Primo Concerto in mi bemolle maggiore, op. 6


Musica: Niccolò Paganini (1782 - 1840)
  1. Allegro maestoso. Tempo giusto
  2. Adagio
  3. Rondò: Allegro spiritoso. Un poco più presto
Organico originale: violino solista con scordatura, flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, fagotto, 2 corni, 2 trombe, trombone, archi
Organico espanso: violino solista con scordatura, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, fagotto, controfagotto, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, banda turca (grancassa, piatto crash, piatto sospeso), archi
Composizione: 1815 - 1816
Prima esecuzione: Genova, Teatro S. Agostino, 8 settembre 1815
Edizione: Schonenberger, Parigi, e Schott, Magonza, 1851

Spesso questo concerto viene suonato in re maggiore ma la trascrizione non è di Paganini
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Intorno a Nicolò Paganini sono fiorite numerose leggende assolutamente fantasiose, alimentate da una pubblicistica che già allora aveva imparato a creare eventi e personaggi sensazionali per attrarre lettori. Sono poche invece le testimonianze attendibili sulla sua arte. Particolarmente preziosa è l'ampia e particolareggiata analisi del suo modo di suonare lasciata dal violinista e direttore d'orchestra Karl Guhr, che l'aveva osservato e studiato a lungo di nascosto: "È evidente che tutto un mondo separa Paganini dagli altri violinisti; i quali, tanto dal punto di vista tecnico che da quello della sentimentalità erano riusciti, così pensavano, ad assicurare al violino il potere di commuovere l'animo umano. Ma costoro, per quanto si differenziassero per temperamento o nazionalità, si assomigliavano più o meno tutti nel modo di usare l'archetto, nel produrre il suono e nell'esecuzione. Arriva Paganini, con un colpo di archetto spezza la tradizione, aprendo uno spazio senza limiti alla fantasia, all'immaginazione e alla tecnica. Originalità terribile, che porta fatalmente con sé la sua debolezza: l'impossibilità di uscire dal proprio io! Ecco perché Paganini è tanto inferiore a se stesso quando esegue composizioni di altri maestri. La sua immaginazione è ardente e attiva, quando esprime poeticamente le sue sensazioni, mentre è imbarazzata quando si sforza di uscire da se stesso. Quando suona Beethoven o Mozart non riesce a spogliarsi del suo io: le sue idee filtrano attraverso quelle dei grandi maestri e, trascinato dalla propria prodigiosa facilità, è costretto a frenarsi per non mischiarvi qualche tour de force". Entrando più nell'aspetto tecnico Guhr constatava che Paganini si distingueva dagli altri violinisti principalmente:

  1. Per il modo di accordare il suo strumento
  2. Per il modo di usare l'archetto
  3. Per la fusione e il legame dei suoni prodotti dall'archetto con il pizzicato della mano sinistra
  4. Per l'impiego di suoni armonici semplici o doppi
  5. Per la sua esecuzione sulla corda di sol
  6. Per gli incredibili tour de force

Guhr rivolge dunque la sua attenzione al Paganini violinista, trascurando il Paganini compositore: era un atteggiamento comune e questo spiega perché non ci si sia presa cura delle sue composizioni, tanto che di molte si persero le tracce per lungo tempo, o per sempre. Per esempio, degli otto Concerti per violino elencati nella Nota manoscritta delle opere di Nicolò Paganini stilata dal figlio Achille, ne sono stati ritrovati soltanto sei, alcuni molto tempo dopo la morte dell'autore. L'ultimo è ritornato alla luce soltanto nel 1972 ma era stato composto prima del 1815: ne consegue che il Concerto n. 1 in re maggiore op. 6, risalente al 1815-1816 e pubblicato postumo nel 1851, è in realtà il secondo in ordine cronologico.

Il manoscritto originale di questo Concerto prevede un'orchestra formata da flauto, due oboi, due clarinetti, un fagotto, due corni, due trombe, un trombone e archi, ma sono state rintracciate parti d'orchestra staccate - alcune delle quali autografe - anche per un secondo flauto, un secondo trombone, trombone basso, serpentone, cimbasso, timpani, piatti, gran cassa e banda turca: in tal modo l'orchestra passerebbe da dimensioni mozartiane a sonorità alquanto bandistiche! Anche sulla tonalità del Concerto sono possibili due diverse soluzioni: l'originale infatti è in mi bemolle maggiore e prevede che il violino sia accordato un semitono sopra la norma, per ottenere un suono più brillante e penetrante; ma nella prassi esecutiva si è imposto l'uso di non "scordare" il violino e di suonare quindi il Concerto un semitono sotto, in re maggiore.

