Cinque Pezzi per orchestra, op. 16


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Vorgefühle - Sehr rasch
    Organico: 2 ottavini, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 4 tromboni, basso tuba, timpani, xilofono, tam-tam, grancassa, arpa, celesta, archi
    Composizione: 9 giugno 1909
  2. Vergangenes - Mäßige Viertel
    Organico: 2 ottavini, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 4 tromboni, basso tuba, xilofono, piatti, triangolo, arpa, celesta, archi
    Composizione: 15 giugno 1909
  3. Farben - Mäßige Viertel
    Organico: 2 ottavini, 2 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo,2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 4 tromboni, basso tuba, arpa, celesta, archi
    Composizione: 1 luglio 1909
  4. Peripetie - Sehr rasch
    Organico: ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 6 corni, 3 trombe, 4 tromboni, basso tuba, xilofono, piatti, tam-tam, grancassa, archi
    Composizione: 18 luglio 1909
  5. Das obligate Rezitativ - Bewegte Achtel
    Organico: ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 4 tromboni, basso tuba, arpa, celesta, archi
    Composizione: 11 agosto 1909
Composizione: Vienna, giugno - agosto 1909 (revisione 1922 e 1949)
Prima esecuzione: Londra, Queen's Hall, 3 settembre 1912
Edizione: C. F. Peters, Lipsia, 1912
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Accanto a quello di Busoni, l'altro grande anniversario che cade nell'anno in corso, della nascita questa volta e centenario, è quello legato al nome di Arnold Schönberg. Schönberg nacque infatti a Vienna il 13 settembre 1874, e morì all'età di settantasette anni a Los Angeles, dove si era rifugiato fin dal 1932 con l'ascesa al potere del partito nazista, il 13 luglio 1951, lasciando al mondo musicale contemporaneo un'eredità pari alla incalcolabile grandezza della sua opera di teorico, critico, didatta e naturalmente compositore. L'importanza di Schönberg nell'evoluzione della musica occidentale, testimoniata durante la sua vita dall'accanimento con il quale egli fu esaltato e odiato contemporaneamente, è di un rilievo tale, da costituire la via fondamentale, per confluenza o per differenziazione, che traccia il cammino della storia della musica del secolo XX, nel doppio aspetto di radicale svolgimento delle premesse poste nell'ultima parte dell'Ottocento e di cosciente superamento linguistico e formale verso un'autosufficiente sistemazione dei principi compositivi su nuove basi creative.

È noto che la produzione di Schönberg può essere suddivisa in due grandi periodi, discriminati dall'indirizzo che la sua ricerca sul problema del linguaggio musicale assumeva incarnandosi in diverse forme. Da questo punto di vista, il primo periodo comprende la fase giovanile, in cui il compositore austriaco subì l'influenza di Wagner, Brahms e Mahler, riallacciandosi alla tradizione post-romantica che già aveva portato sulle soglie dell'esaurimento e della dissoluzione l'edificio della tonalità, con tutto ciò che in ambito compositivo e costruttivo essa aveva significato nella musica classico-romanica.

Esso comprende altresì molti anni della maturità di Schönberg, caratterizzati da un crescente intervento nel campo del sistema tonale, teso in un primo momento ad allargarne gli spazi dilatandone i nessi e i rapporti, e successivamente a ridurli spezzando, in una sorta di concentrazione formale, i centri focali che ne costituivano l'impalcatura, fino alla completa estinzione finale di ogni minimo segno.

Questo processo, in direzione di ciò che si è voluto indicare come «atonalità» o «tonalità sospesa», o ancora, secondo il termine usato da Schönberg, «pantonalità», si manifesta in successivi stadi in opere dalla diversa fisionomia e dai caratteri determinati, e abbraccia un arco di tempo che va dai Lieder op. 1 (1898) al Pierrot Lunaire op. 21 (1913) e ai Lieder op. 22 (1913-16), fino cioè allo scoppio della guerra mondiale che segnò una parentesi di inattività piuttosto lunga nella vita di Schönberg. Il culmine di questo primo periodo può essere additato proprio in quell'anno 1912 che vide, insieme con la nascita dell'opera forse più nota di Schònberg, la fondazione del gruppo del «Cavaliere azzurro» (Der blaue Reiter), nel quale i postulati dell'espressionismo, nei suoi vari ambiti letterario, figurativo e musicale, si costituivano come forza trainante dell'avanguardia artistica contemporanea.

