Die Jacobsleiter (La scala di Giacobbe)

Oratorio per soli, coro e orchestra

Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
Testo: Arnold Schönberg
Organico: coro misto, ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, trianogolo, piatti, tam-tam, grancassa, arpa, celesta, pianoforte, archi
Composizione: giugno - 27 settembre 1917
Prima esecuzione: Vienna, Konzerthaus, 16 giugno 1961
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1917

Incompiuto
Guida all'ascolto (nota 1)

Le prime tracce di ciò che sarebbe diventato il piano dell'oratorio Die Jakobsleiter (La scala di Giacobbe) si trovano in una lettera di Schönberg scritta il 13 dicembre 1912 a Berlino al poeta tedesco Richard Dehmel (1863-1920), a cui Schönberg si era ispirato per il sestetto Verklärte Nacht (Notte trasfigurata): «Da molto tempo vorrei comporre un oratorio, il cui contenuto dovrebbe essere: come l'uomo di oggi, che è passato attraverso il materialismo, il socialismo, l'anarchia, che è stato ateo, ma in cui tuttavia è rimasta una piccola traccia dell'antica fede (sotto forma di superstizione), come quest'uomo moderno affronti Dio (vedi anche Giacobbe lotta di Strindberg) e alla fine arrivi a trovarlo e a credere. Imparare a pregare! Questa metamorfosi non dovrebbe essere provocata da un intreccio macchinoso o da vicissitudini del destino, e neppure da una storia d'amore. O perlomeno, queste cose dovrebbero comparire nello sfondo, come allusioni o moventi occasionali. E, soprattutto, il modo di parlare, di pensare, di esprimersi dovrebbero essere quelli dell'uomo contemporaneo: dovrebbero essere trattati i problemi che oggi ci assillano. Anche i personaggi della Bibbia che affrontano Dio si esprimono come uomini del loro tempo, parlano delle loro faccende, conservano il loro livello sociale e intellettuale. Per questo hanno forza artistica, ma non possono tuttavia ispirare un musicista di oggi che voglia assolvere il suo compito. Dapprima avevo in mente di scrivere io stesso il testo, ma oggi non me la sento più. Quindi pensai di elaborare il Giacobbe lotta di Strindberg. Da ultimo decisi di partire dalla religione positiva, e contavo di elaborare "L'Ascensione", il capitolo finale della Seraphita di Balzac. "La preghiera dell'uomo di oggi", questo pensiero intanto non mi abbandonava, e mi dicevo spesso: eppure se Dehmel...! Potrebbe interessarLa qualcosa di simile? Voglio premettere subito che, se Lei accettasse, il testo poetico non dovrebbe in alcun modo essere condizionato dalla futura composizione musicale. Ciò sarebbe non soltanto superfluo, ma addirittura dannoso. Il testo dovrebbe essere completamente libero, come se non esistesse per nulla la possibilità che esso venisse musicato. Un'opera di Dehmel infatti posso metterla in musica cosi com'e, poichè riesco a rivivere il senso di ogni parola. Dovrebbe esserci una sola limitazione: considerato il "tempo" nel quale in genere e composta la mia musica, non credo che il testo di un'opera da rappresentarsi in una serata debba superare le 50 o 60 pagine stampate. Anzi, queste sarebbero già troppe. E' davvero una grande difficoltà. Ma è impossibile superarla? Le sarei molto grato se volesse comunicarmi la Sua opinione. Non so davvero se le mie proposte non Le sembrino eccessive. Ma ho un'attenuante: devo comporre quest'opera, perche e questo che mi preme di dirLe!».

Dehmel rispose a questa lettera in modo molto cortese, rifiutando però la proposta e inviando il testo di un oratorio da lui gia scritto, perche Schönberg lo esaminasse. Non era pero ciò che egli desiderava. Nel gennaio 1915 Schönberg tornò a considerare il suo progetto iniziale e stese egli stesso il testo dell'oratorio La scala di Giacobbe, che fu pubblicato dalla Universal Edition di Vienna nel 1917. La composizione musicale fu iniziata subito dopo, il 19 giugno di quello stesso anno, ma dovette essere interrotta pochi mesi dopo per la chiamata alle armi del musicista, il 30 novembre; venne poi ripresa piu volte, nel 1918, 1921 e 1922 e poi ancora nel 1944, ma non fu mai portata a compimento. Ciò che rimaneva era la musica di tutta la prima parte sino al Grande interludio sinfonico che la chiude: non la partitura completa, ma un abbozzo contenente molte indicazioni, spesso assai dettagliate, per la strumentazione. Dopo la morte del compositore, al fine di renderne possibile l'esecuzione, la Universal affidò a un ex allievo di Schönberg, Winfried Zillig, il compito di mettere in partitura quanto era stato composto dal maestro, seguendo le sue prescrizioni. E in questa veste l'oratorio venne presentato per la prima volta il 16 giugno 1961 a Vienna sotto la direzione di Rafael Kubelik.

