Cinque Pezzi per pianoforte, op. 23


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Sehr langsam
    Composizione: 9 luglio 1920
  2. Sehr rasch
    Composizione: 8 - 27 luglio 1920
  3. Langsam
    Composizione: 6 - 9 febbraio 1923
  4. Schwungvoll
    Composizione: 26 luglio 1920 - 13 febbraio 1923
  5. Walzer
    Composizione: 17 febbraio 1923
Organico: pianoforte
Composizione: 1920 - 1923
Edizione: Hansen, Copenaghen, 1923
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La variazione è il principio intorno al quale Arnold Schönberg elabora la tecnica della dodecafonia, primo esempio rigoroso della quale si trova appunto nell'ultimo dei 5 Klavierstücke op. 23, scritti fra il 1921 e il 1923. In modo meno definito, tuttavia, la variazione tematica è alla base anche degli altri quattro pezzi. Anzi, proprio perché usata in modo complesso e raffinato, ma senza seguire ancora lo spirito del "sistema" o la volontà di applicare la nozione astratta di un metodo, la variazione si presta ad arricchire l'inventiva del compositore molto più nei primi quattro pezzi dell'op. 23 che non nell'ultimo, nel quale la scrittura rivela maggiori preoccupazioni intellettuali e, in fondo, minore originalità. Senza ancora aver codificato la necessità di basare la composizione su una precisa serie di dodici suoni, in altre parole, lo Schönberg dell'op. 23 adopera ancora sequenze aperte, le quali si ripetono indefinitamente con sottilissime variazioni di ritmo, dinamica, timbro, rapporti armonici. Ogni elemento muta però ogni volta anche la sua funzione tematica, evitando così di agganciarsi alle forme tradizionali di un'organizzazione che si voleva scandita da simmetrie molto rigide nella disciplina dell'esposizione o della riesposizione dei soggetti principali.

II primo pezzo, Sehr langsam (Molto lento), presenta in questo senso una trama sonora già molto articolata e volutamente asimmetrica, tanto da suscitare l'impressione di un tono improvvisativo che si estende, peraltro, anche sugli altri brani dell'op. 23. Il secondo, Sehr rasch (Molto rapido), è un'animata proliferazione di aggregati sonori la cui matrice è rappresentata da una serie di dieci suoni che viene esposta in apertura: le continue metamorfosi cui il materiale è sottoposto riguardano qui anzitutto le relazioni armoniche e la dinamica, dunque il livello sonoro dei diversi passaggi.

Il principio della variazione ispira in modo più esplicito il terzo pezzo, Langsam (Lento), mentre il quarto, Schwungvoll (Con slancio) è caratterizzato da una scrittura contrappuntistica particolarmente fitta. L'ultimo brano è un Walzer che stravolge il senso tradizionale della danza ed è appunto il primo annuncio di composizione dodecafonica che Schönberg abbia reso pubblico. I primi esperimenti del suo metodo sono infatti da riconoscere in alcune parti della Suite per pianoforte op. 25, iniziata anch'essa nel 1921, ma terminata solo nel 1925.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Pressoché una «serie» di anni (dodici) trascorre dai 1911 al 1923 che registra la composizione dei Fünf Klavierstücke op. 23, nei quali Schoenberg introduce per la prima volta il procedimento dodecafonico. Si perviene, cioè, alla preavvertita riorganizzazione del suono in una nuova sintassi musicale.

Schoenberg stesso, in una lettera a Nicolas Slonimski (scritta da Hollywood il 2 giugno 1937; Slonimski, compositore, direttore d'orchestra e scrittore russo operava in America dal 1923) dava notizia di questa sua conquista tecnica: «II metodo per comporre con dodici note ha avuto diverse tappe preliminari. Il primo passo fu compiuto intorno al dicembre 1914 o all'inizio del 1915, quando schizzai una sinfonia, l'ultima parte della quale divenne più tardi Die Jacobsleiter, ma che non fu più continuata. Lo "scherzo" di questa sinfonia era basato su un tema formato di dodici note. Ma questo era soltanto uno dei temi. Ero ancora ben lontano dall'idea di usare un simile tema fondamentale come criterio unificatore per una intera composizione. Dopo questo, fui costantemente preoccupato dall'intento di basare la struttura della, mia musica "coscientemente" su una idea unificatrice, la quale non solo riproducesse tutte le altre idee, ma ne regolasse anche l'accompagnamento e le "armonie". Molti furono i tentativi per giungere a questa realizzazione; ma assai pcco fu completato o pubblicato. Come esempio di tali tentativi posso citare i Fünf Klavierstücke op. 23. Qui arrivai ad una tecnica che chiamavo, (per me stesso) "comporre con note", termine molto vago; ma per me significava qualcosa, e precisamente: in contrasto col modo ordinario di usare un tema, io lo usavo già alla maniera di un "seguito fondamentale di dodici suoni"».