A partire dalle tre opere composte fra il 1921 e il 1923 (i Cinque pezzi per pianoforte op. 23, la Serenata op. 24, la Suite per pianoforte op. 25), si fa iniziare il periodo cosiddetto «dodecafonico», dal metodo di composizione da Schönberg teorizzato e messo in atto. L'esigenza di una riorganizzazione dei mezzi formali della costruzione musicale, in grado di fornire al livello in cui la musica si trovava un metodo compositivo sottratto al principio della pura e incontrollata espressione, si esplica nella necessità, storica e linguistica ad un tempo, della unificazione nel nuovo «metodo per comporre mediante 12 suoni che non stanno in relazione che fra loro», senza che questo significhi una rinuncia alla libertà e alla spontaneità della creazione artistica. Osservava infatti Schönberg: «Quando compongo mi sforzo di dimenticare tutte le teorie e continuo a comporre soltanto dopo aver liberato la mia mente da esse. Mi pare importante ammonire i miei amici contro l'ortodossia. Comporre con i dodici suoni non significa affatto, come volgarmente si crede, prescriversi un metodo esclusivo. Si tratta prima di tutto di un metodo che chiede ordine e organizzazione, il cui risultato principale mira ad essere la comprensibilità».

I Cinque pezzi per orchestra op. 16 appartengono al momento più acuto dell'esperienza atonale di Schönberg; si potrebbe anzi aggiungere che essi, insieme con i Tre pezzi per pianoforte op. 11 (1908) e i Sei piccoli pezzi per pianoforte op. 19 (1911), formano un trittico altamente esemplare della fase più drammatica della ricerca schönberghiana, quella in cui allo scandaglio fino alle radici dell'espressione musicale si accompagna una partecipazione emotiva di fortissima intensità. Composta nel 1909, l'opera 16 è formata da cinque pezzi che si susseguono recando ciascuno un titolo che ne caratterizza l'ambito di svolgimento. Essi sono: I. Vorgefühle (Presentimenti); II, Vergangenes (Cose passate); III. Farben (Colori); IV. Peripetie (Peripezia); V. Das obligate Rezitativ (Il recitativo obbligato). Occorre subito rilevare che i titoli che contraddistinguono i singoli pezzi furono aggiunti solo in un secondo tempo (essi compaiono comunque nell'edizione Peters del 1922, riveduta da Schönberg), quando, nell'idea compositiva dell'Autore, non poteva sussistere più alcun fraintendimento del loro significato essenziale, di essere cioè non una cifratura programmatica o descrittiva o impressionistica, bensì un richiamo a quelle intenzioni compositive che si legavano strettamente a interiori stati d'animo e a percezioni sensibili verso l'espressione delle quali il musicista indirizzava la sua ricerca.

