Quartetto in sol minore n. 2 per pianoforte, violino, viola e violoncello, Op. 45


Musica: Gabriel Fauré (1845 - 1924)
  1. Allegro molto moderato (sol minore)
  2. Allegro molto (do minore)
  3. Adagio ma non troppo (mi bemolle maggiore)
  4. Allegro molto (sol minore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: 1885 - 1886
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 22 gennaio 1887
Edizione: Hamelle, Parigi, 1886
Dedica: Hans von Bülow
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Non ci sono notizie sulla genesi del Quartetto in sol minore op. 45, che Fauré dovette comunque comporre tra il 1885 e il 1886, dunque una decina d'anni dopo il Quartetto op. 15. Ponendo a confronto i due lavori, che pure mostrano significativi punti di convergenza sul piano generale (a iniziare dal numero, dall'ordine e dalla tipologia dei movimenti) così come nell'equilibrio fonico tra gli archi e il pianoforte, la maggiore maturità del secondo quartetto si coglie nell'intensificazione della raffinatezza armonica e del cromatismo, nella sottigliezza con cui sono interpretate le strutture formali nonché nell'accentuazione delle connessioni tematiche interne, mirate ad assicurare un alto grado di coesione costruttiva. Del resto, insieme con la Sonata per violino e pianoforte op. 108, il Quartetto op. 45 costituisce la punta più avanzata dell'avvicinamento di Fauré alla forma ciclica; una forma ciclica che tuttavia il compositore declina alla luce della propria poetica e di una tecnica di trasformazione tematica altamente sofisticata, dunque in una maniera assai più sfumata e mediata di quanto non sia dato di riscontrare, per esempio, in Cèsar Franck.

Il movimento d'apertura fornisce la sostanza tematica anche per lo scherzo e per il finale. Varianti e metamorfosi del primo e del secondo tema dell'Allegro molto moderato (temi A e A') improntano rispettivamente la parte centrale dello scherzo (tema D), il secondo tema del finale (tema H) e la seconda idea (tema C') dello scherzo. Il nuovo tema introdotto all'inizio dello sviluppo (tema B) ritornerà invece trasformato come tema complementare del finale (tema G). Isolato in mezzo a questa rete di relazioni, l'Adagio non troppo ritaglia anche così la sua natura di centro e di oasi onirica tra le turbolenze passionali degli altri movimenti.

Al di là delle apparenze, nell'Allegro molto moderato si scorge una forma di sonata di notevole inventiva. Il tortuoso primo tema dell'esposizione, in sol minore (tema A), ha inflessioni frigie (la bemolle): lo intonano gli archi sull'inquieto accompagnamento in arpeggi del pianoforte, che poi intreccia con questi un libero gioco di imitazioni. L'accompagnamento pulsante si placa quando la viola incomincia a suonare il secondo tema espressivo, in mi bemolle maggiore, di fatto derivato direttamente dal primo tanto da apparirne una variante (tema A'), che viene poi svolto dagli archi finché i motivi del primo tema ritornano per concludere l'esposizione. Lo sviluppo si apre con un nuovo tema sinuoso agli archi (tema B), che avrà un ruolo assai importante nel prosieguo del movimento. La nuova idea è alternata a frasi del primo tema che prendono quindi il sopravvento in una distesa tessitura lirica dove, a un certo momento, sì riaffaccia il nuovo tema al pianoforte: ora il tema è trattato contrappuntisticamente, anche in diminuzione e in stretto, sino a un breve climax che conduce alla ripresa. È appunto sul punto culminante del climax che ritorna il primo tema, in sol minore, seguito dal secondo, ora in sol maggiore, e dalla chiusa della ripresa. L'ampia, quasi estatica coda si configura come un'ulteriore elaborazione, fondata ancora sugli elementi del primo tema e del nuovo tema dello sviluppo per suggellare il movimento con un anticlimax di notevole suggestione.

Lo scherzo, Allegro molto, offre una febbrile violenza di tratto inusitata per Fauré. La prima idea tematica (tema C), che percorre le note della scala naturale di do minore, è suonata dal pianoforte come un perpetuum mobile sui pizzicati percussivi degli archi. Quella che poi sembra una seconda idea tematica, in realtà è derivata dalla prima (tema C'), ma soprattutto non è altro che una variante del secondo tema del primo movimento (tema A'); essa muove da sol bemolle maggiore ed è presto alternata alla prima idea e a una frase, molto aggressiva, di quattro note accentate; la prima idea viene quindi ricapitolata. Nulla interrompe il vitalismo dell'energia fantastica che anima il movimento. Così, in luogo di un vero trio s'ascolta una parte centrale di elaborazione nella quale una nuova idea cromatica degli archi (tema D), a sua volta derivata dal primo tema del movimento iniziale (tema A), si sovrappone agli elementi della prima idea ed è quindi combinata con questi e con la frase aggressiva della prima idea tematica. Nella ripresa variata della prima idea tematica, in do minore, il pianoforte accompagna il canone di violino e viola, per poi impossessarsi della condotta melodica della seconda idea, che dopo uno slittamento cromatico è ora seguita da una coda dove gli archi sostengono un lungo accordo di do minore.

