Il secondo numero della terza Kammermusik per violoncello e dieci strumenti, scritto nel 1925 e dedicata dal compositore a suo fratello Rudolf, valente violoncellista, si rifà al tipo del Concerto settecentesco - e precisamente bachiano -, sia per il trattamento dello strumento solista che per la scrittura contrappuntistica dell'insieme strumentale. L'atteggiamento neo-classico è assunto in questo periodo da Hindemith, non per motivi nostalgici - e tanto meno per il gusto malizioso del pastiche - ma per l'esigenza, autentica ed allora attuale, di riaffermare la necessità di fondare le ragioni del far musica sui valori plastici del melos, dinamici del ritmo, ed architettonici della forma: valori in quel tempo obliterati dal gusto postimpressionista per una musica ritmicamente statica, basata meno sulla linea che sul colore atmosferico, e guidata nella sua costruzione slentata e frammentaria da suggestioni extramusicali, anziché da una sintassi autonoma.
Naturalmente Hindemith non rinnega - e qui sta la sua attualità di allora - la fondamentale conquista impressionista consistente nel raggiungimento della più grande libertà armonica e tonale, in uno con la scoperta ed accentuazione della precipua personalità timbrica dei singoli strumenti: ma tale libertà disciplina, per così dire, nel rigore della forma, schiudendole insospettate possibilità, mediante il trattamento contrappuntistico della nuova armonia, sull'esempio - peraltro - di quanto aveva già attuato il nostro Ferruccio Busoni con la Fantasia contrappuntistica scritta nel 1910.
La successione dei movimenti di questa composizione - sottointitolata Concerto per violoncello - corrisponde a quella dell'antica suite: una robusta introduzione, dal carattere quasi di toccata - un gioioso movimento scorrente su ritmi ternari di danza - un raccolto tempo lento dall'andamento di passacaglia - un finale dalle movenze di gavotta. Lo strumento solista, pur trattato in un modo che ne accentua l'individualità, non si stacca o contrappone alla massa strumentale - come avviene nel concerto romantico - ma si inserisce intimamente nel tessuto generale, collaborando con gli altri strumenti, su un piano di parità, allo svolgimento del comune discorso, in un'opera in cui sinfonismo, virtuosismo, forza costruttiva e vitalità ritmica raggiungono un esemplare, classico equilibrio.
Nicola Costarelli