Secondo Concerto in si minore, op. 7


Musica: Niccolò Paganini (1782 - 1840)
  1. Allegro maestoso
  2. Adagio
  3. Rondò "La Campanella": Andantino
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, fagotto, controfagotto, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, grancassa, campanella, archi
Composizione: 1826
Prima esecuzione: Napoli, Conservatorio San Sebastiano, 30 gennaio 1927
Edizione: Schonenberger, Parigi, e Schott, Magonza, 1851
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'uomo Paganini è misterioso e impenetrabile, per le contraddizioni dell'intricata personalità, la singolarità del comportamento, i molti amori attribuitigli ma non sempre accertabili, con l'aggravio del fatto che a lungo le sue biografie hanno riportato voci e leggende largamente inattendibili più che fatti documentati. Ma anche l'artista Paganini è un mistero. I contemporanei ne erano talmente abbagliati che nemmeno provavano a dare una spiegazione tecnicamente motivata delle sue esibizioni, ma preferivano piuttosto descriverne gli sconvolgenti effetti psichici sul pubblico o tesserne lodi entusiastiche ed iperboliche. C'è bisogno di ricordare ancora una volta la leggenda del patto col diavolo? Questa fantasiosa trovata giornalistica - forse avvalorata dall'interessato stesso, che aveva una modernissima capacità di usare i naenti mass media per farsi pubblicità - è meno risibile di quanto si sia portati a pensare oggi, perché rifletteva l'attrazione romantica per gli aspetti oscuri che si aggrovigliano nelle profondità dell'animo umano, per le forze sovrannaturali che irrompono nella normalità quotidiana, per le tentazioni faustiane che seducono i mortali: dal mitico Faust di Goethe ai personaggi in apparenza normali e grigi dei racconti di Hoffmann, sono molte le testimonianze di quest'attrazione.

Paganini ha affascinato col suo violino non soltanto i pubblici più suggestionabili ma anche grandi musicisti - Schumann e Liszt, per citarne solamente due - che vedevano nei suoi prodigi virtuosistici una sfida romantica ai limiti materiali della natura umana e soprattutto sapevano valutare concretamente le nuove possibilità aperte dal violinista genovese al suo strumento. Il virtuosismo di Paganini infatti consisteva non tanto nell'esibire una mano e un archetto più veloci, più precisi, più forti di qualsiasi altro violinista quanto nel dimostrare che nel violino erano racchiusi suoni che fino ad allora nessuno aveva neanche sospettato. Chi aveva mai osato far convivere sul violino la melodia suonata con l'archetto e l'accompagnamento in pizzicato della mano sinistra? E infiniti altri prodigi uscivano dal suo Guarneri del Gesù: i suoni armonici, i raddoppi, i bicordi, gli accordi, gli arpeggi, la varietà dei colpi d'arco, le spericolate arrampicate verso l'acuto, lo sfruttamento del registro grave della scomoda quarta corda, il caratteristico dialogo di timbri ottenuto passando repentinamente da un registro all'altro.

Il virtuoso Paganini è morto, ma restano le sue composizioni a testimoniare ciò che egli sapeva fare col violino, sebbene molti dei suoi prodigi - forse i più sbalorditivi - fossero legati all'estro momentaneo dell'improvvisazione. Ma non bisogna credere che il Paganini compositore sia interessante soltanto come eco del Paganini violinista, perché ha un suo autonomo valore. Purtroppo i posteri si sono accontentati di ascoltare sempre le stesse poche composizioni, con la "complicità" di Paganini stesso, che in vita pubblicò pochissimo - perché le sue composizioni erano prima di tutto una miniera cui attingere per le sue proprie esibizioni - e che lasciò i suoi manoscritti in estremo disordine.

Questa scarsa cura di Paganini stesso per le sue composizioni coinvolge anche i Concerti, alcuni dei quali sono andati perduti, mentre altri ci sono giunti incompleti, senza la partitura orchestrale. Questi problemi non toccano il Concerto n. 2 in si minore, op. 7, composto a Napoli nel 1826 in vista della grande tournée europea iniziata da Paganini nel 1828. L'orchestra è di ampie dimensioni: significativamente l'organico usuale dei concerti e delle sinfonie romantiche (due flauti, due oboi, due clarinetti, fagotto, due corni, due trombe, tre tromboni, timpani e archi) è arricchito con alcuni strumenti tipici di un'orchestra operistica (o d'una banda) quali il serpentone, il cimbasso, la grancassa e il campanello. Il Concerto stesso non ha molto della struttura classica. Il primo movimento, Allegro maestoso, dopo un'ampia introduzione orchestrale, è infatti formato da tre episodi quasi irrelati tra loro (ognuno presenta un tema diverso, subito seguito da una libera appendice virtuosistica), dove è il solista a far da mattatore. Un riepilogo orchestrale conclude il movimento.