L'Adagio non troppo è un gioiello sul quale lo stesso autore ha lasciato una testimonianza importante spesso considerata come una dichiarazione di poetica. A proposito di questo movimento, nella lettera dell'11 settembre 1906 Fauré così scrive alla moglie: «[Qui] mi rammento di aver tradotto, quasi involontariamente, il ricordo lontano d'un carillon di campane che, la sera, a Montgauzy [...] ci giungeva da un paese chiamato Cadirac quando il vento soffiava dall'ovest». E ancora: «Su questo mormorio si eleva una fantasticheria che, come tutte le fantasticherie, sarebbe letteralmente intraducibile. Soltanto, non accade forse di frequente che un fatto esteriore ci faccia scivolare in una serie di pensieri così imprecisi da non essere realmente dei pensieri, ma comunque qualche cosa in cui ci si crogiola? Desiderio di cose inesistenti forse: ed è proprio lì il regno della musica». In effetti il movimento si configura come una fantasticheria la cui logica formale si dà nella scorrevolezza di un flusso che tende a smaterializzarsi nel gioco di onde di suoni liberamente proiettate e intrecciate nell'aria. Inoltre, in deciso contrasto con la febbrile animazione del movimento precedente, l'Adagio non troppo definisce un clima di sospensione pressoché onirica. La tonalità d'impianto è mi bemolle maggiore. La prima parte incomincia con un'idea tematica (tema E) che si articola in due elementi, presentati dapprincipio l'uno dopo l'altro, in alternanza: una frase con rintocchi del pianoforte, che richiama il suono di campane lontane, e una melodia della viola (dolce, espressivo, senza rìgor). Ed è appunto sullo svolgimento di questi due elementi che si fonda l'intero corso del movimento, improntato a un cullante andamento di barcarola. La prosecuzione raggiunge un climax in cui Fauré ricorre alla prediletta elaborazione in canone, poi accenna una falsa ripresa, dove gli archi suonano i rintocchi già del pianoforte e quest'ultimo intona la melodia già della viola; quindi un nuovo climax s'inarca ma per ripiegarsi ben presto in anticlimax destinato a preparare la ricapitolazione. La ripresa variata condensa la parte iniziale prima di ricapitolare anche la prosecuzione e arrivare quindi alla coda, dove il processo di dissolvenza è protratto lungo le semplici linee degli archi e gli arpeggi del pianoforte.

Il finale, Allegro molto, in forma di sonata, ridiscende a una dimensione più materiale. Uno spiritato passo di valzer si coglie nelle terzine e nelle figure puntate del primo tema (tema F), in sol minore frigio (col la bemolle); il tema conosce un'estensione, più delicata (tema F'), sempre in sol minore, cui segue un tema complementare di transizione (tema G), in do maggiore. Quest'ultimo, di veemenza quasi brahmsiana, è connesso con il profilo del nuovo tema dello sviluppo del movimento iniziale (tema B) e conduce al secondo tema (tema H), in si bemolle maggiore, cantato dagli archi. Suddiviso in due idee, affidate rispettivamente alla viola col violoncello e a al violino, il secondo tema, inizialmente cromatico, è a sua volta correlato al tema della parte centrale dello scherzo (tema D) e, attraverso questo, al primo tema del movimento d'apertura (tema A); il secondo tema porta quindi alla conclusione dell'esposizione. Il breve sviluppo elabora elementi del primo tema in una trama contrappuntistica proiettata verso un climax contraddistinto dal ritmo puntato e dalle ottave del pianoforte. Sul punto culminante ha inizio la ripresa, dove si allineano il primo tema, in sol minore, la sua estensione, sempre in sol minore, il tema complementare di transizione, ora in la maggiore, e quindi il secondo tema, ora in sol minore poi convertito in sol maggiore. Alla chiusa della ripresa succede la coda, basata su elementi del primo tema e, nella stretta conclusiva (Più mosso), del tema complementare di transizione.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Per gran parte del XIX secolo la vita musicale francese ha visto il dominio incontrastato del "Grand-Opera", mentre piuttosto in ombra risultava la musica strumentale pura, almeno fino alla fondazione della "Société de Musique de Chambre" nel 1856, nata in seguito al forte impatto che ebbe la prima esecuzione francese degli ultimi Quartetti per archi di Beethoven. Tuttavia si dovette aspettare fino agli anni Settanta dell'Ottocento perché vi fosse una produzione cameristica autoctona, sostenuta dalla "Société National de Musique", istituzione fondata da Camille Saint-Saëns e Romaine Bussine con lo scopo di favorire la diffusione dell'"ars gallica", ovvero della musica orchestrale e cameristica composta da musicisti francesi.

