Concerto per pianoforte e orchestra, op. 42


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Andante
  2. Molto allegro
  3. Adagio
  4. Giocoso (moderato)
Organico: pianoforte solista, ottavino, 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, xilofono, campane, grancassa, piatti, tam-tam, tamburo, archi
Composizione: 27 giugno - 30 dicembre 1942
Prima esecuzione: New York, NBC Orchestra's Radio City Habitat, 6 febbraio 1944
Edizione: Schirmer, New York, 1944
Dedica: Henry Clay Shriver
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Non pianista al contrario di Berg e di Webern, Schönberg dedicò numerose Composizioni al pianoforte, talora decidendo alcuni atteggiamenti fondamentali del proprio linguaggio nello strumento dove gli erano impedite abitudini contratte dalla consuetudine col repertorio: ad esempio, i pezzi opus 11, 19, 23, la Suite op. 25.

Nel Concerto, che fu l'ultimo lavoro pianistico, composto nel 1942 ed apparso nel 1948 a Darmstadt, dove si impose la ripetizione integrale seduta stante, viene posto, come nel Concerto violinistico del 1936, un problema virtuosistico di rilevante difficoltà secondo la consuetudine schönberghiana, insieme con il tipico atteggiamento, aspramente sottolineato da Boulez e da una parte dei darmstadtiani di osservanza weberniana: la riproposta del metodo dodecafonico, che aveva conosciuto qualche cedimento nell'esilio americano del maestro, apparentemente in conflitto con la struttura dei quattro movimenti e con la loro articolazione tradizionale, sulla linea brahmsiana; e, secondo la definizione di Leibowitz, la tendenza a «trattare l'apparato seriale secondo una mentalità tematica».

Né è mancata la constatazione di sopravvivenze wagneriane, secondo Roman Vlad una vera e propria citazione dal Tristano, che giustificano la presa di posizione, rispettosa ma decisamente negativa, manifestata dall'avanguardia nei riguardi di questo Concerto, visto come un ritorno alle origini tardo romantiche, al di là della coerenza col metodo, quando l'apporto massimo del compositore potrebbe riconoscersi nel periodo 1908-1912 e nei dieci lavori di quegli anni.

Tuttavia, se in questo senso è stata formulata la celebre conclusione della commemorazione di Boulez, SCHOENBERG È MORTO, vale anche la considerazione della cosiddetta seconda scuola viennese al di fuori di una rigida versione progressista: sì che, come nel Concerto violinistico di Berg, anche nel Concerto per pianoforte di Schönberg si prenderà atto con equanimità, pari alla compiacenza per la virata seriale dei Movements per pianoforte strawinskiani, di una dialettica generatasi nei viennesi non altrimenti che in Strawinsky o, poniamo, nell'ultimo Brahms, massimamente nell'ultimo Beethoven camerista, nella quale i revenants musicali hanno un senso mediato e, proprio in questo Concerto schönberghiano, offrono una clamorosa smentita ai sostenitori dell'univocità degli idoli.

Claudio Casini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il «Concerto per pianoforte e orchestra», composto nel 1942, durante il soggiorno di Schönberg negli Stati Uniti dove egli lavorava praticamente da isolato con una coerenza e fermezza che non è retorico definire eroiche, costituisce un esempio importante dei risultati raggiunti dal compositore nell'ultimo periodo quando, com'è stato affermato, egli tornerebbe al tematismo in sede dodecafonica o riscoprirebbe la possibilità di un contrappunto «tonale» in base alla dodecafonia.

In realtà ci sembra assai più fondata l'opinione di Luigi Rognoni secondo la quale Schönberg, dopo aver costruito un nuovo universo sonoro con la tecnica dodecafonica, convinto dell'assoluta unità del linguaggio musicale avrebbe ritenuto possibile «trarre dai due metodi (tonale e dodecafonico) un'unica sintassi utile al linguaggio musicale» e quindi la scelta definitiva sarebbe spettata all'artista.

Un recupero, inteso in questo senso, di elementi tradizionali è già avvertibile nel «Concerto per violino, op. 36» ed in altri lavori che precedono di poco il «Concerto per pianoforte». Con quest'ultimo Schönberg, pur nell'uso di una scrittura rigorosamente basata su schemi dodecafonici, realizza anche un reinserimento nella grande tradizione classica delle forme solistiche. Il Concerto » infatti, pur essendo concepito in un solo movimento, si articola in realtà in quattro tempi dei quali lo stesso Schönberg ha così indicato, romanticamente, le idee base: «La vita era così facile (Andante), ma improvvisamente scoppiò l'odio (Molto allegro); ne risultò una grave crisi (Adagio), ma la vita prosegue il suo corso (Giocoso)».

Questa sorta di programma mahleriano trova riscontro, ad esempio, nel rilievo conferito agli archi nell'Andante iniziale dopo l'esposizione della serie fondamentale da parte del solista che domina l'intero movimento; un intermezzo timbrico porta al Molto allegro, fondato su una breve cellula tematica che appare nei contrabbassi, fino ad un nuovo intermezzo e all'attacco dell'Adagio, strutturato in due sezioni. Il finale, Giocoso, è in sostanza un rondò in cui compaiono le citazioni tematiche dei precedenti movimenti in un brillante dialogo fra pianoforte e orchestra.

Mario Sperenzi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 maggio 1973
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 30 marzo 1974


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Ultimo aggiornamento 13 febbraio 2020