La scala di Giacobbe condivide dunque con l'opera Moses und Aron uno stesso destino, quello di essere rimasta incompiuta nella musica nonostante il testo fosse finito. Non è facile resistere alla tentazione di considerare in un certo senso emblematiche queste difficoltà a rendere con la musica i contenuti e i temi trattati nel testo: del cui spessore etico-religioso e spirituale, profondamente radicato nel misticismo ebraico di Schönberg e complicato da influenze teosofiche ed esoteriche di provenienza diversa, ognuno puo rendersi conto da se. Va però tenuto presente che, almeno per quanto riguarda La scala di Giacobbe, Schönberg non rinunciò mai all'idea di finirla. E in un altro senso non si puo parlare qui di un lavoro incompleto, ma piuttosto di un frammento che si ferma al primo stadio di un progetto esattamente definito e realizzato anzitutto nel testo. Ciò esclude che a impedirne la realizzazione musicale siano state cause contingenti legate alla biografia di Schönberg, come la chiamata alle armi, i contraccolpi della guerra o l'esilio americano a cui egli fu costretto nel 1933; ma mette anche in dubbio l'ipotesi, piu volte avanzata, che le ragioni vadano ricercate in motivazioni inconscie o addirittura nella consapevolezza del compositore di non poter sciogliere nella rappresentazione musicale i nodi posti dall'azione stessa al momento della rivelazione della fede: ossia della definizione della parola di Dio.

Per quanto Schönberg si sia ispirato al dramma di Strindberg Giacobbe lotta e alle teorie mistiche di Emanuel Swedenborg cosi come risultavano dal romanzo filosofico Seraphita di Balzac, il simbolo centrale dell'opera è quello biblico della visione di Giacobbe (capitolo 28 del I libro - Genesi - del Pentateuco): «Giacobbe fece un sogno; ed ecco gli apparve una scala appoggiata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; ed ecco gli angeli di Dio, che salivano e scendevano per la scala. E il Signore stava al di sopra di essa». Nell'oratorio di Schönberg il protagonista e però l'arcangelo Gabriele che sta presso il trono divino e passa in rassegna le anime che sfilano davanti a lui (coro, Sprechstimme e cantato, suddiviso in più gruppi). Dalla massa anonima emergono alcune voci: Gabriele le interroga sui loro destini individuali e ne mostra a ciascuno la limitatezza. Solo l'espiazione e la preghiera possono avvicinare l'uomo a Dio innalzandolo fino all'apice della scala. Un ampio interludio sinfonico (Grosses symphonisches Zwischenspiel) chiude questa prima parte ed è con esso che si conclude la musica portata a termine da Schonberg.

Della seconda parte abbiamo però il testo. Gabriele invita le anime a ridiscendere la scala e sviluppa ulteriormente il tema della necessità del calvario. Ora le anime apprendono che su qualsiasi gradino della scala la colpa è inevitabile e che solo la preghiera può compiere il miracolo della redenzione: l'eletto è colui che soffre e che nella sofferenza ha la rivelazione della fede e della conquista di Dio. In un coro finale tutte le anime si uniscono in una grande preghiera comune, attraverso la quale lo spirito fonde desideri e aspirazioni, placa ansie e dolori, a tutto dà eterno amore e felicità. Luigi Rognoni ci aiuta a comprendere il sostrato filosofico e religioso - di una religione come suprema fede, che per Schönberg andava ben oltre le sue manifestazioni organizzate - di questa seconda parte: «Lo Spirito, stretto tra due infinità a lui estranee (spazio e tempo), si rifugia nell'anima immortale, suggella la vittoria dei fratelli nemici, suddividendosi in mille particelle schiave del libero volere. Quel ritorno al possesso del vero che all'intelligenza è impossibile, viene realizzato dal sentimento; e lungo tutta la sua scala, che va dalla parentela con la materia a quella con lo spirito, si forma l'universo delle fedi umane: le creature più basse, auspicanti da Dio la protezione del corpo e dei beni materiali; la liberazione dello spirito le più alte. Via via la materia decresce e, purificate, le parti chiedono di ridiventare un tutto, di essere liberate dai sentimenti che le isolano. E' la preghiera che compie questo miracolo: l'appello a un Dio che non giudica e condanna, ma conosce, comprende e aiuta. Bussate e vi sarà aperto».

Niente lascia supporre che questa seconda parte potesse presentare problemi speciali dal punto di vista compositivo: il piano della realizzazione musicale era anzi gia contenuto nel testo, concepito come un'ascesa che culmina nel coro finale, prima diviso in tre sezioni ('coro dal profondo", "coro principale" e "coro dall'alto") e poi riunito nella grandiosa preghiera collettiva. Per il suo lavoro Schönberg aveva previsto un organico colossale, da fare impallidire quello della Sinfonia dei Mille di Mahler: qualcosa come un'orchestra principale di trecento elementi da alternare ad altre quattro orchestre più piccole dislocate in luoghi diversi, sì da creare un effetto stereofonico assolutamente nuovo, un grande coro a 12 voci formato da 720 coristi, oltre a due altri cori invisibili e a 13 cantanti solisti. E non mostrava di dubitare di poter materialmente scrivere in partitura una quantità così abnorme di parti. Si rendeva semmai conto di quanto sarebbe poi stato utopico veder realizzate sul piano esecutivo tutte le sue intenzioni.