L'iniziativa ebbe grande successo e proprio in quest'ambito cominciò a emergere la figura di Gabriel Fauré (1845-1924), con una Sonata per violino e pianoforte salutata da Saint-Saëns come una delle opere "più interessanti del nostro tempo", grazie alle novità formali e ritmiche e alla sua raffinatezza timbrica. Questi stessi caratteri, accentuati in senso più spiccatamente "moderno", presenta il Quartetto in sol minore op. 45 per pianoforte ed archi, completato da Fauré nel 1886 dopo aver composto già qualche anno prima per la stessa formazione il Quartetto in do minore op. 75, brano di ascolto più frequente per il pubblico odierno. Tuttavia è proprio nel Quartetto op. 45 che Fauré delinea con maggiore chiarezza il proprio stile compositivo, proiettandosi nel Novecento attraverso un'economia di mezzi espressivi che mira ad un'arte essenziale e priva di componenti manieristiche e sentimentali.

L'intero Quartetto rivela infatti sottili legami tematici fra i vari movimenti, attraverso un impiego magistrale della concezione ciclica della forma di matrice franckiana, quasi si trattasse di un omaggio a Franck, di cui il giovane Fauré si era sempre dichiarato un grande ammiratore. Tuttavia, al di là di queste affinità, lo stile di Fauré risulta ben distinto e originale, soprattutto nel trattamento della forma e delle modulazioni, molto più libero che nel compositore belga.

Il primo movimento, Allegro molto moderato, si apre con il pianoforte che definisce la tonalità, quasi si trattasse di un Lied, per creare poi una sorta di scintillante tappeto sonoro sul quale si staglia la melodia del primo tema cantata all'unisono dal violino, dalla viola e dal violoncello. Valorizzati dall'accompagnamento del pianoforte, gli archi fondono dunque le loro singole voci in un unico timbro carico di tensione, da cui scaturiscono una intensità melodica e una penetrante qualità sonora non comuni, che conferiscono un respiro quasi sinfonico. Successivamente la densità della scrittura si assottiglia, parallelamente al graduale rallentamento del ritmo e ad un ridimensionamento delle sonorità, fino a raggiungere una condotta polifonica molto più rarefatta, con pause del violoncello. Il tema appare qui in una versione più concisa, per poi subire metamorfosi ritmiche fino all'entrata di un nuovo motivo presentato dalla viola. Tale motivo darà sostanza ad una sorta di transizione caratterizzata dall'impiego di contrastanti figure ritmiche, da cui emerge il secondo gruppo tematico, dal carattere più pacato, derivato dal materiale tematico presentato inizialmente dall'unisono degli archi.

Sarà proprio questo secondo tema ad essere ampiamente elaborato nel movimento seguente, uno Scherzo di "aerea vivacità... in cui il pianoforte sviluppa un perpetuum mobile sotto il crepitio dei pizzicati" (Nectoux).

Da questo clima espressivo febbrile si passa all'atmosfera placida e serena dell'Adagio non troppo in mi bemolle maggiore, caratterizzato da un trattamento timbrico di grande raffinatezza, A questo proposito risulta illuminante una dichiarazione di Fauré contenuta in una lettera alla moglie dell'11 settembre 1906, che diventa quasi un manifesto di estetica: "È solo nell'Andante del Secondo Quartetto che mi rammento di aver tradotto, quasi involontariamente, il ricordo lontano d'un carillon di campane che, la sera... ci giungeva... quando il vento soffiava dall'ovest. [...] Su questo mormorio si eleva una fantasticheria che, come tutte le fantasticherie, sarebbe letteralmente intraducibile. Soltanto, non accade forse di frequente che un fatto esteriore ci faccia scivolare in una serie di pensieri così imprecisi da non essere realmente dei pensieri, ma comunque qualche cosa in cui ci si crogiola? [...] Ed è proprio lì il regno della musica". Il motivo del carillon di campane risuona nei contrasti chiaroscurali del pianoforte, su cui si staglia la lunga frase della viola, in un clima evocativo da "Notturno".

Del tutto contrastante risulta invece il Finale del Quartetto, Allegro molto, in cui ritorna, profondamente rielaborato, parte del materiale motivico dei precedenti movimenti. L'introduzione presenta un tema di impetuosa energia, caratterizzato da continui spostamenti ritmici che contribuiscono a determinare una condotta armonica cangiante e quasi evanescente. Il secondo motivo, invece, si presenta in forma di grappoli di accordi che danno vita a sofisticate progressioni, ulteriormente rielaborate nel successivo sviluppo e soprattutto nella ripresa, che conduce poi allo slancio finale a velocità doppia, in una conclusione di trascinante virtuosismo strumentale.

Anna Ficarella


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 195 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Auditorium Parco della Musica, 7 novembre 2008


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Ultimo aggiornamento 20 settembre 2012