Quatuor pour la fin du temps


Musica: Olivier Messiaen (1908 - 1992)
  1. Liturgie de cristal
  2. Vocalise, pour l'Ange qui annonce la fin du Temps
  3. Abîmes des oiseaux
  4. Intermède
  5. Louange à l'éternité de Jésus
  6. Danse de la fureur pour les sept trompettes
  7. Fouillis d'arcs-en-ciel, pour l'Ange qui annonce la fin du Temps
  8. Louange à l'immortalité de Jésus
Organico: violino, clarinetto, violoncello, pianoforte
Composizione: Campo di concentramento di Görlitz, 1940
Prima esecuzione: Görlitz, Campo di concentramento, 15 gennaio 1941
Prima esecuzione pubblica: Parigi, Théâtre des Mathurins, 24 giugno 1941
Edizione: Durand & Cie, Parigi, 1942
Guida all'ascolto (nota 1)

Stalag di Görlitz, in Slesia: una cittadina che oggi segna il confine tra Germania e Polonia. L'organizzazione militare tedesca aveva assegnato a quel campo il numero identificativo VIII A. Una lapide all'ingresso, scritta in polacco, ricorda che dal 7 settembre 1939 all'8 maggio 1945, quando sei giorni dopo la resa della Germania il campo venne liberato dall'esercito russo, transitarono lì centoventimila prigionieri di guerra: "L'elevato numero di morti era causato dalla fame, dal freddo, dalle malattie e dai brutali omicidi commessi dai responsabili".

Durante il periodo della permanenza di Olivier Messiaen, i prigionieri erano per la maggior parte Francesi e Polacchi, con dei Belgi e dei Serbi; verranno poi gli Inglesi, i Russi, gli Statunitensi. Dopo l'8 settembre 1943, anche molti Italiani; con intento punitivo, furono sistemati nelle baracche già assegnate ai Russi.

La sera di mercoledì 15 gennaio 1941, mentre la temperatura esterna oscillava attorno ai 15 gradi sotto zero, nella baracca 27 B e per un pubblico formato da cinquemila compagni di prigionia, è stata creata una musica che evoca e annuncia la "Fine del Tempo". Composta durante la segregazione e, come ricorderà l'autore, "scritta per i musicisti e gli strumenti che avevo, per così dire, sotto mano; pianoforte, violino, violoncello, clarinetto".

Il pianoforte era un modesto verticale e molti tasti della parte destra, dopo essere stati percossi, restavano abbassati. Al violoncello mancava una corda.

Così Messiaen descrive il proprio arrivo allo Stalag: "Come tutti gli altri prigionieri, dovetti spogliarmi. Nudo com'ero, continuavo a stringere, con uno sguardo spaventato, un sacchetto che conteneva tutti i miei tesori. E cioè una piccola libreria di partiture d'orchestra in formato tascabile che sarebbero state la mia consolazione quando, come gli stessi Tedeschi, avrei sofferto la fame e il freddo. Questa eclettica, piccola libreria, andava dai Concerti Brandeburgesi di Bach alla Suite lirica di Alban Berg".

Messiaen, il già celebre violoncellista Etienne Pasquier e il clarinettista Henry Akoka vengono catturati insieme nel giugno 1940. Dopo tre settimane trascorse in un campo nei pressi di Nancy sono destinati a Görlitz, dove incontrano il giovane violinista Jean Le Boulaire, prigioniero anche lui dall'inizio dell'estate 1940, catturato negli ultimi giorni che precedettero la vittoria tedesca, la resa della Francia, la proclamazione dell'armistizio, firmato il 25 giugno 1940.

Messiaen e Pasquier verranno liberati nel febbraio 1941, in quanto ritenuti "soldati musicisti". Uomini, cioè, chiamati alle armi per suonare nelle bande militari più che per combattere. Qualifica non riconosciuta a Le Boulaire - non era noto come Messiaen e Pasquier, non poteva dimostrare di svolgere un'attività di musicista professionista come Akoka - che dovette attendere ancora qualche mese.

Anche Akoka era pronto a saltare sul camion che avrebbe riportato in Francia i "soldats musicien", ma all'ultimo istante un ufficiale tedesco gli intimò di scendere. Alla sua meraviglia, il militare rispose: "Ebreo".