Dal punto di vista armonico, la scrittura schönberghiana mira ad impossessarsi del totale cromatico senza più inquadrarlo nelle leggi delle reciproche relazioni proprie del sistema tonale, pervenendo alla completa abolizione delle differenze fra consonanza e dissonanza e alla acquisizione di uno spazio «pantonale», in cui alla distinzione fra modo maggiore e modo minore si sostituisce una illimitata possibilità di rapporti e di successioni. Boulez, il più convinto sostenitore dello Schönberg pre-dodecafonico, ha scritto a questo proposito: «La scrittura è di una grande complessità, non tanto quando scrive per uno strumento solista, quanto per formazioni da camera; il contrappunto, liberato dalle costrizioni tonali, può svilupparsi con una ricchezza barocca che la musica romantica non aveva mai raggiunto, essendo permessa qualsiasi relazione, al di fuori di quelle tonali; come dire, cioè, quanto sia ricco questo universo e nello stesso tempo quanto anarchico. L'unica preoccupazione di Schönberg fu quella di mantenere la permanenza di relazioni cromatiche, il che però non manca di influire sulle diverse linee melodiche considerate fra loro e sulla costruzione armonica degli accordi dove, poiché nessuna nota viene raddoppiata, si forma una accumulazione di intervalli divergenti. Si può d'altronde affermare che questo ipercromatismo è in relazione con il temperamento drammatico ed espressionista di Schönberg: i grandi intervalli, le ‘dissonanze’ che colpirono talmente i suoi contemporanei, si integrano perfettamente a un contesto intellettuale e letterario che ne rende pieno conto; eppure, musicalmente parlando, non si giustificano certo meno: la nozione di consonanza e di dissonanza, come veniva intesa dalla tradizione classica, è diventata caduca; si conservano nondimeno delle antinomie fra tensione e distensione, ma con altri mezzi e altre funzioni. La tensione verrà, per esempio, dal valore dell'intervallo, dalla qualità di questo intervallo, più o meno 'anarcoide', dall'accumulazione più o meno densa di intervalli anarchici, o ancora dalla mescolanza e dal dosaggio di intervalli forti e intervalli deboli, poiché questa nozione di forte e di debole si riallaccia alla complessità variabile dei loro rapporti».

Rispetto ai lavori per pianoforte a cui ci siamo riferiti, l'opera 16 si differenzia per la specifica consistenza che assume la sua destinazione e un organico come quello della grande orchestra sinfonica, usata secondo una serie di procedimenti che ne chiariscono la portata veramente storica, in due diverse direzioni: quella della dinamica ritmica e quella della ricerca timbrica. Ancora Boulez vi riconosce «la preoccupazione nel trattare la grande orchestra quasi come una orchestra da camera ingrandita. Contrariamente alla scrittura debussyana, che tratta l'orchestra 'acusticamente', la scrittura di Schönberg è destinata a un insieme di solisti, utilizza i gruppi dell'orchestra mediante grandi insiemi omogenei, e in un certo senso ha la funzione di strumento ampliato». Se aggiungiamo a queste una ulteriore caratteristica, che contraddistingue ciascuno dei cinque pezzi, di essere cioè realizzati in una sorta di concentrazione aforistica, in cui la condensazione dei rilievi formali si unisce a una estrema evidenza di ogni singolo particolare, in se stesso autosufficiente e necessario, e, per converso, legato a una tensione spirituale che colpisce come una improvvisa illuminazione, si avrà tutt'intera la percezione del cammino percorso da Schönberg verso l'adeguamento della forma musicale alla necessità interiore, eminentemente «espressiva», che ne è la sorgente primigenia.

Il primo pezzo (Presentimenti), molto rapido (Sehr rasch), è organizzato secondo un rigoroso procedimento contrappuntistico, in cui le varie sezioni dell'orchestra si alternano con un'ansia dinamica che porta a squarci di laceranti contrapposizioni sonore in un crescendo tutto interiore, culminante in un fortissimo di straordinaria intensità. Anche se il tematismo non è qui ancora abbandonato del tutto, esso non ha più una funzione di guida nello svolgimento del discorso musicale, e si presenta spezzettato, privo di simmetria e di proporzione nel suo continuo negarsi come elemento dotato di una vita autonoma: anzi, esso si identifica con la dinamica degli intervalli, dalla gamma estesissima che parte dal semitono cromatico fino a salti di notevole ampiezza. D'altra parte, la categoria della «asimmetria» è l'asse portante di tutta la composizione: essa non va però intesa come resa incondizionata al caos o all'improvvisazione, bensì come ordine ribaltato e cambiato di segno, secondo uno scavo nelle leggi più intime del materiale sonoro che a sua volta prende l'avvio da una mutata disposizione spirituale di fronte all'esigenza della creazione formalmente organizzata. Ed in effetti tutto nell'opera di Schönberg obbedisce a una logica stringente, seguendo la quale ogni peso esteriore o scoria superflua viene abbandonata e fagocitata nel superiore ideale a cui l'opera, come un tutto e come una parte del tutto, deve servire. Con il secondo pezzo (Cose passate), più moderato e quasi adagio, l'interesse di Schönberg si proietta sulla ricerca timbrica, che nell'andamento lirico e meditativo del movimento ha modo di realizzarsi nei settori degli archi e dei legni, oltre che nella presenza fortemente rilevata della celesta. Ma è soprattutto in Colori, il terzo pezzo in tempo moderato, che l'individuazione timbrica raggiunge il livello più alto di emozione sonora in virtù della conquista di un principio costruttivo nuovo, la Klangfarbenmelodie («melodia di timbri»).