All'op. 23, il Leibowitz, nel libro citato, dedica una analisi tanto più minuziosa, quanto più indugiante su una musica nella quale coscientemente si applica il metodo della Reihenkomposition (composizione seriale).

Nel Molto lento («Sehr langsam») risalta una iniziale scrittura a tre voci. Nelle prime tre battute è racchiusa la serie come nucleo germinante di tutto il pezzo. Gli intervalli tra i suoni si richiamano vicendevolmente in una impercettibile ansia di variazione intesa nel senso nuovo, già interpretato dall'Adorno quando (sempre nella Philosophie der neuen Musik) scriveva: «...La variazione, strumento della dinamica compositiva, diventa totale, mettendo così fuori servizio la dinamica, e il fenomeno musicale non si presenta più come un fatto di evoluzione. Il lavoro tematico diviene un semplice lavoro preliminare del compositore, e la variazione come tale non compare più: essa è tutto e nulla ad un tempo. Il procedimento variativo viene retrocesso nel materiale, e lo preforma prima che incominci la composizione propriamente detta».

All'ascolto, si avverte l'interno rigore dello svolgimento nel quale entrano in causa serie d'intervalli e non più la ripresa di un tema. «La musica - dirà ancora Adorno - diventa il risultato dei processi ai quali il materiale è stato sottoposto, ma che essa non permette più di distinguere...».

Il secondo pezzo, Molto mosso («Sehr rasch»), ha un piglio ruvido e aggressivo: una irruzione sgominante che a poco a poco abbandona il campo, rallentando la presa e ritornando a meditare sullo slancio originario, rallentandone i tempi.

Del terzo pezzo, Lento («Langsam»), il Leibowitz mette in risalto il breve inciso tematico iniziale che appare come un basso di Passacaglia, pressoché in ogni battuta. Ciò stabilisce anche l'unità del brano che, all'ascolto, può sembrare - diremmo - più "arbitrario" e libero dei pezzi dell'op. 11 e dell'op. 19 non così rigorosamente costruiti. Mutevolissime, in questo Lento, sono le indicazioni di tempo (tre quarti, nove ottavi, diciotto sedicesimi). Il pezzo, piuttosto ampio, presenta verso la fine due accordi nei quali - l'avvertimento è del Leibowitz - si trovano riuniti i dodici suoni della scala cromatica, per cui la Reihenkomposition è ormai estesa al totale cromatico.

Il quarto pezzo - Vigoroso («Schwungvoll») - presenta, nei confronti dei precedenti, una più accentuata spigolosità e un procedere contorto anch'esso caratterizzato da frequenti mutamenti dei tempi.

L'ultimo dei cinque pezzi dell'op. 23 ha per titolo: Walzer. In seguito, Schoenberg scriverà, ancora per il pianoforte, l'op. 25, una Suite in sei parti, i cui titoli spesso richiamano antiche danze: Preludio, Gavotta, Musetta, Intermezzo, Minuetto, Giga. Non è un caso che la prima danza prescelta da Schoenberg ad essere sottoposta alla Reihenkomposition, sia il Walzer.

In questo singolarissimo Walzer, Schoenberg attua la tecnica dei dodici suoni integralmente, cioè ricavando dalla serie tutta la struttura del brano.

Nelle prime quattro battute, la mano destra espone la serie dei dodici suoni: do diesis, la, sì, sol, la bemolle, fa diesis, la diesis, re, mi, mi bemolle, do, fa, mentre la mano sinistra «accompagna», riproponendo i dodici suoni in un ordine diverso. Il diverso ordinamento dei dodici suoni disponibili nel sistema temperato dà vita alla composizione nella quale non entrano più suoni «liberi».

