Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra


Musica: César Franck (1822 - 1890)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: 1885
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 maggio 1886
Edizione: Enoch, Parigi, 1892
Dedica: Louis Diémer
Guida all'ascolto (nota 1)

Le Variazioni sinfoniche, composte nel 1885 ed eseguite per la prima volta a Parigi l'anno successivo, si considerano dai più come il capolavoro di César Franck; e fino all'apparizione dei due concerti di Ravel (che risale appena a trent'anni fa) sono stati il solo concerto per pianoforte di compositore «latino» che facesse parte del normale repertorio internazionale.

L'originalità di questo pezzo è già adombrato nel suo titolo: variazioni, ma sinfoniche, cioè non semplicemente allineate l'una dopo l'altra come voleva la tradizione, ma rifuse in una struttura complessa e unitaria, nello spirito della sonata o della sinfonia. L'impresa aveva avuto qualche precedente, basti citare il finale della Sinfonia Eroica; ma non era mai stata affrontata in modo tanto radicale, tanto meno portata a compimento in modo cosi perfetto. Non si trattava d'altronde, per Franck, di una scommessa formalistica, ma di qualcosa che riguardava la radice stessa del suo modo di comporre; perché in Franck è sempre latente un conflitto fra l'abbandono all'improvvisazione (la mistica «meditazione musicale» all'organo era in lui pratica quotidiana, e il seminario della sua fantasia) della quale la variazione è veicolo tipico, e l'opposta aspirazione all'unità tematica e formale. Non è dunque da stupire se la soluzione del conflitto gli riuscì con tanta felicità appunto in un .pezzo concertante: dove il fattore improvvisazione, invece di diffondersi in tutto il tessuto musicale, poteva impersonificarsi in un solista posto di fronte all'orchestra, e così avviarsi a divenire elemento specifico d'una dialettica.

Tutta la composizione deriva da due motivi di quattro battute ciascuno, esposti immediatamente all'inizio, il primo dall'orchestra, il secondo dal pianoforte. Questi due temi si rispondono più volte l'un l'altro; e intanto il primo si trasforma in un tema più chiaramente determinato (mentre all'inizio era quasi soltanto uno spunto ritmico), e il secondo dà luogo, tra l'altro, a un'eloquente squarcio del pianoforte solo. A questo gioco di domande e risposte, che forma l'introduzione del pezzo, seguono sei variazioni vere e proprie che ne costituiscono quello che, in un normale concerto, sarebbe il suo primo tempo. Queste variazioni, che cominciano col pianoforte solo, si riferiscono esclusivamente al primo motivo, nella forma in cui s'è precisato nel corso dell'introduzione; e l'ultima, in fa diesis maggiore, costituisce anche il ponte per passare senza interruzione al brano che ha funzione di «adagio», attraverso un mormorio di sestine del pianoforte che fioriscono il tema dell'orchestra. Alla fine della variazione infatti, senza mutare tempo, le sestine del pianoforte divengono semplici arpeggi, i quali improvvisamente si oscurano modulando in fa diesis minore: a questo punto entra nei violoncelli il tema numero due (quello che nell'introduzione era stato monopolio del pianoforte e nel «primo tempo» era scomparso), con un effetto di straordinaria intensità lirica. E' questo il breve brano che funge da secondo tempo; esso termina con un trillo del pianoforte sulla dominante da cui scatta, di nuovo in fa diesis maggiore, l'allegro finale, concepito in una sorte di sintesi della forma-sonata con due temi: i quali sono, ancora una volta, trasformazioni dei due motivi fondamentali del brano.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 22 aprile 1962


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Ultimo aggiornamento 7 marzo 2003