L'uso di questa tecnica nuova, che poi Schönberg avrebbe analizzato particolareggiatamente nel suo Trattato d'armonia (1911), è cosciente non soltanto nella prassi compositiva di questo pezzo, ma anche nelle raccomandazioni al direttore d'orchestra che si trovano in calce alla pagina: «Non è compito del direttore mettere in risalto singole voci che sembrino (tematicamente) importanti, o attenuare funzioni di suoni che appaiano poco equilibrati. Dove la voce ha da risaltare più delle altre è strumentata corrispondentemente e i suoni non devono essere attenuati. È invece suo compito vigilare affinché ogni strumento suoni esattamente secondo la prescritta gradazione di colorito: esattamente (cioè soggettivamente) in modo corrispondente al suo strumento e non (oggettivamente) subordinandosi alla sonorià dell'insieme». E ancora: «Gli accordi devono mutare con tanta dolcezza, da non far avvertire alcuno stacco quando entrano gli strumenti, di modo che il mutamento risulti solo per effetto del nuovo colore strumentale». La rivoluzionaria novità di Colori, se si pensa all'anno in cui fu scritto, è testimoniata dalla impossibilità di dare una completa traduzione sonora della sua concezione musicale (a questo proposito, si ricordi che Mahler si disse una volta incapace di leggere la partitura), tanto essa si libra verso un ideale sonoro sconosciuto quanto perfetto. Ma un discorso completamente a parte meriterebbe la strumentazione di tutta quanta l'opera 16, in cui Schönberg lavorò a diversi livelli: da quello della cura degli effetti timbrici, ottenuta con una ricerca che è insieme tecnica ed espressiva (si pensi per esempio all'accordo che chiude il primo pezzo, in cui Schönberg prescrive che i suoni emessi dai tromboni con sordina e dal basso tuba siano «frullati»), alla individualizzazione non soltanto delle diverse sezioni dell'orchestra, ma anche di ogni singolo esecutore, come dimostrano le frequenti suddivisioni di parti che essi hanno nel totale del complesso orchestrale.

Il quarto pezzo (Peripezia), molto rapido (Sehr ranch), è di una brevità epigrammatica, e costituisce, con la sua irruenza inarrestabile e folgorante, un impressionante contraltare, sul versante ritmico anziché timbrico, di quello che lo precede. Infine, il quinto pezzo (Il recitativo obbligato), in tempo mosso, esplica una notevole ricchezza polifonica attraverso un «tessuto melodico rinnovantesi continuamente in una atmosfera di spettrali sonorità» (Rognoni), ed ha funzioni riassuntive, anche se getta un solido ponte verso il futuro della ricerca schönberghiana. Per la prima volta, infatti, viene introdotto l'uso di indicare espressamente con un particolare segno le «voci principali» (Hauptstimmen), che sono il punto di riferimento necessario per districarsi nel fitto intrico della partitura. Inoltre, la nozione di colore si adatta qui, come dice il titolo, appunto al recitativo, significando che «i diversi periodi di una frase vedranno rinnovarsi la loro strumentazione» (Boulez).

