Sonata in la maggiore per violino e pianoforte


Musica: César Franck (1822 - 1890)
  1. Allegretto ben moderato (la maggiore)
  2. Allegro (re minore)
  3. Recitativo-Fantasia: Ben moderato. Largamente con fantasia (la minore)
  4. Allegretto poco mosso (la maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1886
Prima esecuzione: Bruxelles, Cercle Artistique Royal Gaulois, 16 dicembre 1886
Edizione: Hamelle, Parigi, 1886
Dedica: Eugène Ysaÿe
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'ultimo decennio della vita di César Franck (1822-1890) è punteggiato, sul versante della musica da camera, dalla creazione di tre capolavori: il Quintetto, la Sonata per violino e pianoforte, il Quartetto. Anche per queste grandi pagine - a non considerare la Sinfonia in re minore, terminata nel 1888, - il compositore si impone nella cerchia dei principali fautori del processo di rilancio della musica strumentale francese, affermatosi verso la fine del secolo XIX. Sotto l'etichetta di Ars Gallica infatti, nel 1871, Camille Saint-Saëns e i suoi amici avevano dato vita alla Société Nationale de Musique, nell'intento di controbattere non soltanto l'egemonia del sinfonismo e della letteratura strumentale germanici, ma anche l'indifferenza di un ambiente musicale e di un pubblico prevalentemente votati all'opera lirica.

Accomunano queste opere alcuni connotati, come la forma ciclica - nella quale ricorrono, in ciascuno dei movimenti, uno stesso tema oppure più temi, variati e rielaborati - o il particolare slancio melodico che avvolge di ardore lirico i diversi movimenti, e li rinsalda. È un bagaglio di risorse architettoniche, che arricchisce sensibilmente il linguaggio di Franck, e che però egli aggiorna e dilata con la sua limpida personalità artistica. Relativamente sconosciuto nelle vesti di autore, per quanto già anziano, Franck è prevalentemente apprezzato dal pubblico che accorre alle funzioni domenicali della Chiesa di Santa Clotilde, per ascoltare le sue famose improvvisazioni organistiche.

Al pari di altri monumenti della letteratura violinistica apparsi tra fine Ottocento e inizio Novecento, destinati espressamente all'indirizzo di grandi strumentisti, la Sonata in la maggiore (concepita nel 1886) è da Franck dedicata al violinista Eugène Ysaÿe, e costituisce anzi il suo regalo di nozze al virtuoso belga. Tra i vari aneddoti che avvolgono la vicenda esecutiva di quest'opera, occorre ricordare che, alla prima esecuzione, il dedicatario onora il proprio debito salvando questa pagina dal naufragio. Inserito in un concerto indetto, in orario pomeridiano, da una società di promozione dell'arte contemporanea nel Museo d'Arte Moderna di Bruxelles, il lavoro ha inizio mentre sopraggiunge l'oscurità. Il regolamento della galleria proibisce ogni tipo di illuminazione artificiale nelle sale destinate alla pittura, e ovviamente anche l'accensione di un semplice zolfanello potrebb'essere motivo di trasgressione.

Alla fine del primo movimento, il personale di custodia invita i presenti a lasciare i locali. Ma gli spettatori, già catturati dall'interesse, rifiutano ostinatamente di muoversi. E allora, nella penembra, si sente Ysaÿe, che è insieme alla pianista Bordes-Pène, battere l'archetto sul leggìo con la sua abituale esuberanza, esclamando "Avanti! Avanti!". Non c'è bisogno di dire che i due artisti, immersi nel buio completo, eseguono a memoria gli altri tre movimenti, trascinando il pubblico a una consacrazione unanime, che ha la meglio su ogni contingente contrarietà. Gli stessi interpreti, nella primavera del 1887, faranno conoscere questa pagina a Parigi, e, in seguito, Eugène Ysaÿe le assicurerà la più ampia diffusione internazionale.

