Sei Piccoli pezzi per pianoforte, op. 19


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Leicht, zart
  2. Langsam
  3. Sehr langsam Viertel
  4. Rasch aber leicht
  5. Etwas rasch
  6. Sehr langsam
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 19 febbraio - 17 giugno 1911
Prima esecuzione: Berlino, Harmonium-Saal, 4 febbraio 1912
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1911
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dopo l'incandescente esplosione creativa del 1909 (l'anno, fra l'altro, dei Tre pezzi op. 11 per pianoforte, dei Cinque Pezzi op. 16 per orchestra e di Erwartung) vi fu un forte rallentamento nell'attività compositiva di Schönberg: nel 1910 cominciò a lavorare a un nuovo atto unico, Die glücktiche Hand (che avrebbe portato a termine solo nel 1913) e iniziò un ciclo di piccoli pezzi per orchestra, che rimasero incompiuti e inediti e che costituiscono, un anno prima dell'op. 19, il punto di partenza della sua ricerca nell'ambito di forme estremamente brevi e concentrate. In quella direzione Webern si era già avviato con alcuni dei pezzi op. 5 e 6 del 1909 e non si può escludere che abbia esercitato una qualche influenza sul maestro. Ma per Webern la ricerca nell'ambito di una concentrazione estrema, fino alle soglie dell'ammutolimento, fu l'aspetto determinante della sua musica negli anni 1909-13 (con pezzi da camera e per orchestra, mai per pianoforte solo), mentre Schönberg subito dopo l'op. 19 tentò altre strade, affrontando subito il problema di recuperare una estensione nel tempo. Viene in mente una testimonianza di Alma Mahler, che nei diari raccolti in Mein Leben, in una delle pagine riguardanti il 1915, annotò: «Webern scriveva poche, ma originali composizioni. Diventava sempre più radicale e una volta Schönberg, parlando con Werfel e con me, si lamentò di quanto subiva il pericoloso influsso di Webern e di come avesse bisogno di tutta la sua forza per sottrarvisi». Se dobbiamo credere ad Alma (che potrebbe essere imprecisa) è lecito supporre che Schönberg intendesse sottrarsi ad una "pericolosa" influenza weberniana nel momento della radicale brevità e concentrazione.

Nei Sechs kleine Klavierstücke op. 19 (1911) si attua nel modo più radicale, nell'opera di Schönberg, la tensione verso una assoluta interiorizzazione: l'invenzione procede per brevi illuminazioni, improvvise interiezioni e il timbro "monocromo" del pianoforte sembra rivolto ad una raggelata astrazione (dopo la varietà timbrica degli incompiuti pezzi per orchestra da camera del 1910). Rispetto alla contemporanea ricerca di Webern nell'ambito della massima concentrazione la scelta del pianoforte è un significativo elemento di distanza; un'altra differenza decisiva riguarda la tendenza di Schönberg a procedere per immediate associazioni, quasi in una forma "aperta", che concede poco spazio alla intensiva organizzazione weberniana, alla elaborazione di motivi o nuclei intervallari, sebbene anche questo aspetto non sia del tutto assente nell'op. 19.