L'Adagio centrale si apre con un'introduzione orchestrale dapprima cupa, poi maestosa, con alcuni bei tocchi strumentali (ma il passaggio iniziale dei corni è copiato quasi letteralmente dal Concerto n. 24 di Viotti). Con l'entrata in scena del solista queste premesse sinfoniche vengono a cadere: il carattere è infatti quello di un'aria operistica, ma la melodia è così pura e limpida, arricchita da abbellimenti rispondenti a precise esigenze espressive, da far apparire pedante ogni critica. (Nel manoscritto autografo esiste anche un altro tempo lento, alternativo a questo, che poi Paganini stesso accantonò).

Il finale è il celeberrimo Rondò (Andantino allegretto moderato), che ha dato il nome al Concerto e che è stato rielaborato da Liszt, da Busoni e da tanti altri compositori, grandi e piccoli. È caratterizzato dalla presenza in orchestra d'un campanello, che suona durante i "tutti" e soprattutto dialoga col solista, in una sorta di botta e risposta, in cui gli armonici del violino gareggiano coi suoi argentei tintinnii. Quest'effetto originale ed incantevole viene proposto nei tre refrain, interrotti da due couplet, dando vita a una parata di spunti virtuosistici, non privi d'una loro eleganza.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La storia della trasmissione e della ricezione dei concerti paganiniani è alquanto complessa e merita qualche riga di spiegazione. Nella Nota manoscritta delle opere di Niccolò Paganini, redatta dal figlio Achille, si legge che il musicista genovese avrebbe composto otto concerti per violino, quattro completi dell'orchestrazione e altrettanti senza le parti dell'orchestra. Di questi a noi ne sono giunti sei, numerati però da uno a cinque. Il sesto concerto infatti è un'opera giovanile (anteriore al 1815) fuori numerazione, riscoperto nel 1972 (parti non autografe del violino e della chitarra) e pubblicato l'anno dopo dall'Istituto di Studi Paganiniani con l'orchestrazione di Federico Mompellio. Degli altri, i primi due furono pubblicati a Parigi nel 1851, il terzo, tornato alla luce solo una ventina d'anni fa allorché gli eredi di Paganini vendettero a una casa discografica l'autografo del lavoro, fu eseguito per la prima volta a Londra nel 1971. Il quarto concerto, rimasto anch'esso inedito per oltre un secolo, è stato pubblicato nel 1954, dopo che alla parte del violino, ritrovata tra le carte del contrabbassista Giovanni Bottesini, s'unì la partitura d'orchestra di cui era entrato in possesso il maestro Natale Gallini di Milano. Infine dell'ultimo concerto, il quinto, composto nel 1830 e mai eseguito da Paganini in pubblico, esisteva l'autografo della sola parte del violino. Su commissione dell'Accademia Chigiana, Mompellio compose le parti orchestrali e l'opera venne eseguita per la prima volta a Siena il 13 settembre del 1958 e pubblicata nel 1959.

Nel 1828 Paganini intraprese una lunga tournée (durata sino al 1834) che lo portò a esibirsi in molti centri d'Europa: Vienna, Praga, Breslavia, Varsavia, Dresda, Lipsia, Berlino, Francoforte, Parigi, Bruxelles, Londra, Edimburgo, Dublino e in tante altre città. Edward Neill, nella recente e documentatissima biografia del musicista (Niccolò Paganini il cavaliere filarmonico, Genova, 1990), riporta una tabella dei concerti tenuti in Germania e in Polonia tra il gennaio del 1829 e il febbraio del 1830 dalla quale risulta che Paganini si esibì ben 102 volte: considerando i tempi e le difficoltà degli spostamenti tale numero è molto elevato.