Questo Concerto testimonia la raggiunta maturità come compositore del trentaquattrenne Paganini ed è considerato una delle sue opere migliori, capace di unire, all'interno di una forma ampiamente sviluppata, un caldo eloquio melodico di grande e immediata presa ai dirompenti procedimenti virtuosistici, di volta in volta turbinosi o brillanti.

Due temi contrastanti - marziale il primo, lirico ed espressivo il secondo - sono presentati dall'orchestra nell'ampia introduzione al primo movimento, Allegro maestoso. Al suo ingresso in scena il violino riprende il primo tema, con acrobatici salti, arpeggi funambolici verso l'acuto e verso il grave, perentori ed energici accordi, che sono il "biglietto da visita più paganiniano che si possa immaginare" (Alberto Cantù). Ma è paganiniano, sul versante della cantabilità romantica, calda e avvolgente, anche il secondo tema, che il violino riprende dapprima sul cantino (la corda più acuta del violino, e in generale degli strumenti a corda con manico, n.d.r.) per poi passarlo alle corde più gravi, dove si espande con accenti pieni di cuore e di dolore" (Albert Bachmann). Nello sviluppo questi due temi sono messi da parte: s'incontra dapprima un Recitativo, con spunti dal colore ungherese o zigano; poi un episodio di marcato virtuosismo in tonalità minore, con decime acutissime che precipitano improvvisamente nel registro centrale e con bicordi alternati a difficoltosissimi passaggi con l'arco "gettato"; quindi un'oasi di vibrante lirismo, affidata prevalentemente al timbro grave e caldo della quarta corda, ma conclusa nel registro acuto; infine il ritorno dell'episodio in minore. Il movimento si conclude col secondo tema e con una breve coda virtuosistica, ovviamente preceduta dalla regolamentare cadenza solistica, non scritta da Paganini ma lasciata alla libera scelta del violinista, che può improvvisarla o (più frequentemente) suonarne una delle tante scritte da grandi virtuosi come Karl Flesch e Fritz Kreisler.

L'Adagio, in si minore, è noto come "aria della prigione", perché ha qualche carattere stilistico in comune con questa tipologia di Aria, molto diffusa nel melodramma italiano, dal periodo barocco fino a Verdi. Esiste anche una spiegazione più aneddotica: Paganini si sarebbe ispirato a una scena in cui il celebre attore Giuseppe De Marini invocava in una cupa cella "la morte come unico rimedio per porre fine alle sue sofferenze". Si basa su un'ampia e patetica melodia cantabile, ornata con misura da espressive fioriture, che viene intervallata da due episodi secondari, il primo dal tono più sereno e quasi arcadico, il secondo agitato e melodrammatico.

Conclude il Concerto un Rondò, in tempo Allegretto spiritoso: è un pezzo dal carattere spigliatamente popolaresco e di contagiosa vivacità, in cui l'estro di Paganini può sbrigliarsi in una pirotecnica varietà di acrobazie virtuosistiche di trascendentale difficoltà: tra l'altro compaiono qui per la prima volta in un Concerto quegli armonici doppi che, secondo il citato Guhr, erano uno dei marchi distintivi del violinismo paganiniano.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Per i virtuosi di uno strumento che percorrevano le strade di tutt'Europa, l'epoca di Paganini è un'epoca di transizione. Da una parte, l'antica pratica sopravviveva nella composizione su schemi formali chiari, elementari e non problematici (soprattutto le variazioni su un tema favorito), che erano un invito a esibire la bravura e il talento improvvisativo, considerato uno dei caratteri più spiccati del virtuosismo strumentale. Dall'altra, una nuova attenzione investiva la composizione, spostando l'asse dell'interesse verso strutture formali più complesse ed elaborate, nelle quali il virtuosismo non fosse più un semplice elemento decorativo - e parassitario - bensì uno stimolo per l'immaginazione, una sfida tecnica per trasfigurare la materia sonora. Il talento paganiniano ebbe modo di manifestarsi, e di impressionare le platee d'Europa, per ciò che riguarda l'uno e l'altro aspetto: l'ammirazione della generazione romantica non riguarda solo il virtuoso di talento e l'abile improvvisatore, ma anche il compositore di musica strumentale, colui che all'arte della musica aveva saputo additare nuove vie. Se ciò poteva accadere, era perché la creatività paganiniana era intimamente legata al virtuosismo, inteso non tanto come pretesto per l'esibizione superficiale di funamboliche acrobazie, quanto come mezzo per superare una sfida tecnica e dare libero corso a un'immaginazione visionaria. Nei concerti per violino, come nei numerosi cicli di variazioni eseguiti regolarmente destando l'ammirazione generale, Paganini mette in atto un rapporto dialettico tra uno schema determinato, spesso ripetitivo, e l'estro, l'invenzione, la sorpresa determinata dall'effetto momentaneo (la libertà creativa, il gesto sonoro imprevedibile sono il principio fondante dell'esibizione virtuosistica, dell'esecuzione che ha valore per se stessa invece di dipendere da una forma musicale).