Nel primo pezzo, il più lungo, una pagina di diafana trasparenza, quasi tutta sussurrata in pianissimo, questa immediatezza, questa rinuncia ad elementi unificatori è particolarmente evidente nel succedersi "informale" di tre diverse sezioni. Il secondo pezzo si fonda invece sull'intervallo di terza. Lo percorre la ripetizione ostinata di una terza maggiore, scandita irregolarmente, così che le pause creano una tensione tra suono e silenzio: essa viene interrotta da gesti melodici, ne esalta per contrasto la violenta tensione espressiva e sembra riassorbirli nella allucinata fissità ripetitiva. Nel terzo pezzo le prime quattro battute contrappongono densi accordi "forte" alla mano destra ad un oscuro disegno melodico in ottave eseguito "pianissimo" dalla mano sinistra; le cinque battute successive stabiliscono con le precedenti un netto contrasto. Il quarto pezzo si apre con gesti leggeri, quasi una gentile reminiscenza, ma si conclude bruscamente con un violento martellato (trasposizione del motivo iniziale); c'è qualche affinità tra il quarto e il quinto pezzo, che appare anch'esso all'inizio memore di una tenera cantabilità (e sembra quasi evocare un valzer), ma presenta alla fine una intensificazione unita a un rallentando. Nell'ultimo pezzo si tocca il limite estremo di smaterializzazione del linguaggio sonoro. Il timbro scarnificato, gelido, deriva dalla contrapposizione di piani sonori quasi immobili, la cui intensità va dal pianissimo al piano: si sfiorano le soglie del silenzio, quasi rimandando ad una dimensione al di là della percezione acustica. Queste nove battute furono scritte come omaggio a Mahler (morto il 18 maggio 1911; il manoscritto porta la data 17 giugno): Heinz-Klaus Metzger propone di leggerle come la negazione di una marcia funebre dove i tempi forti sono annullati. Gli altri pezzi dell'op. 19 sono del febbraio 1911. La prima esecuzione ebbe luogo a Berlino il 4 febbraio 1912 con Louis Closson al pianoforte, in un concerto di musiche schönberghiane (fra cui la trascrizione di Webern dei Pezzi per orchestra op. 16 per due pianoforti a 8 mani).

Paolo Petazzi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

E' a partire dal 1906 che Arnold Schönberg volta definitivamente le spalle alle certezze del sistema tonale, secondo quel processo di "emancipazione della dissonanza" che legittimava l'abolizione di uno stabile punto di riferimento tonale; esito personalissimo di quei rivolgimenti che attraversavano tutte le avanguardie europee. Come lo stesso autore ebbe a scrivere, «mi aspettavo che tutti i problemi che mi avevano tormentato come giovane compositore fossero risolti in modo da indicare una via per uscire dalla confusione in cui noi giovani eravamo stati coinvolti con le innovazioni armoniche, formali, strumentali ed emotive di Richard Strauss» (Come si resta soli, in Analisi e pratica musicale). L"'emancipazione della dissonanza" è in realtà solo una delle componenti che costituiscono il nuovo stile di Schönberg: l'abbandono delle vaste articolazioni in favore del miniaturismo, della grande orchestra sinfonica in favore di aggregazioni cameristiche (i mastodontici Gurrelieder, nonostante che l'orchestrazione sia in via di definizione, appartengono ormai al passato), nonché il maggior peso dell'elaborazione tematica.

Particolarmente significativo è questo percorso nella produzione per pianoforte di quegli anni, che si avvale di una scrittura pianistica asciutta e scarna, priva di ogni retorica densità, del tutto interiorizzata. Proprio la qualità interiore di questa scrittura sembra riallacciarsi alle conquiste espressive dell'estremo pianismo di Brahms. E tuttavia il significato più profondo di tali pezzi è quello di far mancare a questa interiorità una base, di eliminare le certezze in favore della crisi. In questa inesausta volontà di sperimentazione i Sei piccoli pezzi op. 19, del 1911, costituiscono un approdo peculiare. In questo caso Schönberg porta al limite estremo la tendenza a miniaturizzare la forma; i Sei piccoli pezzi sono davvero degli aforismi, il più lungo dei quali, il primo, non raggiunge il minuto e mezzo di durata, mentre il più breve, il quarto, non raggiunge i 30 secondi. Sembra logica l'associazione con la contemporanea ricerca di Anton Webern, tesa a potenziare al massimo la tendenza miniaturistica. Se, tuttavia, Schönberg lascerà presto al suo allievo questa scelta, anche i Sechs Klavierstìicke op. 19 sono peraltro personalissimi e lontani da Webern, perché mancano di una costruzione basata su un controllo rigoroso del materiale, e seguono invece una logica paratattica, associativa, davvero visionaria. Il primo si svolge in un sussurrato pianissimo; il secondo si basa su una ripetizione incantatoria; il terzo su pronunciati contrasti; il quarto e il quinto si evolvono da situazioni cantabili verso altre regioni. L'ultimo è forse un omaggio alla memoria di Gustav Mahler, scomparso poche settimane prima, e tende alla smaterializzazione del suono, al silenzio.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

