Concerto per violino e orchestra, op. 36


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Poco allegro
  2. Andante grazioso
  3. Finale: Allegro
Organico: violino solista, ottavino, 3 flauti, 3 oboi, clarinetto piccolo, clarinetto, clarinetto basso, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, xilofono, grancassa, piatti, tam-tam, tamburo , tamburo basco, triangolo, archi
Composizione: 23 settembre 1936
Prima esecuzione: Philadelphia, Symphony Hall, 6 dicembre 1940
Edizione: Schirmer, New York, 1939
Dedica: Anton von Webern
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto op. 36 per violino e orchestra è il lavoro di maggior rilievo del primo periodo che Arnold Schoenberg trascorse in America dopo aver abbandonato l'Europa sulla quale incombeva la minaccia della tirannide nazista. Portato a termine a Los Angeles il 23 settembre 1936, il lavoro è dedicato ad Anton Webern. Alla sua nascita non fu estraneo, forse, l'esempio del Concerto per violino che Alban Berg aveva scritto un anno prima e che era stato eseguito per la prima volta a Barcellona nell'aprile del 1936. Louis Krasner, il quale aveva commissionato e poi suonato per la prima volta il Concerto di Berg, fu anche il primo interprete del Concerto di Schoenberg, eseguendolo il 6 dicembre 1940 con l'Orchestra di Philadelphia diretta da Leopold Stokowsky. Felix Greissle, uno degli allievi di Schoenberg, presentando l'opera la qualificò come «il più difficile Concerto in tutta la letteratura musicale». Lo stesso Schoenberg dichiarò allora: «credo che col mio nuovo Concerto per violino ho creato la necessità di un nuovo genere di violinista». E aggiunse ancora scherzosamente che «a dire il vero il solista dovrebbe possedere una mano sinistra con sei dita». Egli esprimeva però anche l'opinione che le immense difficoltà tecniche, non ingenerate comunque mai da una ricerca di meri effetti virtuosistici, erano idealmente adatte a stimolare e sviluppare le capacità generali dell'esecutore e di portarlo anche ad una migliore comprensione della costruzione musicale del lavoro. Se si prescinde da alcune licenze (del resto assai felici), il Concerto presenta una rigorosa scrittura dodecafonico-seriale. La tematica serie fondamentale (LA-SI BEMOLLE-MI BEMOLLE-SI-MI-FA DIESIS-DO-DO DIESIS-SOL-LA BEMOLLE-RE-FA) viene esposta alternativamente dal solista e dall'orchestra e sviluppata successivamente con molto slancio dal violino solo nella sua forma originaria e in quella inversa. L'estrinseco taglio formale dell'opera mostra la tradizionale partizione in tre movimenti. Il primo, Poco allegro, presenta qualche affinità con il modello formale del classico tempo di sonata. Vi si alternano severi passi tematici ed episodi brillanti che culminano in una Cadenza seguita da una Coda conclusiva. Il seconda tempo, Andante grazioso, ha la forma di Lied. La terza ed ultima parte è un Allegro di carattere marziale. Come il primo tempo, così anche questo Finale termina con una Cadenza del solista e una Coda. Schoenberg, il quale prediligeva questa composizione, ebbe ancora a dichiarare: «desidero che la mia musica venga considerata alla stregua di una persona onesta ed intelligente che si avvicina per dirci qualcosa che essa sente onestamente e profondamente, e che ha un significato per noi tutti».

Roman Vlad

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La stesura del «Concerto per violino» tenne impegnato Schoenberg per circa tre anni dal 1934 al 1936 all'inizio del soggiorno americano dopo l'esilio dalla Germania nazista, anni tutt'altro che facili per il compositore, costretto a lottare contro grandi difficoltà economiche e la malferma salute, circostanze avverse da lui affrontate con ferma dignità e salda coscienza morale. Riguardando addietro alla sua esistenza vari anni dopo e scrivendone a Erwin Stein, Schoenberg osservò: «Ho composto poca musica da quando sono qui, mi ha molto assorbito l'insegnamento». Ma già l'inserimento nella vita sociale statunitense non s'era verificato senza marcati disagi, pur se in Carl Engel, direttore della casa editrice Schirmer di New York, egli aveva trovato un vero amico. Appunto Schirmer diede alle stampe il «Concerto per violino» che recava la dedica ad Anton Webern e fu conosciuto la prima volta il 6 dicembre 1940 a Filadelfia sotto la direzione di Leopold Stokovski, solista Louis Krasner, lo stesso che cinque anni prima era stato protagonista a Barcellona dell'esecuzione del «Violinconcerto» di Berg, novità assoluta.