Tale atteggiamento pervade ampiamente anche il Concerto per violino e orchestra n. 1, nel quale la forma classica dovrebbe imbrigliare saldamente le tendenze centrifughe. Si ascolti, ad esempio, con quanta libertà il solista rielabora i materiali tematici dell'esposizione del primo movimento (Allegro maestoso) sin dal suo primo ingresso, e con quale fantasia allinea sempre nuovi episodi solistici: a dominare incontrastati, qui, sono l'estro improvvisativo, la libera invenzione, gli sbalzi umorali. Gli episodi paiono offrire lo spunto per l'esibizione di un campionario completo di difficoltà tecniche: passi in terze, seste o decime, armonici semplici e doppi, scale e arpeggi, passi d'agilità, effetti illusionistici di moltiplicazione delle fonti sonore, sino ai limiti della bizzarria. Ma si noti anche ciò che accade al termine dell'Esposizione, nel luogo in cui ci si aspetterebbe uno sviluppo che elabori, con un lavoro di scavo, i materiali tematici costitutivi del movimento. Paganini segue vie proprie: propone dapprima un tema intensamente lirico, poi imposta un lungo episodio rapsodico, nel quale il violino solista si comporta come un personaggio sulla scena di un'opera. Un atteggiamento che rivela la familiarità, e l'affinità strutturale, con i modelli operistici italiani piuttosto che con gli sviluppi del sonatismo classico viennese.

Sulle capacità cantabili del violino è interamente fondato il secondo movimento (Adagio), nel quale il virtuosismo cede il campo a una linea melodica spiegata, a un canto intenso e spontaneo che ha i suoi modelli, ancora una volta, nell'aria d'opera italiana. In questo, come in altri Adagi paganiniani, affiora una vena lirica malinconica e assai personale, ma inconfondibilmente italiana nelle sue inflessioni belcantistiche e melodrammatiche: con il canto vibrante, altamente espressivo del suo violino, Paganini si mostra degno figlio dì una nazione i cui cantanti destavano, all'epoca, l'ammirazione di tutto il mondo. Il movimento adotta una semplice forma tripartita, con ripresa abbreviata della prima parte; l'alternanza tra la prima e la seconda parte dà luogo, oltre che a temi differenti (pur ugualmente cantabili), al contrasto tra modo minore e maggiore.

Il Rondò (Allegro spiritoso), all'opposto, è improntato a una brillantezza estrema, che spicca ancora di più dopo l'intimismo dell'Adagio. Il tema principale, quanto mai frizzante, è presentato dal violino e ripreso dall'orchestra; seguono poi episodi solistici nei quali il virtuosismo del solista è messo in piena luce. Già il primo di essi è un campionario di tecnica "trascendentale" (al centro dell'episodio spiccano i difficili passi in armonici doppi). Non vengono trascurate, tuttavia, le capacità liriche del violino: il secondo episodio del rondò è interamente caratterizzato da un tema intensamente cantabile, affidato prevalentemente al registro medio dello strumento. L'ultimo episodio solistico è una ripresa, incompleta, del primo, ricondotto dalla dominante alla tonica: con questa soluzione Paganini opera quella commistione tra il rondò e la forma sonata che è comunemente praticata dai classici austro-tedeschi. Come in molte altre sue composizioni violinistiche, nel Concerto n. 1 Paganini prescrive la "scordatura": il violino principale dev'essere accordato mezzo tono sopra (suona dunque in re maggiore, mentre la partitura orchestrale è in mi bemolle), per ottenere un suono più intenso e brillante. Oggigiorno, tuttavia, la prassi della scordatura non è comunemente praticata dai violinisti: di qui la consuetudine di trasportare le parti orchestrali mezzo tono sotto, eseguendo il Concerto in re maggiore. L'organico della versione originaria, quasi cameristico, venne in seguito ampliato da Paganini: i contatti con le grandi orchestre europee e gli ambienti più vasti lo spinsero a infoltire la partitura con altri fiati e con le percussioni della "banda turca".