D'altra parte, questa sonata si impone per proprio merito, nella musica cameristica francese, come la pagina meglio riuscita del suo genere; tanto da essere stata definita un "lavoro cartesiano", per la limpidezza strutturale e l'infallibile equilibrio che governano il dialogo dei due strumenti. E si colloca infatti, con la sua forma ciclica che ne caratterizza altre opere, tra i vertici della produzione di César Franck. Il quale aveva prescritto in origine un andamento moderato per il primo tempo, ma, ascoltando Ysaÿe eseguirlo più speditamente, autorizza senz'altro a intenderlo come Allegretto. Qui, dopo alcuni morbidi accordi del pianoforte, il violino introduce un tema che oscilla su un arpeggio ascendente e discendente, disegnato in un intervallo di terza, tipico dell'insinuante profilo di quest'episodio, che nell'insieme si conduce senza inquietudini.

È con l'Allegro successivo che il clima si tinge di energia, imposta dal pianoforte che stabilisce senz'altro il proprio ritmo. Segue poi un severo movimento, dal sapore quasi bachiano, che riconduce il linguaggio cameristico a remote intimità, pastellate in alcuni momenti dalla cantilena del violino in assenza di accompagnamento. Il tutto trasmette un'austera, diffusa impronta di improvvisazione, che l'indicazione di Recitativo - Fantasia intende sottolineare nella sua atmosfera misteriosa ed elegiaca, lumeggiata dalla migrazione attraverso varie tonalità. L'ultimo tempo è introdotto da un notissimo disegno imitativo, che emana un senso di universale omogeneità, affiancando i due strumenti come se la dialettica precedente non li avesse mai separati. Il procedimento a canone - nel quale Franck vanta una solida esperienza - accanto alla lineare trasparenza della melodia, contribuisce a creare il clima più conveniente per suggellare l'opera.

Francesco A. Saponaro

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in la maggiore, ultimata il 28 settembre 1886 durante il soggiorno estivo a Combs-le-Ville, fu inizialmente concepita quasi un trentennio prima, allorché il compositore franco-belga ne fece menzione la prima volta in una lettera al direttore Hans von Bülow, precisando di voler dedicare tale partitura alla di lui consorte Cosima. Accanto alla Sinfonia in re minore, alle Variazioni sinfoniche, a Psyché, al Quartetto in re minore, a Prélude-Choral et Fugue e a Prélude-Aria et Finale, quest'opera segna il più elevato punto d'arrivo della sua arte creativa nell'avanzata maturità, sì da contraddistinguere la sua figura come quella d'una delle più peculiari personalità del tardo Ottocento.

A lungo nell'esistenza di Cèsar Franck, più che il talento e l'originalità del compositore, furono riconosciuti i meriti dell'organista a Sainte-Clotilde - Liszt nel 1866, dopo averlo ascoltato, lo paragonò a Bach - e, principalmente, del didatta: d'organo al Conservatorio parigino, non di composizione. Al punto che solamente alla soglia dei cinquant'anni, nel 1872, gli era stata affidata, appunto, tale cattedra e che la massima onorificenza francese, la Croce di cavaliere della Legion d'onore, gli fu attribuita soltanto il 4 agosto 1885 con una menzione specifica: "A Cèsar Franck, professore d'organo". Non era stato infatti premiato l'artista che con la sua creatività aveva dato un contributo singolare «all'espansione della musica francese che allora affondava nell'operetta, nell'opera di gusto italiano, nella romance... che aveva restituito alla musica francese un certo tono, un certo peso, una certa serietà che le mancava ormai da un secolo. Franck aveva svelato alla Francia la musica da camera, aveva risuscitato quella organistica, aveva ricreato un corale umanizzato dalla fede cattolica, aveva arricchito il pianoforte di alcune pagine immortali e vivificato in terra francese l'oratorio romantico... fecondando tutto un movimento romantico strumentale» (N. Dufourcq). Il più significativo riconoscimento ufficiale nel 1885 aveva premiato non l'artista ma l'insegnante.

Destino di Franck o paradosso della storia? Forse entrambi. Perché come didatta fece sempre prevalere sulla rigidità dei programmi tradizionali la propria passione per la musica, il gusto dell'improvvisazione, la fantasia costruttiva. Tra i suoi allievi, i più brillanti - d'Indy, Ropartz, Chausson, Duparc, Lekeu - scrissero poco per l'organo ma da Franck acquisirono il vero senso dell'arte, non solo una solida preparazione tecnica. Diventarono musicisti seri.

