Tre opere corali costituiscono la sconvolgente conclusione - in excelsis - della vita di Schoenberg: tutte di soggetto e d'animo intransigentemente ebraico. Se il patetico coro Dreimal Tausend Jahre, su un modesto poema di Dagobert D. Runes, scavalca l'occasione che lo ha visto nascere, il terzo millennio del tempio di Gerusalemme, per incarnare, più che il gaudio di quel compimento, lo strazio di chi lo vede attuarsi troppo tardi; il Salmo 130 (De Profundis) estirpa la sua musica dalla sonorità stessa della lingua sacrale, dall'indimenticata prosodia rituale dei padri.
Con una introspezione anche maggiore, i Moderne Psalmen avrebbero dovuto, in numero di dieci (ogni rimando a Filone, o ad Origene, è superfluo), stabilire il rapporto del "fedele" con la tradizione sepolta. Schoenberg ne scrisse i testi, ma non potè intonarli, se non parzialmente, il solo primo salmo, rimasto come torso, corrispondendo la musica a tre quarti del testo letterario. Schoenberg riuscì a scriverla, lottando già con la malattia mortale. Delle molteplici maniere corali sperimentate, qui resta il visibile segno: non si avrebbe che da confrontare il recitato ritmico, ad altezze indeterminate, della voce solista, con la scrittura a quattro parti del coro. Su di essa, di difficoltà impervia, l'autore dovette conservare qualche dubbio, e probabilmente non era arrivato alla decisione definitiva. Scrivendo al Vinaver, a proposito del De profundis, concedeva insolitamente molte libertà: "Non ho nulla in contrario che ciascuna voce venga sostenuta da uno strumento a fiato (legni) per marcare l'intonazione e il ritmo: giacché questo è sempre il mio più grande desiderio e lo ritengo più importante del cosiddetto suono vocale «puro»".
Una preoccupazione per l'essenza, o l'idea per usare il suo termine, prevale, come sempre, sulla "apparenza estetica". Schoenberg sapeva come nessuno che la forma non è il fine, ma il veicolo.
"La funzione che disimpegna il coro nell'ultimo Schoenberg - ha scritto Adorno - è il segno visibile di quell'abdicazione in favore della conoscenza. Il soggetto sacrifica il carattere intuitivo dell'opera, la costringe a convertirsi in dottrina e in sapienza proverbiale, e si intende come rappresentante di una comunità che non esiste. I canoni dell'ultimo Beethoven presentano un'analogia di tal senso, e ciò vale a illuminare la prassi canonica di queste opere di Schoenberg".
La stesura del Salmo cominciò il 3 luglio 1951: dieci giorni
prima della morte di Schoenberg. All'ascolto, rimase famosa, per chi
era presente, la reazione dello stesso Adorno: i suoi occhi brillavano,
ma la voce si fece anche più gelida del consueto: "Peccato che il testo
sia repellente".
O mio Dio! ogni gente ti onora, ti assicura la sua devozione. E che mai può importare a Te se anche io sono tra questi? Chi sono io!
RECITANTEChi son io per credere che la mia preghiera sia necessaria?
Dico «Dio» e so che tu sei l'Onnipotente, l'Eterno, l'Unico,
l'Onnisciente, il non raffigurabile, di cui non posso farmi l'immagine
né devo; a cui nulla chiedere me concesso, né posso; che esaudirà o
ignorerà la mia più ardente preghiera.
Dico «Dio» e so che tu sei il non raffigurabile, l'Eterno, l'Unico, l'Onnisciente, che esaudirà o ignorerà la più ardente preghiera.
RECITANTEEppure prego come ogni vivente, eppure chiedo miracoli e grazie: esaudiscimi!
Io prego, io non voglio smarrire il sentimento sublime che
l'unione interiore con Te mi dà.
Eppure prego come ogni vivente, eppure chiedo miracoli e grazie: esaudiscimi!
RECITANTEPer te, mio Dio, per la tua grazia, ci è rimasta la preghiera, come legame che ci unisce a te, come una beatitudine che ci esaudisce più di ogni altra cosa.