Il 3 ottobre 1940 il governo collaborazionista di Vichy aveva preso le prime misure contro i cittadini francesi di religione ebraica: "Devono ritenersi esclusi dai diritti elettorali, da posizioni di responsabilità nel servizio civile, giudiziario, dal servizio militare; dalle posizioni che possano influenzare la vita culturale (insegnamento nelle scuole pubbliche, attività giornalistica o editoriale, direzioni di film o di programmi radio)". Ad Akoka non restava che la fuga: era del resto convinto che "un prigioniero, è fatto per evadere". Fuggì senza nulla, ma mai avrebbe rinunciato al suo clarinetto. Dal 1943 si unì alla Resistenza francese. Non rivedrà più suo padre [Abraham]: arrestato dalla polizia francese il 13 dicembre 1941, venne rinchiuso nel campo di Pithiviers. Il 23 settembre 1942 raggiunse con altri mille ebrei francesi Auschwitz. Sessantacinque uomini vennero destinati a diversi lavori nel Lager, gli altri furono gasati nei giorni immediatamente successivi. Abraham Akoka era tra questi.

Finita la guerra, tornati alle loro attività, i primi interpreti del Quartetto non si rivedranno più, tutti e quattro insieme; né, tutti e quattro insieme, lo suoneranno ancora. Etienne Pasquier morirà il 14 dicembre 1997 in una casa di riposo a Neuilly-sur-Seine. Jean Le Boulaire, che abbandonerà presto la musica, diventando attore di teatro e di cinema col nome d'arte di Jean Lanier, venne colpito da un ictus e morì il 9 agosto 1999. Henry Akoka era stato il primo ad andarsene. Nel 1971, raggiunta l'età della pensione e lasciata l'Orchestre Philharmonique de Radio France, iniziò ad aiutare la moglie Jeannette nella gestione della loro farmacia di Parigi. Morirà di cancro il 22 novembre 1975.

Pochi giorni dopo, Messiaen scrisse una lettera alla vedova: "Sono sconvolto, profondamente colpito nell'apprendere della morte del mio amico Henry Akoka. Lo amavo e lo rispettavo molto, come uomo, come amico, come musicista. Eravamo assieme nello Stalag VIII A a Görlitz (Slesia), ed è stato lui, nello stesso Stalag, a suonare il clarinetto alla prima esecuzione del mio Quartetto per la fine del Tempo. Poi, ha suonato spesso le mie opere, in particolare nell'Orchestra Filarmonica di Radio France. Era un uomo affascinante, profondamente intelligente, e un vero artista. Perdiamo molto, nel perderlo, ed è con tutta la mia ammirazione musicale e tutto il mio affetto che vi porgo le mie condoglianze".

Nel 1981, il compositore declinò l'invito a recarsi a Görlitz per assistere ad un'esecuzione del Quartetto, quarantanni dopo la sua creazione.

Ma nel 1992, pochi mesi prima di morire, presenziò alla riunione dell'Amicale Nationale des Anciens Prisonniers de Guerre des Oflags et Stalags VIII e partecipò ad una funzione religiosa che commemorava i compagni di prigionia scomparsi durante l'ultimo anno.

Nel 1964, André Malraux, allora ministro francese della cultura, gli aveva chiesto di comporre un Requiem in memoria dei caduti della Seconda Guerra Mondiale. Il compositore che diceva di sé: "Sono nato credente", rispose: "Perché morti? lo credo nella resurrezione". E chiamò il lavoro Et expecto resurrectionem mortuorum.

A quale tempo pensa Messiaen quando, scrivendo il Quartetto, ne invoca la fine?

Apocalisse, rivelazione. E dall'Apocalisse di Giovanni, scritta in greco, attorno alla fine del primo secolo dopo Cristo, probabilmente nell'isola di Patmos durante le persecuzioni contro le prime comunità cristiane ordinate dall'imperatore Domiziano (nel testo Roma viene paragonata alla bestia, che agisce istigata da Satana), Messiaen sceglie un solo passaggio, un'unica immagine:

"E vidi un altro Angelo possente, che scendeva dal cielo avvolto da una nube; sopra il capo aveva l'iride, il suo volto era come il sole e le gambe sembravano colonne di fuoco. Teneva in mano un piccolo libro aperto e pose il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, poi gridò come ruggisce un leone. A questo grido i sette tuoni fecero sentire le loro voci. E quando i sette tuoni ebbero parlato, io mi accingevo a scrivere, ma sentii una voce dal cielo che diceva: «Metti sotto sigillo le cose di cui hanno parlato i sette tuoni e non le scrivere». Poi, l'Angelo che avevo visto in piedi sul mare e sulla terra alzò la mano destra verso il cielo e per colui che qui vive per tutta l'eternità, che ha creato il cielo e quanto esso contiene, la terra e quanto in essa vi è, il mare e quanto racchiude, fece questo giuramento: «Non vi sarà più dilazione di tempo, ma nel giorno in cui si farà sentire la voce del settimo Angelo e quando si disporrà a suonare la tromba, allora il Mistero di Dio sarà compiuto, come egli stesso ne ha dato l'annuncio ai suoi servi i profeti»". [Apocalisse, X, 1-7).

