Kammermusik n. 5 per viola e orchestra, op. 36 n. 4


Musica: Paul Hindemith (1895 - 1963)
  1. Schnelle Halbe
  2. Langsam
  3. Mäßig schnell
  4. Variante eines Militärmarsches
Organico: viola solista, flauto (anche ottavino), oboe, clarinetto piccolo, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, corno, 2 trombe, 2 tromboni, basso tuba, 4 violoncelli, 4 contrabbassi
Composizione: primavera 1927
Prima esecuzione: Berlino, Krolloper, 3 novembre 1927
Dedica: Arnold Mendelssohn
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Personalità di prima grandezza nel firmamento musicale del Novecento, Paul Hindemith occupa un posto a sé nella storia dell'arte per la sua capacità a riunire l'antico e il nuovo, la tradizione e l'avanguardia nelle composizioni più significative, sia teatrali che orchestrali e cameristiche. Assertore dei diritti della forma, anche nei momenti più vicini alla spregiudicata reazione espressionistica, tipica degli anni Venti, egli ha sempre creduto profondamente nella validità del contrappunto ed ha mantenuto le distanze sia dall'intellettualismo con sottintesi letterari dell'ultimo romanticismo che dall'impressionismo psicologico e dallo sperimentalismo fine a se stesso. Il senso della sua adesione alla poetica della cosiddetta «Neue Sachlichkeit» (Nuova oggettività) vuole essere appunto una riaffermazione degli aspetti strutturali del linguaggio musicale, inteso anche come elaborazione artigianale di planimetrie armoniche e di geometrie ritmiche. A parte alcune concessioni alla «Gebrauchsmusik» (musica d'uso), carica di allegorie pedagogiche e a sfondo sociale e perseguita con risultati ben più brillanti da Kurt Weill in coppia con Bertolt Brecht, Hindemith è rimasto fedele al suo sogno di musicista puro, che crede nella sicurezza e nella padronanza del «mestiere» e nella felicità, pur estemporanea e rapsodica, del discorso sonoro, costruttivamente lineare e ritmicamente, spigliato, così da ricollegarsi in un certo modo ad alcuni atteggiamenti più o meno somiglianti di un Bartók o di uno Stravinsky, maturati nello stesso periodo storico. Del resto questa maniera di far musica, questo stile compositivo hindemithiano si può evidenziare con chiarezza e nettezza di contorni nel ciclo delle Kammermusiken, concepite in forma concertante e per tale ragione ricollegate per analogia con i Concerti brandeburghesi di Bach, elaborati e sviluppati, come è noto, sul rapporto dialogico fra il «solo» e il «tutti» degli strumenti. Si può dire che una robusta e pulsante vitalità sonora domina le sei Kammermusiken (ma sono sette, se viene considerata l'op. 46 n. 2 per organo e piccola orchestra), dove gli scatenamenti ritmici e i sussulti sonori sono guidati e governati dalla ferrea logica della costruzione musicale. E dentro il vortice del carosello timbrico e della dialettica discorsiva, così in evidenza da attingere i confini del barocco, si mantiene costante il rispetto dei piani prospettici e dialogici, prevalentemente impostati su un rigoroso criterio imitatorio. Anche quando affiora un velo di malinconia in alcuni Adagi, Hindemith non cade mai nella pienezza del pessimismo e tende a placare l'ardore delle impulsività ritmiche in una conversazione meno eccentrica e più distesa.

Profondo conoscitore della viola, suo strumento preferito, Hindemith mostra tutta la sua abilità espressiva nella Kammermusik n. 5, dedicata appunto alla viola in funzione concertante e contrapposta ad un organico orchestrale da camera. Scritto nel 1927, questo lavoro è forse il più conosciuto, insieme alla prima Kammermusik per la sua brillante inventiva tematica e per quel recupero della suggestione timbrica e melodica, avvertibile soprattutto nel secondo movimento, Lento, in cui l'autore si richiama ad un lirismo contemplativo e incontaminato, sempre presente nel musicista, anche se proiettato su vari versanti stilistici. Vivo e frizzante nel ritmo è il primo tempo, molto solido e compatto nel dinamismo del discorso strumentale; il terzo tempo è caratterizzato dall'incedere marcato e perentorio della viola nel contesto di una fitta progressione armonica degli altri strumenti. Nell'ultimo tempo la viola tocca zone solistiche e virtuosistiche, sorretta da un impianto base, organicamente costruito, di marcia militare di saldo respiro strumentale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo le tresche dadaiste della «Kammermusik Nr. 1 mit Finale 1921», la reputazione rivoluzionaria di Hindemith mutò nello spazio di un paio d'anni in quella della figura eminente del modernismo tedesco. Onnipresente quale interprete, fondatore e viola del quartetto Amar, solista sulla viola e viola d'amore nei suoi concerti, direttore del festival di Donaueschingen, titolare di composizione alla Hochschule di Berlino, Hindemith elaborò una sua personale poetica neoclassica, un aspetto della quale sarà il recupero dei dilettanti attraverso una musica d'impiego didattico, che influenzerà profondamente la vita musicale mitteleuropea.