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Niccolò Paganini è l'ultimo rappresentante di una serie gloriosa di violinisti virtuosi che fecero grande la scuola strumentale italiana, prima che la passione per il melodramma trionfasse su ogni altra forma di cultura musicale. Con lui, però, si pongono le basi di un nuovo tipo di violinismo, nel quale la tecnica è messa al servizio dell'idea e ne costituisce la più piena realizzazione anche sotto il profilo espressivo. Creatore della figura moderna del concertista interprete e virtuoso, intimamente legata al nuovo clima romantico, Paganini fu per il violino ciò che Liszt sarebbe stato per il pianoforte: un fenomeno senza uguali nella vita musicale europea del primo Ottocento.

Per quanto le sue opere rimangano ancora oggi un punto di arrivo per ogni violinista, molti dei loro effetti non possono essere compresi se non riferiti alla eccezionale personalità del loro creatore. Paganini le compose anzitutto per se stesso, e ciò significa che la scrittura non intendeva esaurire tutte le possibilità esecutive; molte delle quali erano anzi affidate all'estro del momento, in una sorta di sfida e di improvvisazione spinta fino ai limiti estremi dell'invenzione. Ciò che contava, e che spiega l'enorme impressione destata da ogni sua esibizione, era la sorpresa che ogni volta si rinnovava di fronte alla presenza, sentita come magica se non diabolica, del creatore unico e inimitabile anche in veste di interprete. In questo senso, inseparabile dal momento storico in cui il fenomeno si manifestò, va inteso anche il termine trascendentale che sovente si accoppia a quello oggi screditato di virtuosismo: qualcosa che aspira continuamente a superarsi nella tensione verso l'infinito romantico, e di cui la straordinaria ricchezza di ardimenti tecnici, in sé mai insuperabili, rappresenta solo un mezzo.

Il favore di cui ha sempre goduto il Concerto n. 1 in Re maggiore per violino e orchestra è dovuto in primo luogo al fatto che qui la sproporzione fra intenzioni e realizzazioni è meno marcata. Paganini lo scrisse nel 1815-16, dunque nel pieno della sua carriera, ma non volle pubblicarlo probabilmente proprio per non fissare una versione assolutamente definitiva, quale in realtà era, di ciò che esso conteneva (apparve infatti postumo nel 1851 come op. 6). In origine la tonalità di questo Concerto era Mi bemolle, mentre la parte del violino era scritta in Re: il violino solista doveva essere accordato un semitono sopra per concordare con l'orchestra, che suonava in Mi bemolle. Nelle intenzioni di Paganini, quasi precursore dell'innalzamento del diapason, ciò avrebbe conferito allo strumento solista un suono più teso e brillante. Proprio come accade oggi con le orchestre americane.

Il Concerto si articola nei convenzionali tre movimenti, ma ognuno ha una struttura e per così dire un assunto diverso. Il primo, "Allegro maestoso", è basato sul contrasto, esposto subito nell'Introduzione orchestrale, fra un tema fieramente bellicoso e uno liricamente sentimentale: il modello sta nella contrapposizione fra i cosiddetti principi maschile e femminile del sonatismo beethoveniano del periodo di mezzo. Fattore unificante dei due temi, e dei loro sviluppi, è naturalmente il violino solista: il quale si appropria delle caratteristiche di entrambi i temi e le elabora fino alla fusione, cogliendone l'identità. E ciò permette sia lo slancio di acrobatiche esibizioni di bravura sia il ripiegamento lirico in una melodiosa cantabilità.

Il secondo movimento, "Adagio espressivo", in Si minore, è concepito come una grande "scena e aria" operistica, in cui la parte del canto, invece che essere affidata alla voce, è sostenuta dal violino: nell'intenso patetismo che la sostanzia sembra che Paganini volesse rappresentare l'accorata preghiera di un prigioniero, o meglio di una prigioniera. E niente fa rimpiangere la mancanza della scena teatrale per definirne l'atmosfera.

Nel terzo movimento, "Rondò, Allegro spiritoso", il violino mostra finalmente l'altra faccia, quella demoniaca e sfrontata: impegnandosi a dare sfogo alle più iperboliche combinazioni di guizzanti colpi d'arco, di difficilissimi passaggi in armonici doppi, di scale e arpeggi d'ogni genere, fino ad arrivare a registri impervi e acutissimi. Maestro dell'effetto, Paganini riserva per la fine tutti i suoi più mirabolanti fuochi d'artificio, ma quasi con ironia, invitandoci a stare al gioco, a stupirci e divertirci finchè possiamo.

Sergio Sablich


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorium Parco della Musica, 14 aprile 2007
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 211 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala dell'Orchestra del Teatro Verdi
Trieste, Teatro Comunale Giuseppe Verdi, 20 settembre 1991


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Ultimo aggiornamento 6 gennaio 2019