Sonata in la maggiore n. 1 per violino e pianoforte, op. 13


Musica: Gabriel Fauré (1845 - 1924)
  1. Allegro molto (la maggiore)
  2. Andante (re minore)
  3. Scherzo, allegro vivo (la maggiore)
  4. Finale, allegro quasi presto (la maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1875 - 1876
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 27 gennaio 1877
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1878
Dedica: Pauline Viardot
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Musica amabile, graziosa, deliziosa come un paesaggio all'acquerello, un ritratto in miniatura, una porcellana di Sèvres, tutti oggetti da salotto ma che possono essere preziosi». Questa definizione senz'altro riduttiva ma non del tutto fuorviante della musica di Gabriel Fauré si legge sulla "Rivista Musicale Italiana" del 1914, ancora vivo il compositore. Il salotto aristocratico e borghese più che l'austera sede del Conservatoire parigino, che pure lo vide direttore di tendenze progressiste a partire dal 1905 e stimato insegnante di composizione - tra i suoi allievi, Ravel e Casella - è il luogo dove essenzialmente nasce e per cui è pensata la musica di Fauré.

Debussy accennava nel manoscritto delle Images del 1894 a «saloni brillantemente illuminati dove si riuniscono abitualmente le persone che non amano la musica» e, in una lettera a Georges Hartmann del 1908 a «quel gruppo di snob e imbecilli» per definire i dedicatari delle opere di Fauré. Il culto snobistico della modernità, non arrischiato però fino al punto di apprezzare il nuovo linguaggio debussiano, era una componente essenziale dei salotti ultraesclusivi della principessa di Polignac o della contessa Greffulhe, nei quali Fauré aveva il ruolo di musicista di punta. Proust lo raffigura senza nominarlo in Sodome et Gomorrhe come musicista amabile e mondano; un musicista che era capace di procurargli «un'ebbrezza pericolosa». Disegni melodici piuttosto brevi e spesso ripetuti che si impostano su congegni ritmici ambiguamente oscillanti fra costrutti binari e ternari - terzo movimentò della Sonata op. 13 - e su una struttura armonica assai raffinata e avanzata ne fanno un degno continuatore di Chopin, non solo per la evidente affinità del milieu aristocratico. Fin dai titoli delle opere pianistiche - Nocturnes, Valses, Impromptus, Barcarolles - la filiazione è palese, più che in altri francesi di fine secolo. E come in Chopin l'armonia è al centro della sua ricerca; Bortolotto parla di «ansia di estensione del sentimento tonale» e lo indica come «il possessore dei più affilati mezzi armonici fra i contemporanei», a metà strada fra «il fatuo compiaciuto e il ricercatore ascetico». Nella giustamente celebrata musica da camera, che predilige l'accostamento del pianoforte agli archi, un'altro punto di riferimento per Fauré è Schumann, di cui ripercorre con toni più morbidi l'irrequietezza romantica.

La Sonata op. 13 è, insieme al Quartetto con pianoforte op. 15, uno dei suoi capolavori giovanili. Pubblicata da Breitkopf ebbe subito un vasto successo e fu sempre prediletta da violinisti e pianisti, anticipando di un decennio (l'opera è del 1876) la Sonata di Franck.

Il preciso senso delle proporzioni unito a una dimensione di piacevolezza mai ovvia e capace di mediare con intuito infallibile un'inventiva eccentrica e raffinata ne costituiscono le doti più autentiche. Così nel primo movimento, Allegro molto, in cui il debito con Schumann è più forte, prevale una scorrevolezza inquieta che gioca con profili melodici mai in contrasto fra loro. L'Andante è una mèlodie del violino, a volte estesa al duetto col pianoforte, sulla base ritmica costante e cullante di un metro ternario composto.

Vero gioiello della Sonata è l'Allegro vivo che vede rinnovarsi con uno spirito del tutto nuovo e più tagliente i fasti della leggerezza mendelssohniana. Incisi rapidissimi di semicrome in un continuo alternarsi ternario-binario con accordi in contrattempo ne fanno una pagina scattante e nervosa di esemplare modernità (Ravel).

Nel finale, Allegro quasi presto, ritorna il clima del primo tempo fatto di melodiosità scorrevole e diffusa con brevi accensioni e uno sguardo a certo Schumann pianistico (Arabesque op. 18).

Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Ci mettiamo all'ascolto della Sonata per violino n. 1 op. 13 in la maggiore di Gabriel Fauré e siamo come avvolti da un flusso rotondo di alta densità, tutto arpeggi, movimenti scalari, armonie iridescenti e lampeggianti. La melodia è ricca di vibrante sensualità, elegante, in grado di produrre un meraviglioso effetto di spaesamento: non possiamo che sottoscrivere le ispirate parole riportate nel 1914 sulla Rivista Musicale Italiana, che così bene identificano il sonor originale dell'autore, la sua impronta stilistica: «Musica amabile, graziosa, deliziosa come un paesaggio all'acquerello, un ritratto in miniatura, una porcellana di Sèvres, tutti oggetti da salotto ma che possono essere preziosi».