Anni dopo, ricordando le parole pronunciate davanti ai compagni di prigionia la sera della prima esecuzione, il compositore rivelerà: "Innanzitutto ho detto loro che il Quartetto era scritto per la fine del tempo, senza alcun gioco di parole con il tempo della prigionia, ma in relazione alla fine delle nozioni di passato e di avvenire, ovvero con l'inizio dell'eternità".

Una pubblicazione del 1978, dedicata ai suoi settantanni, gli offrì l'opportunità di altre riflessioni: "Quando ero prigioniero, l'assenza di cibo mi faceva fare dei sogni colorati: vedevo l'arcobaleno dell'Angelo e strani turbinii di colori. Ma la scelta dell"'Angelo che annuncia la fine del Tempo" si basa su ragioni molto più serie. Come musicista ho lavorato sul ritmo. Il ritmo è per sua essenza cambiamento e divisione. Studiare il cambiamento e la divisione significa studiare il Tempo. Il Tempo - misurato, relativo, fisiologico, psicologico - si divide in mille modi, il più immediato dei quali è una conversione perpetua dell'avvenire nel passato. Nell'eternità questi problemi non esisteranno più, ma sono i problemi che mi sono posto nel mio Quartetto per la fine del Tempo. A dire il vero essi hanno orientato tutte le mie ricerche sonore e ritmiche da una quarantina d'anni a questa parte".

Nella Piccola teoria del mio linguaggio ritmico, pubblicata nel 1942 in occasione della prima edizione a stampa del Quartetto, l'autore è generoso di indicazioni riguardo al suo "linguaggio ritmico speciale":

"Oltre a una segreta predilezione per i numeri primi (5, 7, 11 ecc.), le nozioni di 'misura' e di 'tempo' sono sostituite dal sentimento di un valore breve (la doppia croma, per esempio) e delle sue moltiplicazioni libere, e anche da alcune 'forme ritmiche' che sono: il valore aggiunto, i ritmi aumentati o diminuiti, i ritmi non retrogradabili, il pedale ritmico": aumentare, diminuire, innervare di scansioni non prevedibili la durata dei suoni, la metrica della narrazione, nell'alternanza vivacissima - le "moltiplicazioni libere" - di brevi e di lunghe.

Il "ritmo non retrogradabile" appare come l'architrave della concezione ritmica di Messiaen. È un ritmo che si può leggere da destra a sinistra o viceversa, e sempre "l'ordine dei valori resta lo stesso". Un ritmo dinamico, che non insegue una meta e tende a riproporre se stesso, però in una molteplicità di varianti che gli esecutori devono rendere nel modo più fantasioso: "Gli interpreti non abbiano timore delle sfumature esagerate, degli accelerando, dei rallentando, di tutto ciò che rende un'interpretazione viva e sensibile".

Il nemico è l'uniformità del tempo prescelto. Il tempo deve invece essere rubato, cioè inventato, sottratto alla prevedibilità, restituito - secondo l'intuizione di Claudio Monteverdi - al "tempo dell'anima".

Il Quartetto ha otto movimenti: "L'otto della luce indefettibile, della pace inalterabile". È la circolarità senza inizio e senza fine del Tempo oltre il tempo, è l'immagine prediletta per delineare l'orizzonte inseguito e sfuggente dell'eternità.

"Quanto al carattere apocalittico, si conosce male l'Apocalisse se vi si vede soltanto un accumulo di cataclismi e di catastrofi; l'Apocalisse contiene anche luci grandi e meravigliose seguite da silenzi solenni. D'altra parte il mio scopo iniziale era l'abolizione del Tempo, cosa infinitamente misteriosa e incomprensibile alla maggior parte dei filosofi del Tempo, da Platone a Bergson".