A differenza di quel ch'era avvenuto in altre occasioni, per la Sonata in la maggiore Franck ebbe le idee chiare in merito alla prima esecuzione assoluta. Dedicatario fu il celebre violinista Eugène Ysaye e proprio Ysaye fece conoscere quest'opera la prima volta a Bruxelles, al Cercle Artistique, il 16 dicembre 1886 con Madame Bordes-Pène alla tastiera; gli stessi interpreti la suonarono poi a Parigi il 5 maggio 1887 alla Société Moderne. A sua volta Bordes-Pène con Remy al violino la presentò alla parigina Société Nationale il 24 dicembre 1887. Ysaye, che ebbe sempre una spiccata predilezione per questa partitura, ne fu l'alfiere d'elezione in tutto il mondo.

Tra quanti subirono al primo ascolto il fascino della Sonata in la maggiore vi fu Proust che nella Recherche du temps perdu diede a parecchi lettori l'impressione d'essersi ispirato a questa musica alludendo alla "petite phrase" della Sonata di Vinteuil. Esempio mirabile furono alcune righe: «Cette fois Swann avait distingue nettement une phrase s'élevant pendant quelques instants au-dessus des ondes sonores. Elle lui avait propose aussitòt des voluptés particulières dont il n'avait jamais eu l'idèe avant de l'entendre, dont il sentait que rien d'autre qu'elle ne pourrait les lui faire connaìtre, et il avait éprouvé pour elle comme un amour inconnu...» (Du côte de chez Swann). Gli studi filologici successivi hanno chiarito però che quell'allusione non era affatto l'unica. Dall'epistolario, un inciso d'una lettera ad Antoine Bibesco del 1913, chiarisce: «La Sonata di Vinteuil non è quella di Franck». Divertendosi poi a moltiplicare le origini minori di quella citazione: una sonata di Saint-Saéns, il Preludio all'atto I di Lohengrin per l'agitazione del tremolo, l'inizio tormentoso da Franck ma l'ampliamento del respiro da Fauré e poi "qualcosa da Schubert e da Schumann".

Nel suo genere, la Sonata in la maggiore è un capolavoro senza confronti. In questa partitura Franck riuscì a racchiudere tutti gli atteggiamenti strumentali ed estetici che caratterizzavano il suo "far musica": principalmente il senso della misura espressiva, l'impulso all'espansione lirica, una certa tendenza al suono sensuale, la peculiarità della struttura formale, la coerenza del linguaggio senza dimenticare la costante della sua vena mistica. Influssi wagneriani? Soltanto nella prospettiva d'una rielaborazione del tutto personale, mentre più concreta può dirsi una certa affinità con la letteratura cameristica mitteleuropea, non solamente brahmsiana. E anticipatrice della poetica di fine secolo, spiccatamente in senso tutto francese, è la coscienza del valore timbrico d'un accordo puro. Sotto il profilo tecnico, nonostante la dedica ad Ysaye, c'è un risalto dominante alla parte del pianoforte piuttosto che a quello del violino. E su tutto, giovandosi della lunga esperienza contrappuntistica maturata su Bach e nell'attività organistica, la coerenza logica e strutturale dell'insieme, del globale intarsio tematico serrato assieme dal saldo reticolo dei rapporti intervallari, armonici e ritmici.

Il primo movimento, Allegretto ben moderato in 9/8, è praticamente un tempo di sonata bitematico senza un vero e proprio sviluppo. Dopo poche battute introduttive sull'accordo di settima tocca al pianoforte delineare la base armonica sulla quale viene enunciata la prima idea nella lunga frase melodica del violino, in cui si individua la cellula che in vario modo tornerà ciclicamente nell'intera opera. Il secondo tema è esposto poi dal pianoforte con accenti imploranti, quindi, in luogo dell'elaborazione tradizionale, si ascoltano alcune modulazioni che rasserenano il clima espressivo, siglato da una breve coda, dolce e cullante.