Secondo René Leibowitz, tra il concerto schoenberghiano e il parallelo lavoro di Berg intercorrono varie «affinità archeologiche», riconducibili all'intento comune di «organizzare dodecafonicamente il linguaggio in modo tale da realizzare però globalmente un clima di carattere tonale, dal momento che all'interno dell'ordito musicale dodecafonico sopravvivono residui lessicali d'ordine tonale, quali l'impiego preferenziale degli intervalli di terza e di seconda minore nella parte del violino solista».

In effetti quelle affinità sembrano soltanto apparenti perché, nella fattispecie, essendo calate in contesti peculiarmente diversi, assumono connotati marcatamente originali. Se poi, secondo tale angolo visuale, può risultare tradizionale la cantabilità lirica della pagina introduttiva dell'«Allegro» del Concerto di Schoenberg, con la linea melodica esposta dal violino nel registro grave, non v'è dubbio che lo stile autenticamente personale dell'autore viene affermato con categorico rigore deduttivo e la ricerca espressiva si realizza per l'esclusivo tramite di nuovi esiti sonori. Si consideri in proposito la scrittura della parte dello strumento solista che ascende ai registri acutissimi impiegando glissandi e vertiginosi pizzicati, sino ad esprimere un suono astratto, quasi senza colore timbrico, a fronte del quale si stagliano le cangianti e a tratti rarefatte, ma mutevolissime, sonorità dell'orchestra, ridotta spesso ad organico cameristico. Ad alcuni exploits, quasi percussivi, del violino replicano ora lo xilofono ora i fiati, nei registri estremi del clarinetto basso, del flauto piccolo e del fagotto, in frenetiche successioni di aggregati timbrici verticali, che rammentano le schegge sonore di glaciale e vitrea asprezza e le baluginanti scintille che avevano marcato, di una caratterizzazione indelebilmente schoenberghiana, il «Quintetto op. 26». Il primo movimento si conclude con la riproposta del motivo melodico introduttivo, che sembra quasi rievocare un'iterazione ciclica, in quanto è presente del resto in tutto il Concerto, e con una precipite cadenza, strettametne dodecafonica, del violino.

Anche i due movimenti successivi, strutturati liberamente, sono improntati ad un clima sonoro sottolineato dall'impiego degli intervalli contigui di seconda e terza minore.

L'«Andante grazioso» ha un incedere di estrema chiarezza, con un aereo disegno melodico del violino che sovrasta le terzine in pianissimo dell'orchestra. La struttura seriale di questo tempo, accostabile, per rigore logico d'impianto, all'incipit delle «Variazioni op. 31», tende ad instaurare un clima fortemente drammatico, quasi l'autore rimeditasse certi episodi della sua fase creativa espressionista: si consideri al riguardo il bruciante impatto della frase lirica dello strumento solista sullo schieramento degli archi nel registro grave, con il conseguente disegno ostinato che riesce a spezzare la compattezza sonora dell'orchestra, rilanciando il violino in un ardimentoso gioco cadenzale. Nella coda lenta del secondo movimento, lo strumento solista sembra indugiare deliberatamente nel registro grave per concludere con un lungo pedale sulla nota «re», su cui si librano preziosi disegni armonici.

Energico è l'inizio del «Finale», affidato ai vibranti procedimenti ritmici e timbrici dell'orchestra che si espande in possenti sonorità, sino a che ricompare il violino a tessere ed elaborare un'originale cadenza, sostenuta dapprima solo dalle percussioni. Il «Finale» poi sfocia in un incalzante sviluppo progressivo, che coinvolge altre sezioni strumentali nelle ampie proporzioni della cadenza finale di tutta l'orchestra, nel cui ambito il virtuosismo del violino si scatena, con allucinato schianto espressivo, in variazioni della melodia introduttiva del primo movimento, basata sulla serie originale.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 maggio 1976
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 1 marzo 1975


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Ultimo aggiornamento 13 novembre 2019