Un mistero nel quale Messiaen sembra volersi confondere. Il cerchio eracliteo del tempo che sempre scorre e sempre ritorna, annulla ogni determinazione e realizzazione storica dell'uomo e al tempo nemico dell'anima si contrappone il Tempo senza tempo, libero, luminoso, svettante, del canto immutabile da sempre e per sempre degli uccelli: "Terzo movimento - Abisso degli uccelli. L'abisso è il Tempo, con le sue tristezze, le sue stanchezze. Gli uccelli sono il contrario del Tempo; sono il nostro desiderio di luce, di stelle, di arcobaleni, di vocalizzi giubilanti". I due abissi. Jean Le Boulaire ricordava che Messiaen insisteva perché nell'ottavo movimento del Quartetto "si sostenesse la lentezza" del tempo indicato (Estremamente lento e tenero, estatico), esattamente come lo aveva chiesto a Pasquier nel quinto movimento (Infinitamente lento, estatico). Il tempo doveva essere "lento in modo inumano, ma questa lentezza non annoia. Al contrario, ho l'impressione che questo mondo che non conosciamo debba avere in sé qualche cosa di ritmico, ma di estremamente calmo, calmo, calmo. Come una superiorità del silenzio. Quello che mi sembra bello è questo musicale silenzio. In questo momento, abbiamo davvero abbandonato la terra".

Pierre Boulez, che di Messiaen è stato allievo, così scrive in Punti di riferimento: "Messiaen dava al tempo un'attenzione che gli avevano accordato prima di lui pochi compositori; inoltre, per organizzarlo, usava mezzi assolutamente originali che scioglievano il ritmo dalla metrica tradizionale. Annetteva al ritmo una tale importanza che gli accadeva di organizzarlo prima di ogni altro aspetto del linguaggio; le strutture ritmiche potevano benissimo precedere la scrittura propriamente detta, in quanto quest'ultima era in qualche modo l'immagine di quelle. Inoltre, egli arricchiva il repertorio ritmico adattando al proprio lessico elementi di un linguaggio desunti da una ricerca "esterna", elementi mutuati dall'India o forme della prosodia greca".

"Non vi sarà più dilazione di Tempo, il Tempo sarà esaurito". È il paradosso estremo per un musicista: la musica è ritmo, misura, cambiamento, divisione. Come può esistere fuori dal tempo?

La "continua conversione" cui si riferisce Messiaen è anzitutto il procedere della memoria musicale, se l'atto stesso di ascoltare richiede il simultaneo esercizio del vivo ricordo di ciò che si è appena percepito e della predisposizione a intendere i nuovi suoni che stanno nascendo.

Ma lo svolgersi della musica e la condizione dell'ascolto possono farsi metafora civile. Noi siamo la nostra memoria e conservare memoria, di noi e di noi nel tempo della storia, è il requisito inderogabile per conoscere radici, identità, percorsi. La nostra memoria e le nostre rimozioni: quello che riusciamo a ricordare, quanto preferiamo cancellare.

La musica, che scorre nel tempo, mentre nasce già muore, ma quando svanisce persiste immateriale nel ricordo e sospende la misura del tempo; lo dilata nell'interiorità dell'ascolto, in quello spazio che si allaga di affetti e di memorie, nella "continua conversione dell'avvenire nel passato". Può superare il dolore e schiudere, anche nelle occasioni più atroci, l'orizzonte della speranza e della bellezza, senza le quali per un artista appare impossibile vivere e creare.

L'Angelo che annuncia la fine del Tempo: il suo mistero non si può rappresentare, non si può vedere. È un mistero che chiama la musica.

Quella sera, nella baracca di Görlitz, un anonimo prigioniero commentò così il Quartetto: "Questa musica ci riscatta tutti. Un riscatto sulla prigionia, la mediocrità e soprattutto, su noi stessi". L'anonimo redattore del breve articolo per "Le Lumignon", il mensile dello Stalag stampato dai prigionieri francesi dove troviamo la cronaca della prima esecuzione del Quartetto per la fine del Tempo, riportando quell'opinione, annotava: "Può esistere un elogio più giusto di questo profondo e doloroso pensiero? La cosa fondamentale, nell'ascoltare questa musica, non è ritornare dove siamo, ma a ciò che siamo".

Sandro Cappelletto

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Forse per la natura dialogica che le è propria la musica da camera ha avuto un ruolo marginale nella produzione di Olivier Messiaen: oltre al Quatuor pour la fin du Temps (1940-41), i soli pezzi cameristici pubblicati dall'autore sono il giovanile Thème et variations (1932) e l'occasionale Le merle noir (1952).

