Trio in re minore per violino, violoncello e pianoforte, op. 120


Musica: Gabriel Fauré (1845 - 1924)
  1. Allegro ma non troppo (re minore)
  2. Andantino (fa maggiore)
  3. Allegro vivo (re minore)
Organico: violino, violoncello, pianoforte
Composizione: 1922 - 1923
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 12 maggio 1923
Edizione: Durand, Parigi, 1923
Dedica: Mme M. Rouvier
Guida all'ascolto (nota 1)

Chiarezza ed eleganza di linguaggio, purezza e sobrietà della forma, delicatezza e discrezione dei sentimenti, fantasia essenzialmente elegiaca e gusto per l'intimità dell'emozione sono i tratti salienti della musica di Fauré, considerato il più importante e autorevole compositore della Francia post-romantica e pre-impressionista. Maestro di molti talenti musicali che lasciarono un segno della loro personalità, da Florent Schmitt ad Enescu, da Roger Ducasse a Casella, lo schivo e riservato Fauré si schierò con Debussy, che ammirava ma non amava per diversità di carattere, e con lo stesso Ravel tra gli innovatori dell'arte musicale francese, suscitando le vivaci reazioni dei conservatori capeggiati da Théodore Dubois succeduto ad Ambroise Thomas nella direzione del Conservatorio di Parigi. Quando nel 1905 fu chiamato ad occupare il posto di direttore del famoso Conservatoire tenuto dai suoi avversari, Fauré cercò di svecchiare i programmi di studio e mise in atto una serie di provvedimenti riformatori destinati a dare agli allievi una educazione musicale di livello superiore; ciò gli valse il soprannome di Robespierre, che in fondo non si addiceva perfettamente alla natura raffinata e crepuscolare di questo creatore di squisite e nobili melodie che si distinguono per la purezza e la delicatezza dell'invenzione armonica. La sua opera, che non ha nulla di rivoluzionario come quella di Debussy, perché non ha creato un nuovo stile musicale, si estende in un arco di tempo di oltre cinquant'anni (1870-1922) e risente di una evoluzione continua e costante che raggiunge soprattutto nella musica pianistica, in quella da camera e nel fascinoso linguaggio melodico del Requiem le testimonianze più alte della genialità della sua ispirazione.

In particolare nella musica da camera si possono cogliere alcuni frutti tra i più saporiti di Fauré, che riesce ad esprimere in modo efficace quell'intimismo melodico, tra il nobile e il malinconico, caratterizzante l'anima del compositore. Tra i pezzi cameristici si distinguono la Prima Sonata per violino e pianoforte (1876), il Secondo Quintetto con pianoforte (1921), messaggio di elevata bellezza lirica, il Trio per violino, violoncello e pianoforte (1923) e il Quartetto per archi (1924), considerato il testamento di Fauré.

Il Trio, dedicato a madame Maurice Rouvier, si apre con un Allegro ma non troppo contrassegnato da una omogeneità di scrittura e da una semplicità melodica e tematica. I due strumenti ad arco, sostenuti dal continuo arpeggiare del pianoforte, si impongono per la loro linea classicheggiante, ricca di progressioni nel contesto di un dialogo fatto di timbri oltre che di spunti melodici. L'Andantino è costruito in forma tripartita, con l'aggiunta di una coda. Si basa su due temi, il primo in tonalità maggiore e il secondo in minore, con una ricerca più accentuatamente cromatica. Nella parte centrale il pianoforte espande la sua cantabilità espressiva, immediatamente ripresa dal violino e dal violoncello con un lungo fraseggio ad ottave. L'Allegro vivo finale inizia con un gioco di alternanze fra i due archi e il pianoforte, che sfocia nella enunciazione del brillante e vivace primo tema del movimento. I continui mutamenti di tonalità conferiscono a quest'ultimo tempo un carattere di fresca e spigliata verve musicale.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 marzo 1990


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Ultimo aggiornamento 1 luglio 2012