizzante Jugendstil, vi si affermano tendenze verso un costruttivismo razionale che devono avere trovato rispondenze nell'esigenza avvertita da Schoenberg di trovare nuovi mezzi di articolazione formale.

Tutte le poesie del Pierrot presentano un comune schema architettonico: dei tredici versi che ognuna include, il primo e il secondo si ripetono come settimo ed ottavo e il primo (settimo) torna ancora come tredicesimo in chiusura. I singoli brani vengono designati come «melodrammi», termine questo che viene inteso qui nel senso di «melologhi», cioè pezzi in cui una declamazione viene accompagnata musicalmente. L'innovazione di Schoenberg (attuata del resto già in alcuni passi dei Gurrelieder) consiste nel far seguire alla recitazione una precisa linea melodica senza farla sfociar tuttavia in canto vero e proprio. La «Sprechstimme», ossia la «voce parlante» viene accompagnata da cinque strumentisti che suonano rispettivamente un violino (sostituito a tratti da una viola), un violoncello, un flauto (anche ottavino), un clarinetto (alternato con un clarinetto basso) e il pianoforte. Però soltanto in sei di questi brani la voce che «parla», viene accompagnata dall'intero complesso strumentale: negli altri pezzi intervengono uno, due, tre o quattro strumenti in raggruppamenti diversi, creando così una notevole varietà timbrica. Il fulcro poetico di questi Melodrammi è la tragica esasperazione del romantico dissidio tra l'umana realtà interiore e il mondo circostante. Pierrot è l'uomo «al mondo perduto» che non si ritrova tra i fatti della vita, che vive nel regno delle sue allucinazioni e della sua disancorata fantasia sognando «beate lontananze» e «il vecchio profumo del tempo delle fiabe». Il particolare modo di «cantar parlando» (il contrario cioè dell'antico ideale del «recitar cantando») aumenta il carattere fantastico, irreale della musica. Le tre parti di sette brani ognuna nelle quali il lavoro si suddivide sono di carattere diverso: prevalentemente liriche la prima e la terza, drammatica la seconda. Nella prima parte il taglio formale è piuttosto libero e segue spesso la struttura strofica del testo poetico. Nella seconda e nella terza parte invece Schoenberg mostra di non contentarsi più di nessi puramente intuitivi e non giustificabili razionalmente, e costruisce dei brani come Parodia e La macchia lunare su di uno scheletro formato dai più complessi procedimenti canonici di stampo fiammingo. In altri brani, come La Notte, (configurata come una passacaglia) vengono anticipati virtualmente taluni aspetti della futura tecnica seriale.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 marzo 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 21 gennaio 1977


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Ultimo aggiornamento 8 maggio 2014