Il secondo movimento, Allegro in 4/4 - sia che venga considerato da Vincent d'Indy come un Lied tripartito sia che risulti un classico allegro sonatistico - è intimamente permeato da accenti appassionati e palpitanti, qua e là drammatici ed inquieti, che ricordano quelli del Quintetto in fa minore. Si ascolta nel canto del pianoforte la prima idea intessuta di strenui slanci romantici e di febbrile tensione ritmica, poi, dopo una breve transizione, con il secondo tema ritorna ad emergere la cellula ciclica fondamentale. È il pianoforte a suggerire l'espansione lirica, mentre ritornano vari incisi motivici precedenti, prima della coda, impetuosamente animata tra gli accordi arpeggiati del pianoforte e i lunghi trilli del violino.

Il terzo movimento Recitativo Fantasia - Ben moderato anche nel lungo recitativo, affidato principalmente al violino, fa affiorare con fluida scorrevolezza alcuni incisi derivati dalla cellula ciclica, ora alla tastiera ora all'arco (con fantasia). Dopo essersi sovrapposti per un tratto (molto lento) torna il recitativo ad incorniciare la sezione centrale in cui si staglia un nuovo motivo che, da tranquillo, si fa rapidamente drammatico. Ora nobilmente intensa ora estenuata, la carica espressiva sembra dissolversi nel pianissimo.

Il quarto movimento, Allegro poco mosso, è praticamente articolato nella forma d'un rondò alla francese, con l'alterna riapparizione d'un ritornello che la prima volta (dolce e cantabile) è in la maggiore. L'intera sezione principale viene trattata come un canone all'ottava fra il pianoforte e il violino mentre nell'accompagnamento si individuano incisi motivici variamente elaborati nella trama contrappuntistica.

Allo sviluppo in si bemolle segue un breve episodio in re diesis minore che, modulando, approda al fa minore sull'ampia frase melodica dell'arco. Alla ripresa simmetricamente tradizionale segue una coda pronunciatamente brillante e, dopo la ricomparsa di alcuni frammenti dell'idea principale, l'animazione dei trilli del violino porta l'opera alla conclusione.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata in la maggiore per violino e pianoforte di César Franck è sicuramente uno dei capolavori della musica da camera dell'Ottocento, laddove, come osserva Cesare Fertonani, si intrecciano linguaggio lirico coloristico francese con l'attenzione all'architettura della forma, dentro a un linguaggio armonico di straordinaria raffinatezza ispirato dal cromatismo wagneriano e da nouance modali. Franck scrive la Sonata secondo il principio ciclico a lui caro, per cui temi, idee e loro variazioni si intrecciano tra i movimenti creando continuità attraverso l'unificazione motivica, aggregando coerentemente e in modo originale il materiale. Era una tecnica che Franck aveva cooptato da Franz Liszt e fatta sua come comun denominatore di riferimento, tanto che Vincent d'Indy descrisse la Sonata come «il primo e più puro modello di utilizzo ciclico dei temi informa sonata... vero monumento musicale».