Sconfitti, gli espressionisti ripiegarono sul sarcasmo: «Hindemith kratzt auf seiner Bratsche». Come Pierrot, Hindemith non si stancava di grattare la propria viola.

Le quattro Kammermusik op. 36, composte nello spazio di tre anni (1924-27), sono tutte per uno strumento concertante (nell'ordine: pianoforte, violoncello, violino, viola), e, nella memoria di Bach e sulle orme dello Strawinsky delI'«Ottetto» e del «Concerto», rifiutano provocazione ed avventure.

Il primo tempo della quinta Kammermusik presenta il caratteristico stile motorio dell'autore: una sorta di inarrestabile moto perpetuo di crome, su cui aleggia nello spunto di apertura la memoria del Sesto Concerto Brandenburghese e delle sue viole, ancor più quando il motivo del solista dà luogo ad un serrato canone all'unisono con i clarinetti. Il secondo tempo, tripartito, è costruito sopra un ostinato melodico dei bassi, liricamente contrappuntato dal solista.

E la sezione centrale vede viola e flauto librarsi sopra un altro ostinato dei quattro violoncelli. La ripresa amplia le premesse melodiche e virtuosistiche della esposizione. Il terzo tempo, polifonico, potrebbe esser detto un fugato carezzevole, tanto la quadratura del modello bachiano è qui ammansita dal generico metodizzare. Virtuosistico l'ordito compositivo, in cui ogni frammento contrappuntistico è derivato dal tema fondamentale. Il Finale è una sorta di rondò variato su una marcia militare bavarese, fra cui s'inserisce un'ampia cadenza del solista, seguita da un ultimo tratto del Hindemith «fauve»: la ripresa della marcia svolta simultaneamente in due tonalità diverse fra oboe, clarinetto ed ottavino, un tratto grottesco, cui segue una dissolvenza del ritmo marziale su un ghirigoro lirico del solista.

Gioacchino Lanza Tommasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Fiato alle trombe del suo insaziabile cipiglio fustigatore, Adorno inizia nel 1926 a sferrare i primi attacchi contro Hindemith «il musicante»: l'onta di un primitivo, giovanile, assenso (1922) veniva cosi parzialmente lavata. Da questo momento fino al saggio del 1968 («Postludio»), a esequie ormai avvenute, la preda, e con lei tutto un vasto, ma assai differenziato filone della musica del '900 (e la sua ideologia) che per impropria comodità passa sotto il nome di «neoclassicismo», non fu più risparmiata dai suoi strali polemici. Camaleonticamente sfuggente nei meandri del suo ben noto eclettismo — «forma mentis» e non posa —, anche quando muta faccia il musicista tedesco viene sempre indiziato di reato. Vuoi per il postulato di una «neutralità» dell'arte che la critica marxiana con facilità smaschera, per il troppo sbandierato flirt con Stravinsky e la sua banda, per il deplorato distacco dall'avanguardia (dopo «Mathis der Maler», 1934-35) e, progressivo e fatale gesto di perdizione, in seguito alla pubblicazione del famigerato «Unterweisung im Tonsatz» (1937-39), Hindemith diventò per la generazione dei musicisti più giovani — facenti appunto capo ad Adorno —, simbolo della reazione e del passatismo.

Il compositore da parte sua sorretto da una teutonica certezza palingenetica (trionfo della tonalità, identità fra attività creativa e didattica, fra prodotto e consumo), non dissimile nel suo invasamento, anche se di segno diametralmente opposto, a quella del criterio, continuò tranquillo per la sua strada: il dialogo, infatti, lo sapeva, era fra sordi.

