Tre Pezzi per pianoforte, op. 11


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Mässige Viertel
    Composizione: 19 febbraio 1909
  2. Mässige Achtel
    Composizione: 22 febbraio 1909
  3. Bewegte Achtel
    Composizione: 7 agosto 1909
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 1909
Prima esecuzione: Vienna, Ehrbar-Saal, 14 gennaio 1910
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1910
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È a partire dal 1906 ehe Arnold Schönberg volta definitivamente le spalle alle certezze del sistema tonale, secondo quel processo di "emaneipazione della dissonanza" che legittimava l'abolizione di uno stabile punto di riferimento tonale; esito personalissimo di quei rivolgimenti che attraversavano tutte le avanguardie europee. Come lo stesso autore ebbe a scrivere "mi aspettavo che tutti i problemi ehe mi avevano tormentato come giovane compositore fossero risolti in modo da indicare una via per uscire dalla confusione in cui noi giovani eravamo stati coinvolti con le innovazioni armoniche, formali, strumentali ed emotive di Richard Strauss" ["Come si resta soli", 1937, in Analisi e pratica musicale). L"'emancipazione della dissonanza" è in realtà solo una delle componenti che costituiscono il nuovo Stile di Schönberg: l'abbandono delle vaste articolazioni in favore del miniaturismo, della grande orchestra sinfonica in favore di aggregazioni cameristiche (i mastodontici Gurrelieder, nonostante l'orchestrazione sia in via di definizione, äppartengono ormai al passato), nonche il maggior peso dell'elaborazione tematica.

Particolarmente significativo è questo percorso nella produzione per pianoforte di quegli anni, che vede nascere nel biennio 1909-1911 almeno due importanti cicli di composizioni, i Tre pezzi op. 11 e i Sei piccoli pezzi op. 19. Scritti fra l'inizio del 1909 e la successiva estate, i Tre pezzi per pianoforte op. 11 sono lo spartito - con i Cinque pezzi per orchestra op. 16 - in cui Schönberg sperimentò piü a fondo le risorse della nuova atonalitä. L'abbandono di strutture di vaste dimensioni trova qui perfetto riscontro in una scrittura pianistica asciutta e scarna, priva di ogni retorica densità, del tutto interiorizzata. Proprio la qualitä interiore di questa scrittura sembra riallacciarsi alle conquiste espressive dell'estremo pianismo di Brahms. E tuttavia il significato piü profondo di questi tre pezzi è quello di far mancare a questa interiorità una base, di eliminare le certezze in favore della crisi. Il primo pezzo, Mässig, è quello che forse meglio esemplifica questa nuova poetica; conserva, per grandi linee, un'articolazione tripartita [ABA] e si svolge in un'ambientazione meditativa, squarciata a tratti da gesti violenti e contraddittori. Il secondo pezzo - Mässig, attraversato quasi interamente da un ostinato che trova però anche enigmatiche sospensioni, - è quello probabilmente piü tradizionalista; non a caso Ferruccio Busoni ne realizzò una trascrizione "da concerto" che non incontrò il consenso di Schönberg. Il terzo, Bewegt, scritto a distanza di alcuni mesi dai primi due, rompe davvero con tutto quanto precede e apre la strada al pianismo visionario del XX secolo; il radicalismo di questa pagina consiste nella rinuncia ad un vero e proprio materiale motivico, cui si sostituisce una logica di contrasti, formali o dinamici.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

A conclusione di una lunga lettera in data 12 dicembre 1909 - una delle tante indirizzate a Gustav Mahler, che in quel periodo si trovava a New York - Schoenberg annunciava: «Il 14 gennaio c'è una serata di musiche mie all'Ansorge-Verein: "Gurre-Lieder", col pianoforte, un ciclo di Lieder su testi di Stefan George, tre nuovi pezzi per pianoforte». Erano, questi ultimi, i Drei Klavierstücke op. 11, dove per la prima volta veniva sperimentata la cosiddetta scrittura "atonale". Come infatti mise a punto il fondatore della Scuola di Vienna, nelle tardive paginette intitolate "La mia evoluzione", in questo periodo rinunciai ad un centro tonale: procedimento, questo, impropriamente chiamato "atonalità".

Benché assuefatto ormai ad accoglienze turbolente, l'autore rimase sgomento degli effetti negativi prodotti dal nuovo lavoro: «Debbo confessare - rievocava trentanni dopo - che fui spaventato dalla reazione generale (...) Fui attaccato ferocemente sui giornali e sulla stampa musicale di mezza Europa. Non fu molto piacevole. Fui subito totalmente isolato (...) fui biasimato e disprezzato dai migliori musicisti del tempo, e perfino un Massenet non esitò a pronunciarsi contro di me». Ma ci furono anche i consensi dei progressisti: Ferruccio Busoni rese omaggio al più giovane collega (destinato a succedergli nel 1925 alla cattedra presso l'Accademia statale di musica di Berlino), con la trascrizione quasi immediata del secondo pezzo, «una delle pagine melodicamente più calde del periodo espressionista di Schoenberg», a detta di Luigi Rognoni. Del resto Busoni non fu la sola eccezione, se è vero che Strawinsky era in possesso della musica dell'op. 11 quando componeva il Sacre du printemps. Invece Richard Strauss, che a suo tempo aveva ammirato i Gurre-Lieder al punto da procurare al loro autore l'insegnamento in conservatorio, si era già ricreduto sul conto di Schoenberg e andava dicendo in giro che sarebbe stato meglio se «fosse andato a spalare la neve invece che starsene a scarabocchiare tutti quei fogli pentagrammati».

Alla domanda formulata da molti studiosi sul perché Schoenberg si sia rivolto - per formulare i primi postulati di quella che si sarebbe chiamata "la nuova musica" - ad uno strumento che non sapeva neanche suonare (aveva infatti iniziato a otto anni lo studio del violino e poi era passato al violoncello, ma la sua istruzione musicale aveva avuto una "evoluzione" da autodidatta, per rovesci familiari), Giacomo Manzoni risponde acutamente: «A nostro avviso si può dire soltanto che Schoenberg, in quanto musicista profondamente radicato nella tradizione tedesca, non poteva non misurarsi con uno strumento così gravido di storia come il pianoforte. E lo fece in modo radicale, esaurendo le possibilità della tastiera tanto che dopo di lui al pianoforte sono rimaste per così dire solo le possibilità del motorismo percussivo per non dire della vacuità neoclassica. Nel primo dei Tre Pezzi op. 11 è impressionante la varietà di accostamenti motivici (Adorno ha detto che mai nella musica occidentale si era osata la successione di due andamenti così contrastanti come quello disteso dell'inizio e quello che subito lo segue in trentaduesimi rapidissimi), varietà risolta in proporzioni formali assolutamente esemplari. Nel secondo la reminiscenza tonale dovuta al basso ostinato sulle note re-fa, è continuamente increspata da sussulti improvvisi che negano la quiete apparentemente riconquistata. Il terzo pezzo è una pagina di musica assolutamente fantastica...» Anche Pierre Boulez, nella limpidissima "voce" dedicata a Schoenberg per l'Encyclopédie de la Musique (Fasquelle 1958), giudica il terzo pezzo «il più interessante di tutto il quaderno», osservando: «Si può vedere in questo recitativo liberissimo uno dei primi saggi di Schoenberg, e anche uno dei più concludenti, tesi a creare una forma in evoluzione costante».

Ivana Musiani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 22 aprile 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 2 aprile 1992


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Ultimo aggiornamento 23 maggio 2014