Il Quatuor ha una storia molto bella. Nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Messiaen è richiamato dall'esercito. L'anno seguente, a Nancy, il compositore cade prigioniero dei tedeschi ed è internato nel campo di Görlitz, nella Slesia polacca (oggi in Sassonia), Stalag VIII A. Qui incontra altri tre musicisti: Jean Le Boulaire (violinista), Henri Akoka (clarinettista) ed Etienne Pasquier (violoncellista). Nello zaino militare Messiaen reca con sé una piccola biblioteca di partiture e carta da musica; per i compagni di prigionia compone dapprima un Trio e quindi, pensando all'aggiunta di se stesso come pianista, il Quatuor pour la fin du Temps. La prima esecuzione avviene con sgangherati strumenti di fortuna il 15 gennaio 1941, nel gelo, davanti a cinquemila prigionieri: «Mai», ricorderà più tardi Messiaen, «ho avuto ascoltatori più attenti e comprensivi».

Il titolo potrebbe indurre a ritenere che la composizione sia stata immediatamente ispirata dalla guerra, ma in realtà si tratta di un'opera che propone - com'è abituale nella musica di Messiaen - lo svolgimento di un tema teologico. In questa partitura di ampio respiro le tecniche compositive proprie dell'autore sono impiegate certo non per la prima volta ma con decisione e consapevolezza nuove.

L'estesa prefazione all'edizione Durand è un programma e un commentario della composizione, in cui una prosa ingenuamente mistica e immaginifica convive con asciutte notazioni tecniche per render conto del soggetto teologico ed escatologico del lavoro, ispirato da un passo del X capitolo dell'Apocalisse di San Giovanni: «Ho visto un angelo pieno di forza discendere dal cielo, rivestito di una nube, con un arcobaleno sulla testa. Il suo volto era come il sole, i suoi piedi come colonne di fuoco. Posò il piede destro sul mare, il piede sinistro sulla terra, e, in piedi sul mare e sulla terra, alzò la mano verso il Cielo e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, dicendo: Non ci sarà più Tempo; ma il giorno della tromba del settimo angelo il mistero di Dio si compirà».

Messiaen accenna all'impiego delle strutture grazie alle quali egli tenta di evocare la «grandezza schiacciante del soggetto»: «modi, che realizzano melodicamente e armonicamente una sorta di ubiquità tonale» e «ritmi speciali, al di fuori di ogni misura» servono a produrre un senso di eternità, attenuando la percezione della dimensione temporale della musica. I movimenti sono otto perché «sette è il numero perfetto, la creazione dei sei giorni santificata dal sabbat divino; il sette di questo riposo si prolunga nell'eternità e diviene l'otto della luce indefettibile, della pace inalterabile».

I «modi» menzionati sono i «modi a trasposizione limitata»; sette strutture scalari basate sulla ripetizione di unità intervallari e dunque costituite da gruppi simmetrici che comportano un numero limitato (variabile da modo a modo) di trasposizioni cromatiche; tutti i modi suddividono l'ottava simmetricamente e si prestano a definire campi armonici essenzialmente statici che alludono, al contempo, a tonalità tradizionali. Quanto ai «ritmi speciali», si tratta dei procedimenti elaborati da Messiaen per superare la schematicità metrica e ritmica della scansione in misure e che il compositore francese sviluppa a partire dal suo interesse per la musica indiana. Il "valore aggiunto" è un breve valore aggiunto a qualsiasi figura ritmica per renderla meno prevedibile, più interessante. I "ritmi aumentati e diminuiti" sono moduli ritmici sottoposti a complessi procedimenti di aumentazione e diminuzione; i "ritmi non retrogradabili" infine, sono figure ritmiche perfettamente simmetriche, che dunque non consentono la retrogradazione giacché le figure non cambiano se lette da sinistra a destra o viceversa.

Il soggetto è più assimilato e simbolizzato che non rappresentato dalla musica. Paul Griffiths ha acutamente individuato le tecniche grazie alle quali si realizza la metafora della «fine del Tempo», immagine paradossale per un'espressione artistica che vive nella dimensione temporale: la ricerca della simmetria; la negazione della logica di successione lineare che determina un senso di evoluzione e sviluppo; il dispiegarsi di processi compositivi molto dilatati nel tempo; il gusto eclettico e discontinuo; la concentrazione di linguaggi e tecniche dalle origini molto diverse (dall'India del XIII secolo alla contemporaneità occidentale). Gli otto movimenti appaiono anzitutto come entità autonome, benché vi siano espliciti richiami interni tra il settimo e il secondo, nonché tra il quarto e il secondo e il sesto; in ogni caso l'ordine dei movimenti non risponde a una logica narrativa, il che si riflette tra l'altro nel fatto che i centri tonali dei movimenti stessi coincidono con i primi cinque gradi di una scala per toni interi (che sarebbe poi il primo "modo a trasposizione limitata": si bemolle - do - re - mi - fa diesis). I pannelli si differenziano, oltre che per la forma, la scrittura e l'espressione, anche per l'organico, con il quartetto al completo utilizzato soltanto in quattro occasioni (vedi Tabella 1).