Nel primo tempo, Allegro molto, il piano espone un tema avvolgente, elaborato nel suo respiro in levare dalla voce suadente del violino. Questa densa trama che fa pensare a pensieri, soggetti sonori di stampo schumanniano e persino brahmsiano, anche per la fitta opera di elaborazione a intarsio prodotta nella scrittura, conduce a poche battute di raccordo, un motivo-ponte su quattro note ascendenti, che porta al secondo tema dal profilo discendente. Un momento di rilascio, di respiro da questa tempestosa esposizione avviene per poche battute, prima che il precedente ponte di collegamento si trasformi in un lampeggiante episodio di epilogo. Nello sviluppo gli elementi sono profondamente elaborati dal punto di vista dei profili timbrico-armonico, così come nel percorso melodico. Nella ripresa Fauré ci sorprende ripresentando il percorso in forma sonata in modo del tutto originale e notevolmente libero. L'Andante è tenero e malinconico, con il suo tema lirico che si muove sopra un disegno architettonico fornito da un ampio arco ascendente del piano contrappuntato dai sospiri del violino, mentre caratteristico è il sostegno ritmico, fornito da un accompagnamento di breve-lunga; il secondo tema è come una danza libera, agile e fantasiosa. Momenti di partecipato pathos, altri di trasparente serenità si alternano in un sogno dai maliosi effetti. L'Allegro vivo è uno Scherzo di grande spirito con una prima parte dominata da sequenze di veloci semicrome rimbalzate tra violino e piano sopra appuntiti accordi in controtempo in grado di rendere nervosa ed elettrica la pagina. Un Trio centrale dai toni riflessivi fa da contrasto con la ripresa del tema di Scherzo cke conclude icasticamente il movimento. L'Allegro quasi presto viene inaugurato da una melodia di passeggiata sopra le cristalline armonie espresse dal pianoforte. Un energico e sincopato tema del piano porta a un'accesa fase declamatoria. Dopo lo sviluppo, giocato sopra il profilo interrogante del primo tema presentato in caleidoscopiche prospettive tonali, il materiale viene ripreso in un esaltante gioco conclusivo.

Marino Mora

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata per violino e pianoforte op. 13 fu scritta da Gabriel Fauré nel 1875-76 e fu dedicata alla celeberrima cantante Pauline Viardot, per la cui figlia il compositore avrebbe nutrito una sfortunata passione. Fauré aveva trent'anni, e nonostante la dignitosa posizione professionale conquistata - era maestro di cappella alla Madeleine - si trovava ancora nella fase iniziale di quello che sarebbe stato un lunghissimo travaglio formativo.

Allievo ed amico di Saint-Saëns, Fauré imparò dal suo maestro l'ammirazione verso i modelli classici, senza per questo mancare di subire l'influenza esercitata dalla musica cameristica tedesca. La prima fase della sua produzione risente appunto della assimilazione del linguaggio e dell'estetica del Romanticismo, ed appare dunque piuttosto distante dalla purificazione espressiva degli anni della vecchiaia, e quindi anche dall'immagine del compositore che si è imposta presso i posteri.

L'impianto della composizione è quello classico in quattro movimenti, e l'Allegro molto iniziale adotta lo schema di una regolare forma sonata. L'incipit si avvale di un lungo a solo di pianoforte, a precisare immediatamente il ruolo protagonistico che la scrittura pianistica avrà nel corso dell'intero brano, stabilendo un rapporto pienamente dialettico con lo strumento ad arco. Il movimento si nutre così di uno slancio schumanniano, ma nello Sviluppo si affacciano delle soluzioni armoniche modali, e una ricerca timbrica che già palesano la mano dell'autore.

Basato su un ritmo di barcarola, il secondo tempo, Andante, consiste in una lunga linea melodica divisa fra i due strumenti, che a più riprese si sovrappongono polifonicamente in una lievitazione espressiva. Il movimento più aperto verso la successiva evoluzione dell'autore e anche verso lo sviluppo della sonata francese per violino e pianoforte è l'Allegro vivo, uno Scherzo leggero e brioso, dove i pizzicati del violino competono con gli arpeggi del pianoforte; una "féerie" interrotta dalla sezione del Trio, fondato su una levigata melodia discendente. A concludere la Sonata è un Rondò (Allegro quasi presto) che ha come refrain una ampia melodia lirica il cui ritmo puntato permea l'intero movimento, nonostante le molteplici e variegate trasformazioni espressive.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 8 maggio 1996
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 291 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 ottobre 1990


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Ultimo aggiornamento 11 ottobre 2014