Sull'uso della serie, l'Adorno nella citata Philosophie, dà ancora questo chiarimento, riferito - peraltro - proprio al Walzer in questione: «...Non si deve fraintendere la tecnica dodecafonica come una "tecnica di composizione", quale ad esempio quella dell'impressionismo: tutti i tentativi di sfruttarla come tale conducono all'assurdo. Essa è paragonabile più ad una disposizione dei colori sulla tavolozza che ad un vero e proprio procedimento pittorico; l'azione compositiva incomincia in verità soltanto quando la disposizione dei dodici suoni è pronta. Per questo, con la dodecafonia scrivere musica non diventa più facile, ma più difficile. Essa richiede che ogni pezzo, sia esso un tempo singolo o un intero lavoro in più tempi, venga derivato da una "figura, fondamentale" o "serie"... La serie non deve presentarsi solo in forma melodica, ma anche in forma armonica, ed ogni suono della composizione senza eccezione di sorta, ha il suo posto e il suo valore nella serie o in uno dei derivati: e ciò garantisce la "indifferenza" tra melodia e armonia... che il secondo suono della serie fondamentale del nostro Walzer, il la, debba comparire una sesta minore sopra o una terza maggiore sotto il do diesis, dipende solo dalle esigenze compositive. Anche la conformazione ritmica è fondamentalmente libera da vincoli, dall'inciso singolo fino alla grande forma. Queste regole non sono escogitate arbitrariamente, ma sono configurazioni della costrizione storica riflesse nel materiale, e al tempo stesso sono schemi di adattamento a questa necessità. La coscienza si assume il compito di purificare con tali regole la musica dai resti organici ormai estinti, e spietatamente esse continuano la lotta contro l'apparenza musicale...».

Erasmo Valente

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Dopo l'astrattismo dei pezzi op. 19 coi quali giunse all'estrema riduzione dell'immagine sonora, Schönberg iniziò il lento e faticoso processo di ricostruzione di una nuova sintassi musicale che culminò dieci anni dopo nell'ideazione della dodecafonia e nella rivalutazione delle forme tradizionali. Negli anni 1921-23 nascono appunto i Cinque pezzi per pianoforte op. 23 nei quali comincia a farsi strada sempre più consapevolmente la tecnica seriale che, a partire da una idea unificatrice, determina la struttura della musica, non solo riproducendo tutte le altre idee, ma anche regolandone l'accompagnamento e le «armonie», fino a giungere con l'ultimo pezzo a impiegare per la prima volta una serie dodecafonica come «forma fondamentale».

Il primo pezzo (Sehr langsam) espone nelle prime sei battute un tema tripartito, costituito dalla sovrapposizione di tre serie distinte di 21, 20 e 13 note: specie di invenzione a tre voci di cui quella mediana traspone all'inizio il motivo BACH, in una sorta di viatico augurale, mentre la terza voce al basso ne presenta contemporaneamente la regressione del rovescio. Così esposte, le serie si fanno quindi carico dell'articolazione formale del brano in cui è agevole riconoscere tre sezioni chiaramente distinte secondo lo schema ABA. Così nella sezione centrale (etwas langsamer) le prime sette note della serie, precedentemente esposte nella voce principale e in quella del basso, acquistano, poste l'una di seguito all'altra, carattere e funzione di «tema secondario», mentre nella sezione conclusiva le tre serie si ripresentano nuovamente sovrapposte ma in posizioni sempre diverse, acquisendo essa pertanto carattere di ripresa variata della prima. L'ultima battuta svolge infine la funzione di una coda, le tre serie esaurendosi nelle rispettive note iniziali (il la naturale alla mano sinistra nell'edizione Hansen è sicuramente un refuso e va perciò bemollizzato).

Il secondo pezzo (Sehr rasch) contiene nelle sue prime sei battute l'esposizione del tema principale (una serie orizzontale di nove note in un tumultuoso passaggio a tre riprese) e, nel punto culminante, la seconda idea nella piena sonorità del pianoforte. Una sorta di arpeggio sulle note della serie fondamentale funge da transizione conducendo a una fermata: un accordo a sei voci, composto delle prime tre note del tema principale e dell'inizio della seconda idea. Segue quindi una sorta di svolgimento di quest'ultima (etwas ruhiger im Ausdruck e langsamer beginnend) del tema principale a partire dalla prima nota dell'accompagnamento (do diesis), equivalente enarmonico dell'ultima della serie (re bemolle), in questo caso non riutilizzata. Quindi nuovamente la seconda idea contratta in pochi accordi e (etwas langsamer) la prima. Alle batt. 18-21 (allmählich langsamer werden) la serie fondamentale si ripresenta in tre esposizioni contemporanee (invertite le prime due e per retrogradazione dell'inversione la terza, nel registro grave). Le ultime due battute svolgono, analogamente all'ultima del primo pezzo, funzione di coda, non restando della serie di base che le prime quattro note suddivise fra due voci distinte (dolce, pianissimo) a chiusura del pezzo.