Tabella 1
Movimenti Organico Centro tonale
1. Liturgie de cristal Q Si bemolle
2. Vocalise, pour l'Ange qui annonce la fin du Temps Q Re
3. Abime des oiseaux Cl Mi
4. Intermède Cl, Vl, Vlc Mi
5. Louange à l'Eternité de Jesus Vlc, Pf Mi
6. Danse de la fureur, pour les sept trompettes Q Fa diesis
7. Fouillis d'arcs-en-ciel, pour l'Ange qui annonce la fin du Temps Q Do
8. Louange à l'immortalité de Jésus Vl, Pf Mi
Q = quartetto, Cl = clarinetto, Vl = violino, Vlc = violoncello, Pf = pianoforte

Nella composizione risuonano echi di lavori precedenti. In particolare il quarto movimento - Intermède - è in sostanza il breve Trio per clarinetto, violino e violoncello che Messiaen aveva composto per i compagni di prigionia, mentre il quinto e l'ottavo - Louange à l'Eternité de Jésus e Louange à l'Immortalità de Jésus - traggono rispettivamente origine da Féte des belles eaux (1937) per sei onde martenot e da Diptyque (1930) per organo. In linea di principio la scrittura tende a porre in rilievo i tre strumenti melodici, riservando alla tastiera un prevalente ruolo di sostegno e complemento armonico.

Nel complesso "la fine del Tempo" offre dunque lo spunto per una sequenza di visioni in cui la prospettiva apocalittica (cioè di rivelazione) è funzionale a una metafisica di pace e amore, nella quale l'uomo è accolto dall'abbraccio infinito ed eterno di Dio. Ecco perché le vicende belliche non sembrano aver ispirato il Quatuor se non come fenomeni molto acuti dell'imperfezione, dell'opacità e della pena del mondo terreno, simboleggiate dal Tempo, e che sottopongono l'uomo di fede a una prova di particolare gravità: riconoscere la presenza di Dio anche negli eventi più tragici, non smarrire il senso di fratellanza che lega gli uomini. Non vibra la disperazione in questa musica, ma la fede e la speranza di un artista profondamente religioso il quale crede, oltre che in Dio naturalmente, nell'uomo, che di Dio è l'immagine sulla terra.

Il dispiegarsi di processi compositivi dilatati nel tempo si coglie sin dal primo movimento, Liturgie de cristal [Liturgia di cristallo]: «Tra le tre e le quattro del mattino, il risveglio degli uccelli; un merlo o un usignolo solista improvvisa, circondato da pulviscoli sonori, da un alone di trilli che si perdono molto in alto, tra gli alberi. Trasponete questo sul piano religioso: avrete il silenzio armonioso del cielo». In questo paesaggio le uniche presenze vive e temporali sono le voci degli uccelli, stilizzate dal clarinetto e dal violino; le loro parti, caratterizzate da ripetizioni asistematiche di cellule e motivi, sono in rapporto con i cicli regolari di figure ritmiche (principio, questo, dovuto all'interesse di Messiaen per la musica indiana ma che si riscontra anche nel mottetto isoritmico occidentale) e di accordi e di armonici che si succedono rispettivamente al pianoforte e al violoncello. Dopo l'inizio, dove s'ascoltano il primo ciclo di figure ritmiche e parte del secondo nonché il primo ciclo di accordi, il brano prosegue uniforme, sulla stessa falsariga; dal quinto ciclo di figure ritmiche s'arriva alla conclusione, prima che sia ultimato il decimo ciclo.