Nell'Allegretto ben moderato ci si ritrova come cullati in una morbida berceuse: strana scelta per un movimento di sonata, nella quale comunque mancherà la sezione di sviluppo e sarà presente una semplice riconduzione. Ecco dunque, già dalle quattro battute di introduzione pianistica, il nucleo generativo del primo tema, definito da un intervallo ascendente di terza sopra un ritmo trocaico lunga-breve. Il violino espone il primo tema, ondeggiante e molto dolce sulle delicate armonie del piano. Questo tema corrisponde all'idea ciclica ricorrente dell'intera Sonata e man mano si sviluppa in arcate via via intense e ampie, sino a un climax. Appare ora il dolce e sentimentale secondo tema, lasciato al piano solo e ai suoi ampi e morbidi arpeggi, mentre, poco dopo, affiora il ricordo del primo tema, fatto sentire in imitazione a canone e poi "ripreso" dolcemente dal violino. Di nuovo torna il secondo tema ancora al pianoforte solo, mentre il violino si inserisce nell'enunciato facendo sentire un'idea derivata dal nucleo ciclico di base. Ancora sull'idea ciclica si basa la coda, dove gli echeggiamenti rappresentano una onirica reminiscenza della materia sonora. Anche l'Allegro, il secondo tempo, è in forma sonata. Inquietudine e un'aura di tragicità lo pervadono sin dai primi passi sui trascinanti arpeggi del piano da cui emerge il primo tema, dalla matrice che si rifà all'idea ciclica; ripreso dal violino nel registro cupo e grave, si trasforma in sempre nuove proposizioni, compresa una bella linea melodica discendente, mentre echeggia ancora un ricordo dell'idea ciclica al violino. Di seguito il secondo tema, pure derivato dall'idea generatrice, rappresenta, in questo turbinoso vortice, una fase distensiva, condotto dal violino sopra arpeggi in terzine del piano, a sfociare nel Poco più lento, dove tutto viene come sfumato e attenuato sulle ultime battute dell'esposizione. Nel Quasi lento inizia un rarefatto sviluppo, in continuità con l'atmosfera divagata di fine esposizione, dove il piano appoggia i suoi accordi offrendoli al violino, che vagheggia elementi del secondo tema. Ma questo sviluppo è ricco di sorprese: un improvviso ritorno al Tempo I in Allegro, dopo una pausa, riprende frasi simili a quelle appena sentite, ma sotto ben altra prospettiva sonora, ora intensa, espressiva. Gli altri elementi, come la linea melodica discendente dell'esposizione, sono continuamente sviluppati: qui si ripresenta in sovrapposizione alla parte finale del secondo tema; ecco una sua netta rielaborazione con l'incipit del primo tema al piano che si alterna a turbinose frasi del violino, mentre poco dopo si sentono, ulteriormente rimodulati, i segmenti melodici di secondo e primo tema, messi in risalto vuoi al pianoforte, vuoi al violino, sopra un ritmico accompagnamento. Dopo la ripresa, una coda in tempo Animato poco a poco e poi Quasi presto prosegue la tendenza al crescendo emotivo. Il ricordo del primo tema e poi dell'idea ciclica affiorano come sogni reali, mentre un lungo trillo del violino, seguito da tre accordi di violino e piano, fa da emblematica sigla di chiusura della complessa struttura.