Il terzo (Langsam) comincia con un motivo di cinque note che suona al modo di un tema di fuga, come la «risposta» una quarta sotto sembra confermare. Questa semplice figura fondamentale si presenta cinque volte solo nelle prime due battute, tre volte tematicamente e due raggruppata in accordi, mentre subito, alla seconda nota, inizia la regressione del suo rovescio. Il motivo iniziale di cinque note genera così tutte le figure del pezzo, armoniche e melodiche, mediante continue inversioni e trasposizioni. Nel finale la figura fondamentale e la sua ripetizione «imitata», che insieme comprendono dieci delle dodici note della scala cromatica, si ripresentano (batt. 30) non nella originaria forma lineare, bensì raggruppate in due accordi consecutivi, per così dire, tonici, ciascuno di quattro note più una nota posticipata. Le due note così isolate formano una quinta giusta discendente do diesis (re bemolle) - fa diesis, alla quale fa riscontro, in rapporto di sensibile con questa, il bicordo di quinta do-sol che integra così le dieci note differenti dei due accordi a esaurimento del totale cromatico. Nella battuta successiva l'accordo corrispondente al soggetto della «fuga» e il suo «prolungamento» si ripetono tre volte in successione ravvicinata, mentre a batt. 33 lo stesso avviene per l'accordo corrispondente alla «risposta». Il tutto sul pedale della quinta do-sol che, congiuntamente a quella do diesis-fa diesis, si scioglie nella penultima battuta in una speculare figurazione lineare di sedicesimi che approda all'accordo «tonico» fondamentale tenuto fino all'ultima battuta, sotto il quale anche la quinta do diesis-fa diesis si verticalizza fra il bicordo do-sol e il suo rovescio armonico (sol-do), terminando così il brano a mo' di cadenza.

Diversamente ma forse non meno strutturato del precedente, il quarto pezzo (Schungvoll) prende avvio da tre grandi cellule melodiche armoniche e ritmiche, ciascuna a sua volta formata di più semplici elementi costitutivi, esposte nelle prime due battute. Continuamente trasformate, esse determinano tutto lo svolgimento del pezzo, secondo una tecnica in seguito molto sviluppata (una cui adozione magistrale si potrà trovare per esempio nella Prima sonata per pianoforte di Pierre Boulez). Lo sviluppo ha inizio con l'ultimo sedicesimo della seconda battuta, mentre una sorta di ripresa dell'esposizione è dato individuare, a mio parere, a batt. 20 secondo quarto (diversamente Erwin Stein l'indica a batt. 24), con relativo sviluppo a partire dal quarto sedicesimo al basso della battuta successiva. Il pezzo si conclude con una coda di due battute a 6/8 in cui è quasi la ripresa letterale delle prime due a 4/4.

Il quinto pezzo (Walzer) si basa su una serie completa di dodici suoni, impiegata però solo nella sua forma originale, senza inversioni né trasposizioni. Le prime quattro battute contengono nella melodia l'intera serie diritta articolata in tre motivi distinti, mentre nell'accompagnamento la stessa serie, perlopiù raggruppata in accordi, è esposta dal sesto al dodicesimo suono e dal primo al quinto, pervenendo così alla «equivalenza tematica dell'orizzontale e del verticale» (Steuermann). Così esposta, la serie si ripresenta continuamente nell'ordine originario con ingegnose variazioni ritmiche dinamiche e nella distribuzione fra le diverse voci in un tessuto tematico ritmico e armonico continuamente cangiante, generando figure e motivi sempre diversi. Il materiale così impiegato si presta a simmetrie interne facilmente intelliggibili. Si riconosceranno, fra le altre, la corrispondenza delle batt. 15-28 con le batt. 86-99 e delle batt. 35-36 con le batt. 68-69. Quanto all'articolazione formale del pezzo, una volta esposta la serie, ne segue il relativo svolgimento a mo' di primo gruppo tematico, che ha termine a batt. 28 su un fa naturale ribattuto. Gli succede il «secondo gruppo», in cui la serie dapprima riaffiora, forte, cantabile, con un vago carattere di Ländler, quindi in contrappunto a quattro voci in quattro esposizioni consecutive, l'ultima delle quali (batt. 56-57) con carattere di stretto. Tre battute di transizione portano all'idea conclusiva di questo «secondo gruppo tematico» in cui la serie (sempre la medesima) trascolora in morbidi accordi arpeggiati, per quindi approdare a una fermata. La ripresa (Molto pesante) giunge a batt. 74 ss. in cui esposizione della serie e relativo svolgimento sono distinti da una diversa indicazione agogica (Langsamer nel caso di quest'ultimo). La conclusione di questa sezione giunge sul medesimo fa naturale ribattuto, che anziché introdurre come in precedenza al «secondo gruppo tematico», conduce a una terza esposizione della serie quindi alla coda, nella quale la serie viene presentata nella sua forma retrograda.

Un tremolo di vago sapore nostalgico e pregno forse di una sottile ironia conduce l'eccentrico valzer alla conclusione che giunge su quattro accordi in cui la serie si condensa, restando incompleta nell'ultima battuta.

Andrea Schenardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 29 febbraio 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 28 gennaio 1972
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 59 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 21 maggio 2017