La ricerca della simmetria connota la forma ternaria del secondo movimento, Vocalise, pour l'Ange qui annonce la fin du Temps [Vocalizzo, per l'Angelo che annuncia la fine del Tempo]: «La prima e la terza parte (molto corte) evocano la potenza di questo angelo forte [...]. La parte centrale sono le armonie impalpabili del cielo. Al pianoforte, dolci cascate di accordi blu-arancio che circondano con il loro carillon lontano la melopea quasi gregoriana del violino e del violoncello». La prima parte è connotata da una gestualità molto icastica, con accordi del pianoforte e interventi guizzanti e decisi degli strumenti melodici. Viceversa nella parte centrale violino e violoncello con sordina intonano in ottave la loro melodia incantatoria sino alla chiusa che richiama la gestualità della prima parte.

Forma ternaria ha anche il terzo movimento, Abìme des oiseaux [Abisso degli uccelli]: «Clarinetto solo. L'abisso è il tempo, con le sue tristezze, le sue stanchezze. Gli uccelli sono il contrario del Tempo; sono il nostro desiderio di luce, di stelle, di arcobaleni e di giubilanti vocalizzi!». Nella melodia le figure musicali sono disposte come in un fitto gioco di specchi: nella prima parte è racchiusa l'immagine del Tempo; in quella centrale, decisamente contrastante, la presenza viva degli uccelli. La ripresa della prima parte chiude simmetricamente il movimento.

Sempre in forma ternaria è il breve Intermède [Intermezzo] «Scherzo, di carattere più esteriore degli altri movimenti, e tuttavia a essi collegato da alcuni "richiami" melodici». Il brano contiene echi del secondo movimento e premonizioni del sesto. Nella prima parte, dal piglio percussivo, la scrittura è all'unisono o comunque prevalentemente omoritmica, laddove in quella centrale si profilano melodie cantabili. La ripresa abbreviata della prima parte conclude il movimento, ancora una volta con una simmetria.

La maggiore discontinuità di linguaggio all'interno del Quatuor riguarda il quinto e l'ottavo movimento, Louange à l'Eternité de Jésus e Louange à l'Immortalité de Jésus. Sono due movimenti accomunati dallo stesso centro tonale, dal fatto di derivare da composizioni precedenti, dall'organico (strumento ad arco e pianoforte), dal tempo lentissimo, dalla struttura (riconducibile allo schema ABA o ABAB), dal tipo di scrittura (un'ampia, avvolgente melodia dello strumento ad arco accompagnato dagli accordi del pianoforte), dalla tecnica compositiva (ripetizione ed espansione di semplici elementi). Evidentemente coordinati, i due movimenti rappresentano, se così si può dire, il doppio finale dell'opera, introducendovi un'eloquente simmetria interna: nella «fine del Tempo», non vi è più alcuna distinzione tra inizio e fine, tra prima e dopo, tutto ruota intorno all'eternità e all'immortalità di Gesù. Ora, è indubbio che rispetto ai movimenti linguisticamente più complessi del Quatuor queste due lodi possano anche apparire sconcertanti: per la lirica, intensa cantabilità e per la semplicità del rapporto tra melodia e accompagnamento. Ma per Messiaen l'amore nei confronti di Dio è cosa serissima e viscerale; e se la lode musicale assume fattezze d'ingenua esaltazione espressiva e una spontaneità che ricicla forse inconsciamente materiali disparati non sarà certo il controllo discriminante del compositore d'avanguardia a soffocarle: esse saranno accettate e bene accolte dall'altro compositore che è in Messiaen, quello ecumenico, che scorge il sacro in ogni aspetto e in ogni gesto della vita.

Della Louange à l'Éternité de Jésus [Lode all'Eternità di Gesù] Messiaen scrive: «Qui Gesù è considerato come Verbo. Una grande frase, infinitamente lenta, del violoncello, magnifica con amore e riverenza l'eternità di questo Verbo potente e dolce, i cui anni non si esauriranno mai. La melodia si dispiega maestosamente in una sorta di lontananza tenera e sovrana. In principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio». Il solo del violoncello nel registro acuto si distende in una prima parte, una parte centrale e una ripresa della prima parte.

