Ampio ed articolato è il «De Profundis», che risale al 1950, e fu scritto su invito di un direttore di cori, Chemio Vinaver, che aveva chiesto a Schoenberg la trascrizione di un antico salmo da includere in un'antologia di canti ebraici da diffondersi in Israele.
La partitura riproduce l'urlo disperato di dolore di una umanità prigioniera di se stessa e che vede avvicinarsi con ineluttabile scadenza una nuova Apocalisse.
Quello che colpisce di più in questo lavoro dodecafonico schoenberghiano è la stringatezza dell'espressione vocale ottenuta con mezzi di scrittura semplici e lineari, tanto è vero che, a detta di Luigi Rognoni, ci si trova di fronte ad una pagina «di pura polifonia arcaica, di carattere quasi modale sia nella struttura melodica delle singole voci, sia per i rapporti armonici che ne scaturiscono», così da stabilire uno stretto legame fra il significato drammatico del testo e il respiro ritmico del linguaggio musicale, secondo il principio esaltato e codificato dalla scuola viennese in base al quale l'artista, quando crea, deve ubbidire soltanto alla propria necessità interiore (innere Notwendigkeit), senza condizionamenti a ipotetici contenuti esterni di natura oggettiva e men che mai letteraria.
Ennio Melchiorre
C'è qualcosa nella musica di Schönberg che fu compreso molto bene da Hans Eisler, uno dei suoi allievi. Ricordando l'insegnamento del Maestro dal quale ragioni ideologiche lo dividevano profondamente, Eisler osservò che con Schönberg la musica aveva cominciato a parlare il linguaggio della verità e questa verità non era bella ma non c'era nulla da fare, era proprio così. La musica di Schönberg possiede uno straordinario intuito della verità e la capacità di aderire sempre più in profondità all'essenza drammatica delle cose è forse la sua caratteristica più importante, in ogni caso quella che conferisce a qualunque progetto linguistico una così profonda motivazione da renderlo inattaccabile. Nel confronto con la verità fisica la bellezza del suono perde terreno, impallidisce, diventa quasi una stonatura, un eccesso di eloquenza che sa di mistificazione. L'opposizione nel Moses und Aaron dell'eloquenza canora e tenorile di Aronne con la rauca, spossata voce di Mosé insegna molte cose. Quella polarità di canto e voce che recita, così spaziata e netta nel Moses und Aaron, si fa nelle ultime opere di Schönberg più stretta. Nel De Profundis op. 50b, composto nel luglio 1950, i due poli si accostano in una vicinanza inestricabile. Il componimento è infatti concepito per un coro misto a sei voci cantate e parlate. Il componimento non ci prospetta però soltanto l'intreccio delle voci che cantano con quelle che parlano ma presenta un tratto di nuova originalità nella cura che Schönberg pone sull'inflessione vocale.
Chemjo Vinaver, direttore di coro e curatore della Anthology of Jewish Music, aveva sottoposto a Schönberg alcuni canti cassidici pregandolo di effettuarne una trascrizione. Il compositore si soffermò con curiosità sull'inflessione di questi canti e preferì trasferire questi dettagli in un lavoro proprio che sarebbe stato il De Profundis. Questa inflessione tipica del canto sinagogale passando nel componimento di Schönberg finisce con lo sfaldare la linearità del canto introducendovi un sottile tremolio. L'opposizione tra canto e parlato non è più perentoria ma all'interno della categoria del canto, questa volta sì intesa come categoria storica, si introduce un elemento di parziale disgregazione, una mimesi dell'incertezza e della fragilità della voce umana di fronte alla totalità dell'essere.
Enzo Restagno
Shir
hamaalot mima'amakim keraticha adonai Adonai schimah vekoli Tiyena oznecha kashuvot Lekol tachanunai Im avanot tishmor ya adonai Mi yaamod Ki imcha haslicha Lemaan tivare kiviti adonai Kivta nafshi velidvaro hochalti Nafshi ladonai Mishomrim laboker Yachel yisrael el adonai Ki im adonai hachesed Veharbeh imo fedut Vehu yifdeh et yisrael Mikol avonotav. |
Io ti chiamo dagli Abissi,
mio Signore, ascolta il mio grido, mio Signore, fà che le tue orecchie siano tese verso il mio grido di implorazione! Se tu metti insieme le nostre colpe, o mio Signore, chi potrà più restare in piedi? Però la tua clemenza è sempre in te, anche se bisogna sempre temerti. Io attendo te mio Signore, la mia anima attende, e io ho fede nella tua promessa! La mia anima attende te mio Signore, più di quanto le sentinelle notturne attendano l'aurora: le sentinelle notturne attendono l'aurora, Israele attende il Signore. Ma veramente nel Signore sta la pietà, in Lui sta l'infinita redenzione: è Lui che redimerà Israele da tutte le sue colpe. |
(Traduzione di Emilio Villa) |