Con la «Kammermusik» per viola e orchestra — la serie delle «Kammermusiken» ammonta complessivamente a sette —, composta nel 1927 e dedicata da Hindemith al suo primo maestro di contrappunto, Arnold Mendelssohn, ci troviamo di fronte a una delle composizioni strumentali più felici, e più celebri, dell'autore, capace di esemplificare in maniera tangibile la metamorfosi, nient'affatto pacifica, bensì conflittuale, fra la prima e la seconda fase compositiva, nessuna delle due comunque unidirezionale.

Dopo l'infatuamento postromantico strauss-regeriano («Lieder», «Sinfonietta» op. 4), l'accesa visionarietà espressionista («Mörder, Hoffnung der Frauen», 1919, «Sancta Susanna», 1921), la curiosa incursione nel jazz («Kammermusik» n. 1, 1921) e nella musica da cabaret, «Cardillac» (1925) con il suo stile concertante, l'inflessibilità del ritmo motorio e il serrato contrappunto, castiga gli appetiti eterogenei, esigendo «points de repère» sicuri e solidi, quelli stessi che il costruttivismo e la «nuova oggettività» venivano autonomamente formulando.

E se Gropìus, in architettura come nelle arti applicate, sta realizzando un «Gesamtkunstwerk» socialmente utile e funzionale, appellandosi alla lucida e razionale geometria degli oggetti, Hindemith questa stessa liquidazione dell'orpello sentimentale e affettivo, senza bisogno di scomodare l'interdisciplinarietà che pure indubbiamente vi fu, trova nella musicologia di quegli anni. Fin dal 1917, infatti, Ernst Kurth nel suo volume «Fondamenti di contrappunto lineare. La melodia polifonica di Bach» si proponeva di sottolineare la «pura» fruibilità dell'elemento sonoro, il logico, e astratto, dinamismo della matassa polifonica seguito a breve distanza (1922) nelle sue cerebrali argomentazioni da Wilhelm Werker che dedicava uno studio al «Clavicembalo ben temperato» (« Lasimmetria nella struttura delle Fughe e l'omogeneità motivica dei Preludi e Fughe»). Chiarezza, dunque, in primis (culturalmente inquadrata nella burrascosa repubblica di Weimar): non già però nell'artista innato habitus mentale — lo dimostrano i primi lavori e successivamente ben individuabili relitti lirici — energico baluardo, invece, esorcizzante i tragici fantasmi del romanticismo. L'«artigianato» di Bach fu anche per Hindemith come per tutti i neoclassici, un imprescindibile modello di «musica aetherna», depurato però di quelle punte dissacratorie e parodistiche reperibili nei coevi lavori di Stravinsky e dei Sei.

Nelle «Kammermusiken» — coincidenza nient'affatto fortuita vengono create nei 1921 a Donaueschingen le «Kammermusik-Aufführungen» per la diffusione di opere contemporanee — il compositore intende esplicitamente riallacciarsi alla musica da camera sei-settecentesca e, più specificamente al modello di stile «concertante» dei «brandeburghesi» di Bach.

Nella «Kammermusik» n. 5 la viola solista — a dura prova l'interprete: corde doppie, trilli, varietà di fraseggio e una miriade di alterazioni da eseguirsi con rocambolesca velocità — «concerta» con un'orchestra dal colore cupo e aggressivo: flauto, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, corno, 2 trombe, 2 tromboni, basso tuba, 4 violoncelli, 4 contrabbassi.

La durata dell'opera è di 17 minuti.

Nel primo movimento, collerico e impietoso, l'andamento ritmico della viola a «perpetuum mobile» finisce per travolgere in un colorato gioco timbrico l'orchestra che nelle battute iniziali si limitava a scandirne la corsa sfrenata con marcati accordi.

Il «Lento» successivo si isola sull'intera composizione per un tono di dolorosa calma. L'organico si assottiglia e sul ritmo pacato di 9/8 e 6/8 riappare la linea del canto (oltre che nello strumento solista negli oboi); ma la memoria di antropocentriche certezze viene corretta da una smorfia di ironico distacco, nella letterale (inconscia?) citazione di nuclei melodici raveliani («Le Paon» dalle «Histoires naturelles»).

Dopo la serena plasticità del terzo movimento (il più stravinskyano), l'ultimo presenta con sapiente intreccio polifonico una serie di variazioni da una marcia militare bavarese.

Primo interprete di questa «Kammermusik» fu a Berlino lo stesso compositore (eccellente viola oltre che violinista), sotto la direzione di Otto Klemperer.

Fiamma Nicolodi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 marzo 1983
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 marzo 1973
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 14 ottobre 1977


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Ultimo aggiornamento 17 gennaio 2019