Ma neppure questo può essere considerato il motivo che portò all'abbandono del progetto alla sua metà. Due sono invece le spiegazioni possibili. La prima è interna all'opera. La seconda parte non è che il riflesso speculare della prima, che ribadisce concetti già espressi e non offre, se non esteriormente, elementi passibili di sviluppo musicale: anche la grandiosa idea dell'ultima preghiera corale è anticipata e musicalmente realizzata nel grande interludio sinfonico che chiude la prima parte ed esprime, in luogo delle parole, le immagini e le scene che seguono. Ciò che nel testo era necessario, un ulteriore sviluppo dei motivi religiosi e umani a cui Schönberg voleva dare voce (ossia, come scrive Rognoni, «la limitazione dell'azione che non giunge mai a esprimere la totalità dello spirito e per contro l'astratta contemplazione di Dio che è, a sua volta, limitazione e vanità perchè evita l'azione»: un dualismo che si riaffaccerà nel Moses und Aron) non era altrettanto necessario nell'ambito della musica: il frammento era già un tutto che abbracciava l'intera costellazione dell'opera.

In secondo luogo, Schönberg stava attraversando una fase decisiva nella sua evoluzione linguistica. La dodecafonia era alle porte ma non avrebbe potuto essere integrata nelle forme e nelle dimensioni, oltretutto già prefissate, dell'oratorio. In una lettera del 2 giugno 1937 al musicologo Nicolas Slonimsky il compositore inseriva anche Die Jakobsleiter nelle "tappe preliminari" che avevano portato al "metodo per comporre con dodici note": «Il primo passo fu compiuto intorno al dicembre 1914 o all'inizio del 1915 quando schizzai una sinfonia, l'ultima parte della quale divenne piu tardi Die Jakobsleiter, ma che non fu più continuata. Lo "scherzo" di questa sinfonia era basato su un tema formato di dodici note. Ma questo era soltanto uno dei temi. Ero ancora ben lontano dall'idea di usare un simile tema fondamentale come criterio di una composizione». L'ultima parte della sinfonia a cui allude Schönberg era per soli, coro misto e orchestra e recava un titolo già di per sè abbastanza significativo: Totentanz der Prinzipien (Danza macabra dei principi): non fu mai terminata, ma uno "scherzo" che ne faceva a sua volta parte fu poi trasfuso nella Jakobsleiter. All'inizio della Scala di Giacobbe troviamo una cellula di sei suoni presentati dai violoncelli in forma di un basso ostinato; nelle cinque battute che seguono si aggiungono altre sei note che totalizzano, con i sei suoni del basso, lo spazio cromatico. Il principio dodecafonico viene qui realizzato per "germinazione", ma non dà l'impronta alla "serie". Ed era invece a quest'impronta che Schönberg mirava con sempre maggiore consapevolezza. Si può quindi pensare che all'interesse per i temi etici e spirituali dominanti nell'opera si sia sovrapposto un altro interesse più linguistico e musicale: in una misura che l'oratorio non avrebbe potuto contenere. Forse sotto questo profilo le forzate interruzioni provocate da fatti esterni possono aver avuto il loro peso, allontanando progressivamente l'autore da un'opera che era stata fin dall'origine impiantata secondo altri principi.

Nonostante si tratti di un "frammento", La scala di Giacobbe offre molti motivi di attrazione anche dal punto di vista musicale. Ciò che Schönberg avrebbe poi realizzato sul piano specificamente linguistico - il totale cromatico della dodecafonia - si presenta qui nell'utilizzazione totale dei mezzi sonori, vocali e orchestrali, concentrati al massimo grado dell'intensità espressiva. La Sprechstimme, inventata da Schönberg per fondere i valori del canto e della recitazione agendo liberamente sull'intonazione dei suoni, e il canto stesso, dal declamato incisivo e vibrante di Gabriele alle melodie purissime degli ariosi, raggiungono un alto livello di suggestione e di forza comunicativa. Ma anche l'orchestra, sovente usata in dimensioni cameristiche e suddivisa in più gruppi, come il coro, presenta una varietà di timbri e di prospettive sonore di grande fascino. Il compositore annota sulla partitura indicazioni precise per la resa acustica degli effetti sonori, prescrivendone la provenienza da diverse fonti, collocate parte in alto, scoperte, parte in lontananza, per esempio nell'interludio sinfonico. La cura della strumentazione, per quanto soltanto prefigurata da Schönberg, è cosi in corrispondenza con ciò che il testo evoca e che la musica raccoglie per renderne udibili le più profonde e misteriose risonanze: una musica che parla dell'anima e che dall'anima proviene.

Sergio Sablich


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 19 maggio 1991


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Ultimo aggiornamento 4 febbraio 2015