Dell'enorme impressione e successo riportato in questa sua tournée vorrei citare una sola ma illustre testimonianza, quella cioè di Schumann che assistette al concerto del violinista genovese a Francoforte, la domenica di Pasqua (1° marzo) del 1830: «Mai mi fu dato di ascoltare un fenomeno del genere. Egli iniziò con un suono esile, e gradualmente, in modo impercettibile, il suo magnetismo librò catene sopra l'uditorio. Dapprima esse vagavano qua e là, poi i loro anelli si fecero più tentatori e legarono le anime sempre più strette fino a fonderle in un tutto che stava compatto di fronte al Maestro». Qualche anno dopo, e sempre sotto l'impressione provata nell'ascoltare Paganini dal vivo, Schumann lo rievocò nel Carnaval (1835) e ne trascrisse parte dei Capricci nei Sechs Konzertetüden nach Capricen von Paganini (1833).

Ma che cosa eseguiva Paganini nei suoi concerti? Il concerto pubblico nei primi decenni dell'Ottocento si svolgeva in maniera alquanto diversa da quanto accade oggi. (Il recital infatti fu introdotto da Liszt negli anni Trenta e per diversi anni rimase ancora un'eccezione; il moderno concerto sinfonico è un prodotto della seconda metà dell'Ottocento). Per dare un'idea di un'esibizione di Paganini, riporto qui di seguito il programma del concerto del 29 marzo del 1828 a Vienna, il primo della sua tournée europea:

1) Ouverture dal Fidelio di Beethoven
2) Concerto per violino nei tempi Allegro maestoso, Andante cantabile e Rondò allegretto (quest'ultimo con accompagnamento di campanello).
3) Aria di Paër cantata dalla Signora Bianchi.
4) Sonata Militare sulla quarta corda, composta ed eseguita dal concertista con accompagnamento d'orchestra.
5) Rondò Non lusingarti, o barbaro del Signor Romani cantato dalla Signora Bianchi.
6) Larghetto e Variazioni per Violino sul Rondò dell'opera La Cenerentola di Rossini, composte ed eseguite dal concertista.

Nella scorta di lavori che il musicista porta con sé per la sua tournée figurano il Concerto in re maggiore n. 1, il Concerto in si minore n. 2 e il Concerto in mi maggiore n. 3; ad essi si aggiungono gli altri due composti proprio durante il suo lungo giro per l'Europa.

La composizione de Concerto n. 2 risale al soggiorno di Paganini a Napoli dove sbarca nel novembre del 1825, reduce da una serie di concerti trionfali a Palermo. Nella città partenopea si fermerà quasi un anno e mezzo (tantissimo per i ritmi frenetici del musicista), invitato da Barbaja, l'influente impresario del Teatro San Carlo. Problemi di salute (il musicista accenna a una insopportabile tosse) lo inducono prima ad un rinvio e poi all'annullamento dei concerti nel teatro napoletano. Tuttavia, come sempre nei periodi di stasi, Paganini si dedica alla composizione e, da una lettera inviata all'amico Pietro Germi il 12 dicembre del 1826, si viene a sapere che egli aveva completato un «secondo concerto con un campanello obbligato e un terzo con Polacca»: informazioni preziose che consentono di stabilire dei punti di riferimento per la datazione dei Concerti n. 2 e 3. Lasciata Napoli, il musicista si reca a Roma e quindi a Firenze dove, nel giugno del 1827, esegue per la prima volta il Concerto n. 2. Noto comunemente col titolo La campanella, divenne ben presto una delle composizioni più famose di Paganini anche se nell'Ottocento veniva più spesso eseguito il solo terzo movimento, il Rondò che dà il nome all'intero concerto, per lo più nella riduzione per violino e pianoforte di celebri virtuosi come Kreisler o Kochanski. Rispetto al Concerto n. 1 Paganini impiega qui un'orchestrazione più ricca che comprende, oltre agli archi e ai legni, due corni, due trombe, tre tromboni, serpentone, cimbasso, timpani, piatti, grancassa e campanello in fa diesis.