I Sei piccoli pezzi per pianoforte op. 19 (1911) cadono in un momento critico della parabola creativa di Arnold Schönberg. Essi rappresentano il limite estremo del periodo atonale, di libera emancipazione della dissonanza, al di là del quale l'alternativa possibile era data dal definitivo ammutolimento o dalla riorganizzazione della musica su basi completamente rinnovate. Per la loro dimensione aforistica, questi pezzi richiedono, anche solo per essere percepiti nel loro semplice dispiegarsi, un tempo psicologico molto più lungo di quanto non sia la loro durata che complessivamente non supera i cinque minuti. Il primo (Leicht, zart), il più lungo della serie, si snoda lungo percorsi imprevedibili di libera ispirazione, cominciando sommessamente, ppp, e altrettanto sommessamente spegnendosi in un punto coronato che prolunga il suono oltre l'ultima divisione di battuta. Il pezzo raggiunge il suo apice intensivo al termine della prima sezione in un tessuto melodico e armonico più teso e complesso, e tocca nella sezione centrale, ma solo per un momento, un forte che subito si rapprende in un pianissimo. Per il resto le indicazioni sparse nel testo sono tutte tese a una sonorità essenzialmente intima con un ritegno trattenuto e una concentrazione esemplare. Il secondo pezzo (Langsam) è l'elaborazione di un ostinato, un bicordo di terza maggiore scandito irregolarmente, pianissimo, per tutta la lunghezza del brano in un movimento lento e uniforme in quattro quarti, tranne che in un punto in cui, dopo che una sincope ne aveva già spostato il peso metrico sortendo un effetto di sottile inquietudine, si arresta per poi riprendere l'inesorabile pulsazione fino a indugiare, un poco ritenuto, estinguendosi sotto un accordo coronato nell'acuto. Il terzo pezzo (Sehr langsam) si articola in due sezioni contrastanti, nella prima delle quali (prime quattro battute) la mano destra suona sempre forte e la sinistra pianissimo, i piani sonori ponendosi in contrasto fra loro, mentre nella seconda, svolta a quattro e a cinque voci in tranquille crome e semiminime, la musica decresce dal piano al pianissimo. Il pezzo si chiude in una dinamica ridottissima entro la quale, in tanta essenzialità di gesti, la semplice insistenza su un mi bemolle si carica di una formidabile pregnanza mnestica. Il quarto pezzo (Rasch, aber leicht) è una sorta di recitativo in miniatura che i suoi due temi esposti lungo le prime nove battute condensa nelle ultime quattro in un violento martellato e in una energica spezzatura ritmica. Il quinto (Etwas rasch) si snoda fluidamente lungo un'unica linea melodica interrotta appena da brevi respiri, tutta contenuta nel registro mediano dello strumento ed eseguita sottovoce, in modo delicato ma pieno. Solo la conclusione suona inizialmente aspra in un forte svettante, per poi dileguarsi (poco a poco ritenuto - molto ritenuto) in un ineffabile pianissimo. L'ultimo pezzo (Sehr langsam) è il più straordinario. Con esso il grido originario espressionista sembra congelarsi in una trama sonora di diafana consistenza, giocata sulla sovrapposizione di due accordi con effetto di campana funebre e sulle interne riverberazioni di motivi minimi. Alla terz'ultima misura un'esile, essenziale linea melodica ripiegata su se stessa suona con espressione dolcissima, in una irreale sospensione del moto accordale. Schönberg scrisse questo pezzo poco dopo la morte di Gustav Mahler che fu per lui un protettore benevolo e un amico fedele: l'indicazione tutta mahleriana wie ein Hauch (come un soffio) inscritta nell'ultima battuta di questo pezzo che svanisce in un impalpabile pppp, tradisce evidentemente l'intenzione dell'omaggio postumo.

Andrea Schenardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 26 aprile 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 11 marzo 1999
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 59 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 21 maggio 2017