Complessivamente, l'opera 16 è una delle composizioni più importanti di Schönberg e dell'intera produzione musicale del secolo XX; anzi, se questo può servire a spiegare qualcosa, se ne può parlare come di un vero e proprio capolavoro. La sua intrinseca difficoltà, comunque, rimane ancora oggi notevole, ed è tanto maggiore in quanto non si tratta più di un problema di orientamento o di comprensione spicciola, ma di approfondimento che richiede una coscienza analitica e una partecipazione emotiva ambedue intense. Un critico berlinese di indubbia capacità e apertura alla musica cosiddetta moderna scrisse dopo la prima esecuzione dell'opera, avvenuta a Londra il 3 settembre 1912: «Che visioni spaventose suggeriscono questi suoni! Che incubi evocano! E niente, ahimè niente, vi è di gioia e di luce, di quel che fa la vita degna di essere vissuta! Poveri i nostri posteri, se questo cupo e deprimente Schönberg dovesse apparir loro come l'essenza del sentire del nostro tempo!»; ma a queste parole, che non fanno altro che testimoniare la grandezza della coscienza indagatrice di Schönberg, necessaria perché vera, si oppongono i termini in cui il grande musicista viennese intendeva la sua opera: «Vi è un solo modo di rifarsi direttamente al passato, alla tradizione: quello di ricominciare tutto da capo, come se tutto ciò che ci ha preceduto fosse sbagliato; di rimettersi ancora una volta in contatto con l'essenza delle cose, anziché limitarsi a sviluppare la tecnica elaborativa di un materiale preesistente». Un imperativo categorico perseguito con sacrifici incalcolabili, ma attingendo, spesso anche impietosamente, alla verità dell'essenza delle cose.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Schoenbcrg pubblicò i suoi Cinque pezzi per orchestra op. 16 nel 1909 e ne curò una seconda versione nel 1949 riportando l'organico orchestrale, in un primo tempo più grande del normale, ai limiti della tradizionale orchestra sinfonica. Una decisione che probabilmente va al di là di una semplice operazione di tecnica strumentale; e non perché, a parte gli aggiustamenti di cui si è detto, Schoenberg abbia in qualche modo «riscritto» questa composizione ma diremmo come riprova della importanza che lo stesso Autore dava a questi Pezzi nell'ambito della sua produzione, un'importanza largamente scontata del resto da parte della critica schoenberghiana. In questi Pezzi infatti, come scrive il Rognoni nel suo studio sulla Scuola musicale di Vienna, «l'ambientazione espressiva e il linguaggio atonale che la esprime sono attuati al più alto grado di intensità. Melodia, armonia e ritmo sono sentiti in un unico spazio polifonico nel quale i dodici suoni della scala cromatica appaiono liberati, indipendenti. Schoenberg è al capolavoro, ad una delle opere più dense di emotività sonora che siano mai state scritte». E si è detto tutto, compresa la posizione dei Cinque pezzi per orchestra come di un brano posto cronologicamente alla immediata vigilia della «scoperta» del metodo di comporre con dodici note ma anche di una composizione nella quale per la prima volta il Maestro viennese applicò altre sue fondamentali scoperte linguistiche a cominciare da quella «klagenfarben melodie» (melodia di timbri) su cui è basato anzi l'intero terzo pezzo che ha come sottotitolo appunto «farben» (colori). Quella melodia che come scrive lo stesso Schoenberg proviene da una successione di accordi che «deve avvenire così inavvertitamente che non si possa rilevare alcuna accentuazione nelle entrate degli strumenti in modo da avvertire il cambiamento solo della diversità del timbro».

Ultimo necessario avvertimento riguarda i titoli che il compositore appose ad ogni brano; titoli che non vanno letti in chiave di poema sinfonico o peggio «impressionista» ma solo come riferimenti a «stati d'animo», a percezioni sensibili «interiori» che si rifanno alla kandiskiana poetica della «necessità interiore». È in questa direzione che vanno lette le laceranti contrapposizioni di Presentimenti, la lirica emotività di Cose passate, il trascolorare dei timbri del terzo brano, l'irruenza di Peripezia e la spettrale polifonia del Recitativo obbligato.