Il primo movimento, Allegro maestoso, inizia con un'ampia introduzione orchestrale la cui prima parte è caratterizzata da un'idea tematica fortemente scandita ritmicamente - idea che però non corrisponde al primo tema del solista -, mentre la seconda, in re maggiore, introduce una melodia cantabile che ha il carattere di un'aria d'opera non priva di reminiscenze rossiniane; questa melodia ritornerà più avanti come secondo tema del violino solista. Un'estesa coda con funzione cadenzale conclude l'introduzione riportandoci alla tonalità di si minore. Il solista fa la sua entrata con un primo tema febbrile e appassionato, una frase enunciata nel registro sovracuto del violino, che poi volge in figurazioni brillanti d'arpeggi e di passaggi a corde doppie. Una breve transizione del tutti porta al secondo tema cantabile che abbiamo già ascoltato nell'introduzione. Questa volta però il violino, dopo aver esposto l'intera melodia, introduce un episodio che non ha riferimenti al materiale tematico ed è piuttosto un'esibizione di alta tecnica violinistica basata sull'impiego delle corde doppie (per seste e per decime) con le quali si conclude l'esposizione. La parte centrale, più che una sezione di sviluppo in senso classico, è costituita da una serie di libere divagazioni che si riallacciano al genere della variazione e ancor più della parafrasi. Riprende il tutti che ripete variandola la seconda parte dell'introduzione con funzione di ritornello. La successiva entrata del solista presenta una nuova idea melodica in mi minore che ha un andamento simile al primo tema; essa però, dopo alcune battute, viene accantonata e il violino si libra in nuove e sempre più ardite figurazioni virtuosistiche che segnano il punto culminante del movimento. Una breve transizione del tutti riconduce il secondo tema alla tonica (ma nel modo maggiore), che viene riproposto con gli stessi passaggi della sua prima esposizione. Prima della cadenza solistica abbiamo un altro intervento dell'orchestra con il ritornello anch'esso in si maggiore. Una breve coda del tutti orchestrale conclude il movimento.

L'Adagio, molto più breve rispetto al primo e all'ultimo movimento, colpisce subito per l'esordio romantico dei corni che evoca l'innalzarsi del sipario di una scena operistica e funge da introduzione all'entrata del solista. Questa si caratterizza per una melodia cantabile dal profilo limpido ed elegante, con i tratti di un'aria d'opera in piena regola, accompagnata con discrezione dal pizzicato degli archi, quasi a simulare una gigantesca chitarra e punteggiata dagli interventi dei corni. Tale melodia viene poi ripetuta, variata e arricchita da figurazioni ornamentali, per spegnersi infine con un effetto in eco su una scala per terze nel registro sopracuto sul richiamo dei corni.

Il Rondò conclusivo (Andantino, Allegro moderato) «La campanella» è detto così per la presenza in orchestra di un campanello in fa diesis che, oltre a squillare gaiamente nel tutti, dialoga a domanda e risposta con gli armonici del violino come a suggerire una «specie di comparazione tra un effetto reale e un effetto artificiale» (E. Neill). L'architettura formale del brano è quella classica del rondò: ABACA e costituisce la delizia di chi ama i giochi pirotecnici di fantasmagorie virtuosistiche. Questo brano colpì la fantasia di diversi musicisti e in particolare di Liszt che ne fece una mirabile reinvenzione per pianoforte (parlare di trascrizione sarebbe in questo caso riduttivo) prima nella Grande fantaisie de bravoure sur la Clochette (1832) e quindi nel terzo dei suoi Etudes d'exécution transcendante d'après Paganini del 1838, ripubblicati in una seconda versione nel 1851 col titolo Grandes Etudes de Paganini.

Il movimento inizia con il solista che espone il tema-ritornello dal carattere brioso e pieno di slancio del quale l'orchestra riprende solo la prima parte e che viene completato dal violino nella sua seconda entrata. La prima strofa presenta un dispiegarsi di motivi brillanti di spettacolare virtuosismo, segue il ritornello intonato dal violino e ripetuto quindi dall'orchestra. La seconda strofa, in sol maggiore, ha un avvio più morbido, ma, dopo alcune battute, i passaggi virtuosistici hanno il sopravvento e vedono per la prima volta impiegato in un concerto paganiniano i pizzicati con la mano sinistra, ora protagonisti di lunghi e scoppiettanti passaggi, ora in dialogo con gli armonici, ora in chiusura di frase. Un ultimo e più breve ritornello conclude il concerto.

Nino Schillirò


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 28 ottobre 2000
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 76 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 24 febbraio 2019