Il terzo movimento è un meraviglioso saggio di fantasia e stile, straordinariamente congegnato anche nella costruzione. Libertà di invenzione, ma anche dominio scrupoloso dell'architettura sorprendono per la capacità di mettere insieme libertà e regola. Spunti e idee simili a una preghiera paiono provenire dalla coscienza di un destino avverso, che si cerca di contrastare con ogni forza. Già nell'introduzione-recitativo, di carattere improvvisativo, si intravede il respiro dell'idea ciclica. Passi del pianoforte e del violino si alternano in stile rapsodico, mentre nel Molto lento gli strumenti suonano insieme. Quando riprende il recitativo, trova violino e pianoforte a duettare in tandem in uno scambio via via intenso, sino a tracimare in un passo di transizione in cui rintracciamo, a creare profonda liaison, la linea melodica ascendente che stava all'inizio dello Sviluppo del secondo tempo. Siamo giunti in una sezione fortemente lirica e di intensa cantabilità, con un tema vero e proprio organizzato in due idee (A e B) - più tardi ripreso nell'ultimo movimento - in cui si sovrappongono, o meglio, si fondono in un tutt'uno gli arpeggi del piano con il profluvio motivico del violino, ovvero il tema "dolcissimo espressivo" (A) e il tema "drammatico" (B); dentro questo crogiuolo di impressioni, riemerge una reminiscenza dell'idea generatrice così come si era sentita nel primo tempo iniziale, dentro il primo tema, che ne era diretta emanazione. La coda, Lento e mesto, è una malinconica variante dell'episodio intermedio del Molto lento iniziale, a consolidare la struttura formale nel trapasso continuo di spunti e idee. L'Allegretto poco mosso conclusivo è un versus del tempo precedente, perché, in un certo senso, pare voler presentare una soluzione chiudendo la Sonata attraverso una liberazione gioiosa. Ad esempio, il tema generatore, sottoposto a un'opera di lavorio continuo in forma di canone tra piano e violino, è ora ricco di spunti luminosi. Così tutti gli elementi, di fronte a questa improvvisa e progrediente immagine di luce, ne scaturiscono trasformati. La struttura è quella del rondò alla francese, dove il refrain, di volta in volta proposto in tonalità differenti, si alterna a episodi-couplets. Notevole, però, anche il lavoro tecnico sulla linea tematica, sottoposta a un massivo lavoro contrappuntistico proposta come in canone all'ottava violino-piano; qui però, è netta anche la matrice con l'idea ciclica, perfettamente camuffata dentro la plastica bellezza dell'arco melodico. Il primo episodio echeggia il tema lirico del terzo movimento (A), suonato "cantabile" dal piano mentre il violino veleggia su eleganti arabeschi; poco dopo si sente anche il riferimento al tema principale di questo movimento. Lo stesso ancora torna in un cantabile enfatizzato in un vivace passo finale, brillantissimo, ancora in canone. Una frase di raccordo porta allo sviluppo, dove il tema principale è frammentato in segmenti e incisi. A seguire, nel secondo episodio, Franck conferma la paziente opera di recupero e integrazione dei materiali prendendo spunto dal plastico secondo elemento tematico incastonato nel terzo tempo come elemento (B), unitamente a elementi elaborativi dello sviluppo. Infine, nell'epilogo, ecco l'ennesimo ritorno del tema (A), già richiamato nel primo episodio, in un progressivo diminuendo da ff e pp. Emblematicamente il movimento si chiude col ritorno del tema principale e una coda che ripropone la saettante e brillante fase conclusiva del profilo tematico.

Marino Mora

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Assieme alla Sinfonia in re minore, alle «Variazioni sinfoniche», a «Psyché», al Quartetto in fa minore, ai due grandi trittici per pianoforte, la Sonata per violino rappresenta uno dei massimi risultati conseguiti da Franck nel periodo della sua piena maturità: quello in cui, innalzandosi sulla genericità che ha fatto pressoché scomparire dal repertorio quasi tutte le sue pagine giovanili, il compositore dettò una serie di «opere uniche», caratterizzando la sua personalità come una delle più originali e significative del suo tempo. In questa pagina famosissima, Franck realizzò una delle sintesi più compiute e felici dei connotati diversissimi che informavano il suo modo di far musica, sia sotto il profilo tecnico che sotto quello delle intenzioni poetiche. Il senso tutto francese della misura, l'impulso all'espansione lirica, l'aspirazione alla sicurezza formale che gli dettava la sua affinità col mondo germanico, l'irresistibile tentazione verso la sensualità sonora, la sincera vena mistica: un mare di contraddizioni, sulla carta, risolte in quest'opera in un linguaggio che per esser ibrido, come indubbiamente è, non è meno coerente che fascinoso, e autenticamente personale.

Composta nel 1886, la Sonata reca inconfondibilmente i segni del suo tempo. La coincidenza fra vocazione classica e consapevolezza della decadenza stabilisce in essa qualche parentela non troppo nascosta con l'arte del musicista che in quegli stessi anni era dominatore quasi assoluto della composizione cameristica, Brahms. Il tessuto tonale si dimostra una rielaborazione, magari assai personale, dell'esperienza wagneriana (il cromatismo incalzante delle successioni armoniche, però, rivela una coscienza nuovissima del potenziale timbrico dell'accordo «puro»: si pensi al preimpressionistico indugiare del pianoforte, all'inizio del primo tempo, sull'accordo di nona). L'incidenza della scrittura strumentale sulla stessa produzione delle idee musicali rimanda in fin dei conti a Liszt, e conferma la preminenza assoluta del pianoforte nell'economia del lavoro (la parte del violino, contrariamente a quel che farebbe pensare la dedica della Sonata ad un virtuoso come Ysaye, non ha, strumentalmente parlando, particolare interesse): del resto, il vero strumento di Franck, che fu organista, a quel che si sa, più appassionato che valente o esperto, era appunto il pianoforte, che sapeva dettargli un linguaggio più sicuro che non altrove (per esempio nella Sinfonia, dove la grande orchestra, talvolta, gli prende leggermente la mano).