Gianfilippo de' Rossi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

I «Cinque pezzi per orchestra, op. 16» di Arnold Schönberg costituiscono, con la perentorietà che è tipica dei capolavori, uno dei migliori risultati della grande stagione della musica espressionista. Composto nel 1909, il lavoro fa seguito ad alcune fondamentali esperienze già compiute da Schönberg, nel senso dell'abbandono dei legami della tonalità, con l'ultimo tempo del «Quartetto n. 2, op. 10» e con i «Tre pezzi per pianoforte, op. 11» (1908), sviluppandone con grande coerenza i risultati.

Siamo infatti nel fondamentale momento di passaggio fra quelli che sono stati definiti il «primo» e il «secondo» periodo dell'arte schönberghiana, quando la frantumazione del cromatismo giunta al suo estremo limite con la «Sinfonia da camera, op. 9» deve inevitabilmente sfociare nella cosiddetta «rottura tonale». Inizia così il periodo «atonale» che, più propriamente, Schönberg definisce «pantonaie» affermando che questo vuol significare «la relazione reciproca di tutti i suoni, senza far caso agli incontri occasionali, assicurata dalla circostanza di un'origine comune». Siamo naturalmente nel periodo espressionista ed ogni innovazione formale viene concepita unicamente in funzione del contenuto espressivo, della visione «interiore» della realtà; come scriveva Thomas von Hartmann in «Der blaue Reiter»: «Leggi esterne non esistono. Tutto ciò contro cui la voce interna non s'impenna è permesso... Così, nell'arte in generale e nella musica in particolare, ogni mezzo sorto dalla necessità interna è giusto. Il compositore vuol dare espressione a ciò che, nel momento, è la volontà della sua intuizione interna. E può allora facilmente accadere che abbia bisogno assoluto di una combinazione di suoni che la teoria odierna chiamerebbe cacofonia. È chiaro che questo giudizio non può, in tal caso, essere considerato un ostacolo; anzi l'artista è costretto a servirsi di questa combinazione, perché il suo impiego è stato determinato dalla sua voce interna: l'essenza della bellezza di un'opera d'arte è la corrispondenza dei mezzi espressivi con la necessità interna».

Meglio non si potrebbe definire la poetica espressionista e quindi anche il senso del lavoro compiuto da Schönberg specialmente se si considera che il citato brano di Hartmann è del 1912, quando cioè i fondamentali lavori schönberghiani sono già stati composti.

I «Cinque pezzi, op. 16» furono concepiti dall'autore con un preciso riferimento a determinati stati d'animo anche se, al momento della pubblicazione del lavoro, i sottotitoli furono tolti per non dar luogo ad equivoci di carattere «impressionistico». Tuttavia, pur con questa avvertenza, il carattere dei brani rimane appunto quello originariamente sentito. Il primo pezzo, molto rapido, era intitolato «Presentimenti» ed è basato su un'idea esposta immediatamente in modo completo e successivamente sviluppata durante tutto il brano caratterizzato da un piglio aggressivo e dalla contrapposizione di sonorità che culminano in straordinari effetti timbrici. Il secondo pezzo, «Cose passate» ha invece un carattere prevalentemente lirico ed è fondato sul timbro strumentale come elemento primario al quale si assoggetta la stessa struttura formale; nel terzo pezzo, intitolato «Colori», abbiamo finalmente uno degli esempi più significativi della concezione musicale schönberghiana, quella della cosiddetta «melodia di timbri» che si sviluppa attraverso pochi accordi ed un sottile continuo mutamento della veste strumentale. «Peripezia» il quarto pezzo, è un breve, rapido concentrato di energia, mentre il quinto ed ultimo pezzo, «il recitativo obbligato» riassume nella sua complessità polifonica il materiale melodico e timbrico dell intero lavoro.

Mario Sperenzi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Comune di Empoli, 29 ottbre 1974
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 20 aprile 1971
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 4 giugno 1973


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Ultimo aggiornamento 5 marzo 2020