Condotta da cima a fondo all'unisono è la Danse de la fureur, pour le sept trompettes, [Danza del furore, per le sette trombe] «Dal punto di vista ritmico è il pezzo più caratteristico della serie. I quattro strumenti all'unisono imitano il suono di gong e trombe (le prime sei trombe dell'Apocalisse seguite da diverse catastrofi, la tromba del settimo angelo che annuncia il compimento del mistero di Dio). Impiego del valore aggiunto, dei ritmi aumentati o diminuiti, dei ritmi non retrogradabili. Musica di pietra, formidabile granito sonoro; irresistibile movimento d'acciaio, di enormi blocchi di furore porpora, di ebbrezza raggelata. Ascoltate soprattutto, verso la fine del pezzo, il terribile fortissimo con l'aumentazione e il cambio di registro delle differenti note del tema». Se la forma del movimento è piuttosto articolata, la stentorea linearità melodica attira l'attenzione sui raffinati procedimenti di elaborazione ritmica. La prima parte alterna una sezione tematica principale, di ritornello, a sezioni secondarie come in un rondò. A una ripresa che a un certo punto imbocca un nuovo corso segue la seconda parte, con motivi di fanfara che evocano il suono delle trombe: qui la struttura, simile a quella di Liturgie de cristal, si basa sul ricorso di cicli di figure ritmiche e di note. La ricomparsa dei motivi della prima parte porta quindi alla seconda metà del movimento. Nella terza parte il ritorno della sezione tematica principale è associato a scansioni percussive, che richiamano il suono dei gong, finché un progressivo accelerando conduce alla quarta parte, un epilogo dove le note della sezione tematica principale, inframmezzate da una reminescenza della fanfara della prima parte, sono trattate come rintocchi poderosi in tutti i registri dell'organico.

Simmetria, drammatizzazione tra il mutevole e l'immutabile, simbologie numeriche s'incontrano in Fouillis d'arcs-en-cliel, pour l'Ange qui annonce la fin du Temps [Viluppo di arcobaleni, per l'Angelo che annuncia la fine del Tempo]: «Ritornano qui certi passaggi del secondo movimento. Appare l'Angelo pieno di forza, e soprattutto l'arcobaleno che lo ricopre (l'arcobaleno, simbolo di pace, di saggezza, e di ogni vibrazione luminosa e sonora). Nei miei sogni odo e vedo accordi e melodie classificate, colori e forme conosciute; poi, dopo questo stadio transitorio, passo nell'irreale e subisco l'estasi di un turbinio, una compenetrazione rotatoria di suoni e colori sovrumani. Queste spade di fuoco, queste colate di lava blu-arancio, queste brusche stelle: ecco il viluppo, ecco gli arcobaleni!». Dal punto di vista della scansione formale, il settimo movimento è, insieme con il sesto, il più articolato del Quatuor. Nei sette pannelli (tanti quanti i colori dell'arcobaleno), s'alternano due sezioni che ricompaiono via via elaborate e variate: la prima, in tempo quasi lento, si basa su una lunga melodia - derivante dal ciclo Poèmes pour Mi (1936) - inizialmente affidata al violoncello accompagnato dal pianoforte; la seconda, che riprende le idee del Vocalise, pour l'Ange qui annonce la fin du Temps, in tempo più mosso e di forte incisività ritmica, Nelle riprese cambia la strumentazione della prima sezione: la melodia passa al violino, assecondato da clarinetto e pianoforte, poi al clarinetto coinvolgendo nell'accompagnamento violino, violoncello e pianoforte e quindi risuona in una sorta di apoteosi sostenuta all'unisono dai tre strumenti melodici sugli arpeggi del pianoforte. Di contro le riprese della seconda sezione mantengono il pieno organico del quartetto, addensando semmai l'intreccio e la tessitura delle parti. E, dopo l'estinguersi della melodia della prima sezione, tocca ancora allo stacco della seconda sezione concludere il movimento.

Della Louange à l'Immortalità de Jésus [Lode all'Immortalità di Gesù] Messiaen dice: «Ampio solo del violino che fa pendant col solo del violoncello del quinto movimento. Perché questa seconda lode? Essa si rivolge in modo più specifico al secondo aspetto di Gesù, a Gesù-Uomo, al Verbo fattosi carne, risuscitato immortale per trasmetterci la sua vita. Essa è tutto amore. La sua lenta ascesa verso l'estremo registro acuto è l'ascensione dell'uomo verso il suo Dio, del figlio di Dio verso suo Padre, della creatura divinizzata verso il Paradiso». Il finale accentua, se possibile, la dimensione estatica e ipnotica del quinto movimento. Qui la lunga, ininterrotta campata melodica del violino - il pianoforte si limita alla scansione accordale di un'unica figura ritmica - si dipana in volute che per due volte salgono progressivamente dal registro medio dello strumento, nella prima sezione, sino al registro acuto e sovracuto della seconda sezione.

Cesare Fertonani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorium Parco della Musica, 1 novembre 2008
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 235 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 6 settembre 2017