Il gran segreto della unitarietà di questa Sonata, al pari di quanto avviene nelle opere più riuscite di Franck, risiede comunque anzitutto nella sapienza con cui il compositore, contrappuntista educato sui modelli di Bach, riesce ad elaborare il materiale tematico in una saldissima rete di rapporti ritmici ed intervallari, conseguendo una coerenza strutturale di grande interesse. In questo fatto è da ricercare il vero valore di quella forma ciclica che è in gran parte invenzione sua, e che troppo spesso ci si limita a considerare sotto il puro aspetto esteriore del ritorno degli stessi temi nei diversi movimenti di una composizione. Tale procedimento, anzi, nella Sonata per violino e pianoforte è tanto meno vistoso quanto più si fa ragione profonda del comporre. In altre parole, più che dar la caccia al ricomparire dei temi in una veste più o meno simile a quella originale, chi si accosta a questa Sonata dovrà rintracciare parentele nascoste nella combinazione di incisi e varianti: riscoprire la germinazione successiva delle idee, più che il loro susseguirsi a mo' di Leitmotiv.

Formalmente, l'«Allegretto ben moderato» iniziale segue lo schema classico della sonata. Ma la relativa concisione degli sviluppi, esclusivamente basati sulla ripetizione del primo tema, unita alla scarsa incisività tonale che già nell'esposizione il susseguirsi delle modulazioni attribuisce ai motivi, sembra sfuggire la tensione dialettica propria alla forma nella tradizione classica. Il contrasto, o meglio la varietà, nasce soprattutto dalla diversa connotazione espressiva dei due temi: stagnante il primo in quel suo muoversi per terze sulla triade, più generosamente cantabile il secondo.

L'«Allegro» seguente, più ampio e drammatico, è caratterizzato da una continua tensione cromatica, agitata dal mareggiare del pianoforte, la cui scrittura qui si addensa nello scorrere di accordi spezzati lungo tutta l'estensione della tastiera. Il tema principale ricompare profondamente modificato sia ritmicamente che negli intervalli, e si alterna con un disegno più disteso e lirico.

Introdotto dal ristagno armonico di un elemento cromatizzante esposto dal pianoforte (è ancora una modificazione del tema principale), un lungo recitativo affidato principalmente al violino apre il terzo movimento, indicato appunto come «Recitativo-Fantasia». Il discorso si anima progressivamente, fino a sfociare nella lunga melodia del violino sull'accompagnamento arpeggiato del pianoforte.

È un tema largo, cantabile, che si compiace di sensuali approdi dal minore al maggiore e viceversa al termine dei diversi incisi. I motivi si rivelano trasfigurazione di idee tematiche già presentate nei movimenti precedenti, e la loro fusione crea un clima di espressività densa ed estenuata, ma nobile.

Il finale sembra volerci ricondurre in un'atmosfera più classica, tendente all'eleganza più che alla complessità. È un rondò, basato ancora una volta sul tema principale, non troppo alterato nella sua fisionomia intervallica, ma reso irriconoscibile da un andamento sorridente (brahmsiano, in un certo senso; ma, se non è uno spingersi troppo in là, potrebbe ricordarci il Beethoven della decima Sonata per violino). Dietro l'apparente leggerezza del discorso, si nasconde una estrema elaborazione compositiva. Tutto l'episodio principale è trattato come un canone all'ottava fra i due strumenti; le parti di accompagnamento sono a volte ricavate dal materiale tematico stesso sottoposto ai diversi artifici contrappuntistici. La melodia del terzo movimento, quasi come un secondo tema, si oppone all'episodio principale, che viene poi sviluppato abbastanza ampiamente, la conclusione giunge dopo una breve coda più animata.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 gennaio 2003
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 5 maggio 2000
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 291 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 29 maggio 1978


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Ultimo aggiornamento 6 dicembre 2018